Corte
di Cassazione, Sezione VI Penale,
Sentenza 25 ottobre - 21 dicembre 2001, 1199
Udienza
pubblica 25.10.2001
SENTENZA n. 1199
REGISTRO GENERALE
n. 20345/01
REPUBBLICA
ITALIANA
In nome del
Popolo Italiano
LA CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE VI
PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.
dott. Pasquale Trojano ‑ Presidente
dott. Giangiulio Ambrosini ‑ Consigliere
dott. Francesco Ippolito ‑Consigliere
dott. Giorgio Colla ‑ Consigliere
dott. Giovanni Conti ‑ Consigliere
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso proposto dai difensori, avv. Alberto Simeone, di F. G., nato a XXXXXXXX il XXXXX; avv. Carlo Massa, di P. C., nato a XXXXXXX il XXXXXX; avv. Antonio Orso, di M. S., nato a XXXXXXX il XXXXXX;
avverso la sentenza 28.1.2001 della Corte d'appello di Napoli;
Visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
Udita la relazione del Consigliere dott. Giangiulio Ambrosini;
Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore
Generale dott. Gianfranco Ciani, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso del M. e il rigetto dei ricorsi di F. e P.;
Uditi i difensori avv.ti Raffaello Capurso per F. e Carlo Massa per F., i quali hanno insistito per l'accoglimento dei ricorsi;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d'appello di. Napoli con sentenza 26.1.2001 riformava la sentenza 11.2.2000 del Tribunale di Benevento nei confronti di P. C. riducendo la pena ad anni 5 e mesi 8 di reclusione lire 34.000.000 di multa e di M. S. riducendo la pena ad anni 3 e mesi 4 di reclusione e lire 28.000.000 di multa; confermava la condanna di F. G. alla pena di anni 10 di reclusione e lire 60.000.000 di multa (tutti imputati del reato di cui all'art. 73 d.p.r. 309/90).
La sentenza impugnata ravvisa la responsabilità del F. essenzialmente in base a intercettazioni ambientali effettuate all'interno dell'autovettura di alcuni tossicodipendenti e sulla deposizione testimoniale del maresciallo dei carabinieri Di Biase e sui riscontri relativi ad alcune circostanze; non ravvisa la circostanza attenuante di cui al c. 5 dell'art. 73 d.p.r. 309/90 stante l'abitualità delle forniture di stupefacenti; esclude la continuazione con altri analoghi episodi in assenza di prova del passaggio in giudicato della relativa sentenza.
Quanto al P. respinge l'eccezione di incompatibilità del giudice di primo grado che aveva, in un unico contesto, pronunciato la sentenza nei confronti di imputati del medesimo fatto giudicati con rito diverso (il P. con rito abbreviato, il F. con rito ordinario) con utilizzo delle medesime prove, in quanto non tempestivamente sollevata; nel merito fonda la decisione sulle intercettazioni ambientali, sulle deposizioni testimoniali dei carabinieri e relativi riscontri.
Quanto al M. ravvisa la responsabilità sulla base delle intercettazioni e delle testimonianze.
Ricorrono le difese degli imputati e in particolare per:
- F. contestando l'adeguatezza degli elementi probatori costituiti dalle intercettazioni ambientali e il mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui al c. 5 dell'art. 73 d.p.r. 309/90;
- P. per violazione di legge essendo state utilizzate prove raccolte in dibattimento pur essendo stato l’imputato (sia pure in un unico contesto con altri coimputati giudicati con rito ordinario) giudicato con il rito abbreviato; per avere uno dei componenti del collegio della Corte d'appello deliberato in tema di libertà personale dell'imputato; per non essere stata riconosciuta la circostanza attenuante di cui all'art. 73, c. 5, d.p.r. 309/90 pur in assenza di sequestro di sostanza stupefacente;
- M. per mancanza di motivazione in ordine alla sua responsabilità.
La difesa del P. con successive note difensive ribadisce in particolare la decisione unitaria su procedimenti condotti sulla base di riti diversi, che in quanto tale doveva considerarsi abnorme. La difesa del F. aderiva a tale eccezione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il giudice monocratico del Tribunale di Benevento ha giudicato congiuntamente, pronunciando un'unica sentenza, alcuni imputati con il rito ordinario (tra i quali il F.) e altri imputati con il rito abbreviato (tra i quali il P. e il M.).
Questo modo di operare, la cui "singolarità" viene evidenziata dalla stessa sentenza di primo grado, ha trovato giustificazione in esigenze di economia processuale, fatte proprie arche dalla sentenza di secondo grado, con la precisazione che le prove raccolte in sede dibattimentale non hanno influito sulla decisione relativa ai coimputati per cui si è preceduto con il rito abbreviato, così come le prove già esistenti in atti e non utilizzabili per li procedimento ordinario non hanno influito sulla decisione relativa ai coimputati per cui si é proceduto con quest'ultimo rito.
2. Lo sforzo, pur apprezzabile, della decisione impugnata di distinguere nell'ambito delle prove quelle esistenti allo stato degli atti che consentivano il giudizio abbreviato per alcuni imputati, da quelle raccolte nel dibattimento che venivano utilizzate per la decisione con il rito ordinario per altri imputati, non appare tale da poter sanare il vizio di fondo, denunciato con particolare vigore dalla difesa del P..
Non si tratta, infatti, di verificare la sussistenza dì singoli atti probatori eventualmente invalidi nell'ambito dell'uno piuttosto che dell'altro rito, o se l'uno piuttosto che l'altro atto siano stati effettivamente utilizzati dal giudice nella decisione. Ciò, tra l'altro, comporterebbe una indagine di merito che è preclusa a questa Corte di legittimità.
3. La questione appare, invece, di carattere generale e concerne la possibilità in concreto da parte di un giudice di celebrare un processo cumulativo nei confronti di vari coimputati adottando una pluralità di riti, l'uno ordinario, l'altro "speciale" quale il giudizio abbreviato, così appunto definito dal libro VI del codice di procedura penale.
Tale possibilità, sebbene non espressamente vietata da specifiche norme processuali, trova tuttavia un ostacolo insormontabile nella stessa struttura del codice del processo, che ha nettamente differenziato i procedimenti speciali rispetto a quello ordinario a cominciare dai presupposti stessi in base ai quali essi sono consentiti.
Peraltro la giurisprudenza della Corte costituzionale e quella dl questa suprema Corte hanno evidenziato una serie di incompatibilità in capo allo stesso giudicante, che si concretano nell'astensione o nella ricusazione, quando, pur procedendo separatamente nei confronti di più coimputati con diversi riti, la decisione su di uno di essi pronunciata a seguita dell'adozione di un rito abbia comportato la valutazione della posizione di un altra per cui si procede con diverso rito, così pregiudicando la terzietà del giudice.
Nel caso in esame vi è di più in quanto si pretende che uno stesso giudice, che ha contestualmente a disposizione un materiale probatorio eterogeneo circa i modi della sua formazione (prove esistenti allo stato degli atti e prove raccolte in sede dibattimentale), al termine del giudizio operi una selezione all'interno di tale materiale, utilizzandolo diversamente a seconda del rito con cui ha ritenuto di procedere. L'incongruità è manifesta e non è sorretta neppure dall'apparente motivazione delle esigenze di economia processuale, essendo per definizione il rito abbreviato un rito ispirato alla celerità, con assunzione meramente eventuale e minima - dopo le recenti riforme - di prove.
5. La struttura ontologicamente diversa del rito ordinario e del rito abbreviato sono tali da non consentire il processo cumulativo nei confronti di più coimputati con l'abbinamento dei riti stessi, e ciò anche a monte della considerazione che il giudice può essere influenzato nelle diverse decisioni assunte con un'unica sentenza da prove acquisite (anche se in concreto non utilizzate nell'una o nell'altra decisione a seconda del rito) in un contesto unitario.
La specialità dei riti preveduti dal titolo VI del codice processuale comporta l'autonomia di ciascuno dei procedimenti rispetto a quello ordinario ed é tale, quindi, da escludere la compatibilità di una loro gestione congiunta.
A maggior ragione deve sussistere l'autonomia delle sentenze emesse al termine dei singoli procedimenti, non potendosi unificare in una sola sentenza procedimenti che devono avere un diverso svolgimento e che presentano caratterizzazioni obiettivamente diverse. Il che è rilevante anche sotto il profilo delle possibili impugnazioni, che non necessariamente obbediscono alle stesse regole.
6. Il vizio di abnormità denunciato dalla difesa appare, alla luce delle considerazioni che precedono, del tutto fondato, in quante si é in presenza di una situazione non soltanto non prevista dall'ordinamento, ma che si pone in contrasto con i criteri posti a base della differenziazione dei riti e della specialità di alcuni (nella specie il giudizio abbreviato) rispetto al procedimento ordinario.
Consegue l'annullamento della sentenza impugnata nei confronti del F. e del P., nonché della sentenza 11.4.2000 del Tribunale di Benevento emessa al termine dal procedimento il cui vizio si é rilevato, con rinvio a quest'ultimo Tribunale per il giudizio.
Per l'effetto estensivo di cui all'art. 587 c.p.p. il medesimo annullamento va dichiarato nei confronti del M..
La decisione è assorbente di tutti gli altri motivi di ricorse.
p.q.m.
annulla nei confronti di F. G. e di P. C. e per l'effetto estensiva nei confronti di M. S. la sentenza impugnata, nonché la sentenza 11.4.2000 emessa dal Tribunale di Benevento nel confronti dei medesimi e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Benevento.
Roma, 25.10.2001
IL
CONSIGLIERE ESTENSORE
Giangiulio Ambrosini
IL PRESIDENTE
Pasquale Trojano
Depositato
in Cancelleria VI Sezione
21 dicembre 2001