Corte
Costituzionale,
Sentenza 12 - 26 luglio 2000, n. 359
SENTENZA N.
359
ANNO 2000
REPUBBLICA
ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Cesare MIRABELLI Presidente
- Fernando SANTOSUOSSO
Giudice
- Massimo VARI
- Cesare RUPERTO
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dellart. 23, comma 2, lettera b, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), promosso con ordinanza emessa il 27 marzo 1999 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale per i minorenni di LAquila, iscritta al n. 375 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dellanno 1999.
Visto latto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 12 aprile 2000 il Giudice relatore Valerio Onida.
Ritenuto
in fatto
1. Con ordinanza emessa il 27 marzo 1999, pervenuta a questa Corte l11 giugno 1999, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale per i minorenni di LAquila ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 76 e 77 della Costituzione, e in relazione allart. 3, comma 1, lettera h, della legge 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per lemanazione del nuovo codice di procedura penale), dellart. 23, comma 2, lettera b, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni).
Il Giudice remittente premette di essere chiamato a decidere su una istanza di applicazione della custodia cautelare nei confronti di un minore arrestato nella quasi flagranza del delitto di furto aggravato da violenza sulle cose; di ritenere che nella specie sussistano gravi indizi di colpevolezza, che non vi sia né il pericolo di reiterazione di reati della stessa indole, né quello di inquinamento probatorio; e che lidentità fisica del prevenuto sia certa, ma che sussista invece il pericolo concreto che egli si dia alla fuga.
Osserva il giudice a quo che lart. 3, comma 1, della legge n. 81 del 1987, di delega per lemanazione del codice di procedura penale, nel dettare i criteri per la disciplina del processo a carico di imputati minorenni, reca, alla lettera h, la seguente direttiva: potere del giudice di disporre la custodia in carcere solo per delitti di maggiore gravità e sempre che sussistano gravi e inderogabili esigenze istruttorie ovvero gravi esigenze di tutela della collettività. Lart. 23 del d.P.R. n. 448 del 1988, nel disciplinare la facoltà del giudice di disporre la custodia cautelare, ha previsto invece come condizioni facoltizzanti, al comma 2, i tre classici pericula libertatis pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, pericolo di inquinamento probatorio e pericolo di fuga in perfetta concordanza con quanto stabilito (in quel caso, però, conformemente ai criteri di delega dettati per i maggiorenni) dallart. 274 del codice di procedura penale.
Secondo il remittente, lesplicito criterio più restrittivo dettato dal legislatore delegante per gli indagati minorenni deve ritenersi una scelta di politica legislativa; né potrebbe farsi rientrare il pericolo di fuga nellambito delle gravi esigenze di tutela della collettività di cui è parola nellart. 3, comma 1, lettera h, della legge di delega, poiché questa formula è sempre riferita, nellordinamento penale, al pericolo di reiterazione dei reati; e daltra parte, se non si fosse voluto escludere il pericolo di fuga dal novero delle condizioni che rendono possibile lapplicazione della custodia cautelare, la disposizione che detta i criteri particolari nei confronti dei minorenni sarebbe superflua, mentre leccezione da essa prevista rispetto ai criteri generali deve intendersi secondo il principio interpretativo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit.
Sussiste pertanto, ad avviso del giudice a quo, violazione dei criteri della delega, onde lart. 23, comma 2, lettera b, del d.P.R. n. 448 del 1988 dovrebbe essere dichiarato costituzionalmente illegittimo.
2. E intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, concordando con le argomentazioni del remittente. LAvvocatura erariale osserva che effettivamente la lettera della legge delegante è chiara nel senso di non prevedere il pericolo di fuga fra le condizioni che consentono ladozione della misura della custodia cautelare nei confronti dei minori, né il pericolo di fuga può farsi rientrare fra le gravi esigenze di tutela della collettività. Il carattere di eccezionalità che il legislatore delegante ha impresso al ricorso alla custodia cautelare nei confronti del minore, e la materia in cui si versa, della libertà personale, escluderebbero una interpretazione estensiva dei criteri della delega. Anche attraverso una valutazione sistematica e comparativa della disciplina in esame in rapporto ai criteri dettati per i maggiorenni, per i quali si è previsto espressamente il pericolo di fuga come condizione che consente ladozione della misura (art. 2, comma 1, n. 59, della legge n. 81 del 1987), sarebbe confermata la diversità dei criteri di delega stabiliti per gli indagati minorenni, e di conseguenza la violazione dellart. 76 della Costituzione denunciata dal giudice a quo.
Considerato
in diritto
1. La questione sollevata investe lart. 23, comma 2, lettera b, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), come sostituito dallart. 42 del d.lgs. 14 gennaio 1991, n. 12 (Disposizioni integrative e correttive della disciplina processuale penale e delle norme ad essa collegate), che consente al giudice di disporre la custodia cautelare nei confronti del minorenne se limputato si è dato alla fuga o sussiste concreto pericolo che egli si dia alla fuga. Di tale previsione del decreto delegato viene denunciato il contrasto con i principi e criteri direttivi contenuti nella legge di delega, che prevedeva la facoltatività di misure cautelari personali e il potere del giudice di disporre la custodia in carcere solo per delitti di maggiore gravità e sempre che sussistano gravi e inderogabili esigenze istruttorie ovvero gravi esigenze di tutela della collettività (art. 3, comma 1, lettera h, della legge 16 febbraio 1987, n. 81), escludendo dunque il pericolo di fuga dal novero delle condizioni che abilitano alladozione della misura restrittiva. Si censura pertanto la violazione dellart. 76 (e dellart. 77) della Costituzione.
2. La questione è fondata.
Come osserva il remittente, e come rileva anche la difesa del Presidente del Consiglio, i criteri direttivi dettati dal legislatore per la disciplina del processo minorile sono chiari nel senso di consentire il ricorso alla custodia in carcere solo quando sussistano gravi e inderogabili esigenze istruttorie ovvero sussistano gravi esigenze di tutela della collettività (art. 3, comma 1, lettera h, della legge di delega n. 81 del 1987). Il pericolo di fuga esplicitamente previsto come condizione che giustifica il ricorso a misure preventive di coercizione personale, nel caso di indagati adulti, dallart. 274, comma 1, lettera b, del codice di procedura penale, in conformità a quanto previsto a sua volta dalla direttiva n. 59 contenuta nellart. 2, comma 1, della legge di delega n. 81 del 1987 non è dunque compreso fra i presupposti che consentono la custodia in carcere dei minorenni. Né esso potrebbe ritenersi riconducibile alle gravi esigenze di tutela della collettività, le quali attengono al diverso pericolo della commissione di nuovi reati, e non possono identificarsi col semplice rischio che lindagato si sottragga con la fuga allapplicazione della pena per il reato già ascritto a suo carico.
La diversa disciplina prevista dal legislatore delegante, rispettivamente per gli indagati maggiorenni e per quelli minori di età, discende presumibilmente dal disfavore del legislatore per lutilizzo del carcere nei confronti dei minori, anche in coerenza con i principi affermati a livello internazionale riguardo al diritto penale minorile. In ogni caso, la scelta del delegante non poteva essere disattesa dal legislatore delegato: il quale invece, nel prevedere, nellart. 23 del d.P.R. n. 448 del 1988, le condizioni che abilitano a disporre la custodia cautelare, ha pedissequamente ricalcato le tracce dellart. 274 del codice di procedura penale, senza tener conto della diversità dei criteri direttivi che la legge di delega imponeva di seguire.
Con ciò il legislatore delegato ha però violato i criteri della delega, consentendo il ricorso alla custodia in carcere per i minori in una ipotesi nella quale la delega non lo prevedeva: la relativa disciplina è dunque illegittima per contrasto con lart. 76 della Costituzione.
PER QUESTI
MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale dellart. 23, comma 2, lettera b, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), come sostituito dallart. 42 del d.lgs. 14 gennaio 1991, n. 12 (Disposizioni integrative e correttive della disciplina processuale penale e delle norme ad essa collegate).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 2000.
Cesare MIRABELLI, Presidente
Valerio ONIDA, Redattore
Depositata in cancelleria il 26 luglio 2000.