Corte di Cassazione, Sezione II Penale,
Sentenza 18 gennaio 2005 - 3 febbraio 2005, 43 (03995/2005)
ANNO/NUMERO 200503995 SEZ. 2
SENT. 18/01/2005 DEP. 03/02/2005
PRES. Sirena Pa
Udienza pubblica 18/01/2005
SENTENZA N. 43
REGISTRO GENERALE N. 27817/2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIRENA Pietro Antonio - Presidente
Dott. DE CHIARA Francesco - Consigliere
Dott. CONZATTI Alessandro - Consigliere
Dott. PODO Carla - Consigliere
Dott. MACCHIA Alberto - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
M. N.;
avverso la sentenza della Corte di appello di Genova, sezione 3^
penale, in data 28 dicembre 2001.
Sentita la relazione della causa fatta dal Consigliere Dott. Pietro
Antonio Sirena.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Antonio Gialanella, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del
ricorso;
osserva:
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con sentenza del 14 novembre 2000, il Tribunale di Genova dichiarò
M. N. responsabile dei reati di cui al capoverso
dell'articolo 648 C.P. e di cui all'articolo 171 ter della legge
numero 633 del 1941, unificati dal vincolo della continuazione, e -
con la concessione delle attenuanti generiche - lo condannò alla
pena di 15 giorni di reclusione e di lire 200.000 di multa, revocando
al contempo la sospensione condizionale della pena concessa
all'imputato con sentenza 24 gennaio 1996 della Corte di appello di
Genova, divenuta irrevocabile il 19 settembre dello stesso anno.
Avverso tale provvedimento l'imputato propose impugnazione, ma la
Corte di appello di Genova, con sentenza del 28 dicembre 2001,
respinse il gravame.
Ricorrono per Cassazione il difensore dell'imputato, e personalmente
M. N..
Il primo deduce, con unico motivo di ricorso, la violazione
dell'articolo 606, comma 1, lettera b) c.p.p., per erronea
applicazione della legge penale con riferimento agli articoli 548 (648, n.d.r.)
C.P. e 171 ter della legge 23 aprile 1941, numero 633.
Secondo il ricorrente i giudici del merito avrebbero errato a
condannare l'imputato per entrambi i reati a lui contestati, dovendo
invece trovare applicazione nella fattispecie solo il reato di cui
all'articolo 171 ter citato, che sarebbe una norma speciale rispetto
a quella che punisce la ricettazione.
La censura è fondata per le ragioni che saranno appresso chiarite.
Per una migliore comprensione delle stesse è necessario però
prendere in esame anzitutto la tormentata evoluzione della normativa
concernente la protezione del diritto di autore con riferimento, in
particolare, al problema della detenzione per la vendita di
musicassette prive del contrassegno della SIAE; e ciò in quanto, i
reati attribuiti al M. furono commessi il 4 maggio 2000, quando
era ancora in vigore l'articolo 171 ter della legge numero 633 del
1941, nella versione introdotta dall'articolo 17 del decreto
legislativo 16 novembre 1994, numero 685.
La norma suddetta stabiliva che era punito con la reclusione da tre
mesi a tre anni e con la multa da lire 500.000 a lire 6.000.000,
chiunque "vende o noleggia videocassette, musicassette o altro
supporto contenente fonogrammi o videogrammi di opere o audiovisive o
sequenze di immagini in movimento, non contrassegnati dalla Società
italiana degli autori ed editori (S.I.A.E.)".
Per il vero, alcune decisioni di questa Corte avevano in un primo
momento affermato che la semplice detenzione di musicassette prive
del contrassegno della S.I.A.E., sia pure a scopo di vendita, non
rientrava nella fattispecie tipica di cui all'articolo 171 ter,
proprio perché la norma in questione affermava che era punibile solo
il comportamento di che "vende o noleggia"; ma successivamente la
giurisprudenza era mutata, giungendo alla conclusione - condivisa da
questo Collegio - che "in materia di diritto d'autore, nella
individuazione dell'azione tipica del reato configurato dall'articolo
171 ter, lettera c), della legge 22 aprile 1941 n. 633 (vendita o
noleggio di supporti privi del contrassegno della SIAE) la formulàvende o noleggià deve essere intesa non come effettivo compimento
di un atto di vendita o di noleggio, bensì come attività che
consiste nel porre in vendita o disponibili per il noleggio cassette
o altri supporti privi del citato contrassegno". (Cass. pen., sez.
3^, 19 ottobre 2001, Peloso B., RV 220333; conforme: RV 212548).
Successivamente, l'articolo 173 ter ha però subito una modifica
rilevante: e infatti, l'articolo 14, comma 1, della legge 18 agosto
2000, numero 248, ne ha sostituito il testo, il quale - per la parte
che interessa il presente procedimento - così stabilisce: "è
punito, se il fatto è commesso per uso non personale, con la
reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da cinque a trenta
milioni di lire chiunque a fini di lucro ...... detiene per la
vendita o la distribuzione, pone in commercio, vende, noleggia, cede
a qualsiasi titolo ...... videocassette, musicassette ......" privi
del contrassegno della S.I.A.E. o dotati di contrassegno contraffatto
o alterato. La nuova normativa si è dunque adeguata alla
giurisprudenza da ultimo citata, punendo espressamente anche la
condotta di detenzione per la vendita delle musicassette, in una
prospettiva volta a rendere più efficace l'accertamento e la
repressione del fenomeno della illecita riproduzioni di opere
dell'ingegno. Poiché anche la sanzione è stata inasprita, nel caso
concreto, in ottemperanza ai principi stabiliti dall'articolo 2 del
codice penale, deve trovare applicazione la vecchia normativa, più
favorevole all'imputato.
Quanto sopra premesso,va poi evidenziato che nel vigore della vecchia
normativa, la giurisprudenza di questa Corte era concorde
nell'affermare che "non ricorre alcun rapporto di specialità tra il
reato previsto dall'articolo 171 legge 22 aprile 1941 n. 633 e quello
dell'articolo 648 C.P.; l'illecita condotta del porre in commercio e
del detenere per la vendita musicassette contraffatte non è,
infatti, assorbente della ricettazione, che consiste nell'acquistare,
ricevere ed occultare tali prodotti conoscendone la provenienza
delittuosa, condotte ontologicamente distinte dalla prima; ne
consegue che ricorre il concorso dei due reati se la messa in
commercio o la detenzione per la vendita ha per oggetto musicassette
contraffatte, acquistate con la consapevolezza della loro
contraffazione" (Cass. pen., sez. 2^, 19 aprile 1991, PG in proc.
Enardu, RV 188777). Del resto il problema di siffatto concorso era
del tutto analogo a quello del concorso tra il delitto di
ricettazione e il reato di commercio di prodotti con segni falsi
(articolo 474 C.P.) che le Sezioni unite di questa Corte hanno
ritenuto sussistente (cfr.: Cass. pen., Sez. un., 9 maggio 2001,
Ndiaye, ASN 200123427).
Sennonché, il legislatore, dopo avere meglio precisato - con
l'articolo 14 della menzionata legge numero 248 del 2000 - le varie
fattispecie punite dall'articolo 173 ter, citato, e dopo averne
inasprito le pene, ha voluto escludere il concorso tra tale reato e
quello di ricettazione, probabilmente al fine di evitare che
qualsiasi acquirente di una musicassetta contraffatta potesse essere
chiamato a rispondere di tale gravissimo delitto. Perciò ha
stabilito - all'articolo 16 della legge numero 248 del 2000 - che
chiunque ...... "acquista o noleggia supporti audiovisivi fonografici
o informatici o multimediali non conformi alle prescrizioni della
presente legge è punito, purché il fatto non costituisca concorso
nei reati di cui agli articoli 171, 171 bis, 171 ter, 171 quater, 171
quinquies, 171 septies e 171 octies della legge 22 aprile 1941,
numero 633, come modificati o introdotti dalla presente legge, con la
sanzione amministrativa pecuniaria di lire trecentomila e con le
sanzioni accessorie della confisca del materiale e della
pubblicazione del provvedimento su un giornale quotidiano a
diffusione nazionale".
Ora, appare di tutta evidenza dalla lettura della norma suddetta che
la condotta di acquisto di musicassette prive del contrassegno della
S.I.A.E. è stata depenalizzata, e che il comportamento
dell'acquirente, in una ipotesi siffatta, integra un semplice
illecito amministrativo, salve le ipotesi di concorso nei reati su
indicati.
E altrettanto evidente appare che la disposizione di legge in
questione si pone come speciale rispetto a quella della ricettazione,
giacché presenta nella sua struttura tutti gli elementi propri di
quest'ultima, oltre a quelli caratteristici della specializzazione,
consistenti nella particolare natura dei beni acquistati dall'agente.
Da ciò deriva, avuto riguardo al principio di specialità stabilito
dall'articolo 9 della legge numero 689 del 1981, che l'applicabilità
della sanzione amministrativa esclude che la medesima condotta possa
essere punita a titolo di ricettazione.
Dunque la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio
limitatamente al reato di ricettazione attribuito all'imputato
perché il fatto non è più preveduto dalla legge come reato.
Gli atti vanno trasmessi ad altra sezione della Corte di appello di
Genova perché - alla stregua della meno grave fattispecie attribuita
all'imputato - possa essere rivista la sanzione a lui irrogata, e in
particolare perché possa venire considerata la possibilità di
applicazione della disciplina prevista dall'articolo 53 della legge
24 novembre 1981 numero 689, possibilità che resta ovviamente
affidata alla discrezionalità dei giudici del rinvio.
Prima di concludere l'esame del presente motivo di ricorso, si deve
però segnalare che, in assenza di impugnazione del pubblico
ministero, il divieto di reformatio in peius impedisce che sia
irrogata una pena superiore a quella stabilita dal Tribunale di
Genova; e ciò pur se quest'ultimo, applicando all'imputato per i due
delitti attribuitigli la pena di quindici giorni di reclusione e di
lire 200.000 di multa, ha commesso un errore di diritto: i giudici
del detto tribunale, infatti, non hanno tenuto conto del principio
secondo cui in caso di pluralità di reati in ordine ai quali può
trovare applicazione una pena di identica specie, ove l'uno sia
punito con pena più elevata nel massimo e l'altro con pena più
elevata nel minimo, non è possibile irrogare una pena inferiore alla
pena base minima prevista per uno dei reati unificati (nella specie
mesi tre di reclusione e lire 500.000 di multa) (cfr.: Cass. pen.,
sez. 5^, 15 ottobre 1997, PM in proc. Pellegrino, RV 209663).
M. N. deduce personalmente, con unico motivo di gravame, la
violazione dell'articolo 606, comma 1, lettera b), c.p.p., per
erronea applicazione dell'articolo 168 C.P. relativamente alla
disposta revoca del beneficio della sospensione condizionale della
pena. Il ricorrente assume che i giudici del merito non avrebbero
potuto revocare il beneficio della sospensione condizionale della
pena, a lui concesso dal Pretore di Genova con sentenza del 13
febbraio 1995, perché tra tale data e quella di commissione del
reato per cui è processo, e cioè il 4 maggio 2000, sarebbero
trascorsi più di cinque anni.
La censura è infondata.
E' infatti giurisprudenza pacifica di questa Corte che in tema di
revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena, il
termine quinquennale previsto dall'articolo 168 C.P. deve calcolarsi
partendo non dalla prima applicazione del precedente beneficio, ma
dal passaggio in giudicato della sentenza relativa (cfr. da ultimo:
Cass. pen., sez. 4^ 25 novembre 1998, Spina, RV 213229).
Ciò posto, si osserva che la sentenza del pretore con cui venne
concessa al M. la sospensione condizionale della pena è divenuta
irrevocabile il giorno 19 settembre 1996; pertanto è da tale data
che vanno calcolati i cinque anni necessari per l'estinzione di quel
reato, e non da quella in cui venne pronunciata la sentenza di primo
grado; quindi il 4 maggio 2000, il detto periodo di tempo non era
ancora trascorso, e il beneficio in precedenza concesso al ricorrente
andava revocato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di
ricettazione perché il fatto non è più preveduto dalla legge come
reato e dispone trasmettersi gli atti ad altra sezione della Corte di
appello di Genova per la determinazione della pena per il reato
residuo.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 gennaio 2005.
Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2005