Corte
di Cassazione, Sezioni Unite Penali,
Sentenza 9 maggio - 7 giugno 2001, 12 - 23427
R.G. 18940/00
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE PENALI
Dott.
Aldo Vessia- Presidente
1. Dott. Brunello Della Penna - Componente
2. " Bruno Frangini - "
3. " Renato Fulgenzi - "
4. " Bruno Rossi -
5. " Aldo Grassi - "
6. " Giovanni De Roberto - "
7. " Giuliana Ferrua - "
8. " Aldo Fiale - "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto dal Procuratore Generale presso, la Conte di appello di Firenze. avverso la sentenza emessa il 23-8-99 dal Pretore di Pisa nel procedimento a carico di N. P.
Visti gli atti, la sentenza denunciata ed il ricorso,
Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal consigliere dott. Giuliana Ferrua
Udito il Pubblico Ministero in persona dell'Avvocato Generale dott. Antonio Leo che ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata con riguardo al capo 2.
Vicenda processuale
Con sentenza 23-8-99 il Pretore di Pisa dichiarava N. P. responsabile del
reato di cui all'art. 474 c.p. (per avere detenuto per la vendita 5 cinture
aventi il marchio "Levi's Strauss" contraffatto; capo 1) e lo condannava,
con le attenuanti generiche, a pena stimata di giustizia; assolveva il medesimo
dall'imputazione ascrittagli ex art. 648 c.p. (per avere acquistato o comunque
ricevuto, al fine di trarne profitto, gli oggetti sopradescritti, provento
del reato di contraffazione di marchi e segni distintivi, commesso da ignoti;
capo 2) perché il fatto non sussiste.
Con riguardo alla pronuncia assolutoria il giudicante segnalava che i suddetti
reati non possono concorrere essendo le relative norme incriminatrici in rapporto
di specialità e che la ricezione o l'acquisto di prodotti con marchi
contraffatti non integra ricettazione in quanto tali beni non costituiscono
"provento" di delitto.
Avverso la riportata decisione ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore
Generale presso la Corte di appello di Firenze il quale ha denuncialo violazione
di legge in ordine alla esclusa ricorrenza del reato sub 2, all'uopo deducendo
la diversità delle condotte descritte dagli artt. 474 e 648 c.p.
II ricorso veniva assegnato alla quinta sezione penale della Cassazione ed
il collegio, rilevata l'esistenza di contrasto giurisprudenziale sulla questione
sottoposta al suo esame, disponeva trasmettersi gli atti alle Sezioni Unite.
Ragioni della decisione.
Il quesito per il quale il gravame è stato rimesso alle Sezioni Unite concerne dunque la possibilità o meno di concorso tra il reato di ricettazione e quello di commercio di prodotti con segni falsi, previsti rispettivamente dagli artt. 648 e 474 c.p.
I numerosi precedenti che sono pervenuti a soluzione positiva hanno sottolineato
l'inapplicabilità dell'art. 15 c.p. alla luce della eterogeneità
sia dell'elemento materiale che di quello psicologico delineati dalle menzionate
disposizioni nonché del bene da queste tutelato (Cass. 18-2-02060 RV.
177638; Cass. 30-6-88 n. 07505 RV. 178739; Cass. 13-12-88 n. 12249 RV. 179899;
Cass. 15-2-89 n. 12307 RV. 180501; Cass. 26-5-89 n. 07692 RV. 181408; Cass.
12-10-89 n. 13498 RV. 182239; Cass. 31-5-90 n. 07613 RV. 184490; Cass. 27-7-90
n. 10874 RV. 185018; Cass. 5-4-91 n. 03720 RV. 186763; Cass. 6-12-91 n. 12366
RV. 188808; Cass. 27-7-96 n. 03154 RV. 205594; Cass. 6-3-97 n. 02098 RV. 206998;
Cass. 17-12-99 n. 14277 RV. 215801). In particolare si è evidenziato:
- l'art. 474 c.p. non considera i comportamenti attraverso i quali si realizza
la ricettazione;
- la commercializzazione delle opere ovvero dei prodotti con marchi o segni
contraffatti non esige nel momento della ricezione la consapevolezza della
falsità, dato costitutivo della ricettazione;
- quest'ultima offende il patrimonio mentre l'altro reato la pubblica fede
commerciale. In talune sentenze (tre per l'esattezza: Cass. 27-4-98 n. 01315
RV. 210602; Cass. 14-1-2000 n, 05525 RV. 215569; Cass. 16-12-99 n. 05526 RV.
216377) è stato invece ritenuto che tra gli artt. 474 e 648 c.p. sussista
rapporto di specialità e che la norma in tenta di segni contraffatti
sia quella che: meglio qualifica il fatto, anche se presidiata da pena minore.
Questi gli argomenti a sostegno:
- l'art. 474 c.p. è diretto a tutelare non solo la pubblica fede, ma
altresì il patrimonio ed precisamente il monopolio sull'opera o sul
marchio: di conseguenza il delitto ivi sanzionato non può concorrere
con la ricettazione la quale offende un bene (il patrimonio) che è
già garantito.
- le attività di acquisto o di ricezione sotto presupposto necessario
della detenzione per la vendita e pertanto esse assumono rilevanza penale
solo in tale occasione, altrimenti realizzano un antefatto non punibile.
Nell'ambito dell'orientamento minoritario si è infine assunto che comunque
la ricettazione non sarebbe configurabile in relazione ad opere abusive o
con marchi contraffatti perché mancherebbe il requisito essenziale
di questa figura criminosa, ossia la circostanza che la cosa (ricevuta o acquistata)
provenga da delitto, posto che detti beni rappresenterebbero "prodotto"
e non "provento" del reato; del pari si è rilevato che l'acquisto
di quanto recante segni falsi non rientra nella previsione dell'art. 648 c.p.
non pregiudicando gli interessi alla correttezza del mercato né quelli
del titolare del segni stessi.
In senso contrario, anche su questo specifico punto, si è invece espresso
l'opposto indirizzo giurisprudenziale, sottolineando che la frase "cose
provenienti da qualsiasi delitto" va riferita all'apprensione di ogni
tipo di bene derivante da attività delittuosa e che le cose con segni
contraffatti sono provenienti da delitto, atteso che il contrassegno si immedesima
nel prodotto per cui, una volta impresso, diviene impossibile una distinzione
concettuale tra prodotto e segno (precisamente: Cass. 18-2-88 n.02060 RV.
177638; Cass. 30-6-88 n. 07505 RV. 178739; Cass. 13-12-88 n. 12249 RV. 179899;
Cass. 27-7-90 n. 00874 RV. 185018; Cass. 5-4-91 n. 03720 RV. 186763; Cass.
27-7-96 n. 03154 RV. 205593; Cass. 28-10-00 n. 11083 RV. 217381).
Procedendo in ordine logico queste Sezioni osservano.
Innanzitutto occorre affrontare il problema - che si colloca su di un piano
ben distinto dir quello del concorso, apparentemente o reale, degli artt.
474 e 648 c.p. - circa la ipotizzabilità della ricettazione qualora
la ricezione abbia ad oggetto cose con marchi o segni contraffatti: se la
risposta dovesse essere negativa è chiaro che non si porrebbe più
questione di concorso, derivando l'inapplicabilità della disposizione
di cui all'art. 648 c.p. dalla circostanza che essa non qualifica il citato
contesto e non già dall'essere questo incriminato da entrambe le norme.
In realtà una siffatta conclusione va respinta.
Il legislatore, nel sanzionare ex art. 648 c.p. l'acquisto o la ricezione
di cose "provenienti da qualsiasi delitto" ovvero l'intromissione
in simili attività, ha inteso colpire ogni acquisizione patrimoniale
consapevolmente ottenuta o procurata in virtù di beni aventi origine
delittuosa; in codesta visione e considerato altresì il fine di profitto
nel quale si concreta il richiesto dolo specifico ("fine di procurare
a se o ad altri un profitto"), trova spiegazione l'inserimento della
figura fra i reati contro il patrimonio, dovendosi al contempo riconoscere
che la condotta tipica è idonea a rafforzare l'offesa arrecata con
il fatto criminoso presupposto.
Quest'ultimo peraltro, può essere di qualsiasi natura c non necessariamente
contro il patrimonio: il che è confermato dal termine "qualsiasi"
e corrisponde alla illustrata ratio dell'incriminazione; del resto la giurisprudenza
di legittimità si è ripetutamente pronunciata in tal senso,
ravvisando la ricettazione con riguardo a pistola con matricola abrasa, a
opere cinematografiche e musicassette abusivamente riprodotte, a assegni turistici
falsi, a sigilli contraffatti, a moduli falsificati di identità (Cass.
30-11-83 n. 10251; Cass. 6-5-93 n. 04625 RV. 194158; Cass. 12-1-94 n. 00148
RV. 197027; Cass. 29-12-95 n.12788 RV. 203148; Cass. 16-4-97 n. 03527 RV.
207227; Cass. 15-5-97 n. 02667 RV. 207833).
Tanto premesso, onde individuare l'esatta area di operatività dell'art.
648 c.p., deve stabilirsi la portata dell'espressione "cose provenienti
da reato".
La stessa si palesa ampia né sussiste ragione alcuna, sotto il profilo
letterale ovvero dal punto di vista logico, per interpretarla siccome limitata
a quanto costituisce "il profitto" del reato c non invece quale
volta a comprendere in sé anche "il prodotto", puntualizzandosi
che "proviene" da reato ciò che col reato è creato.
Orbene, è indubbio che l'apposizione di un segno contraffatto su un
bene (fattispecie delittuosa ai sensi dell'art. 473 c.p.) funga da fonte rispetto
alla cosa così realizzata nella quale il segno si fonde. ne deriva
che acquisizione del tutto, con la consapevolezza della sua contraffazione,
integra una condotta rilevante ai sensi della suddetta previsione.
La tesi contraria è priva di aderenza al dato normativo, testualmente
e razionalmente inteso; in particolare non può sostenersi che attraverso
l'acquisto della cosa avente il segno
contraffatto non si arrechi offesa al diritto del titolare dell'esclusiva
ed alla correttezza del mercato. Così ragionando si confonde l'oggettività
giuridica del reato di ricettazione con quella del delitto presupposto di
cui all'art. 473 c.p., mentre in realtà è innegabile che un
acquisto del genere realizzi l'offesa tipica del primo: basti osservare che
gli acquirenti o più in generale i destinatari ricevono la cosa con
un attributo che essa non potrebbe avere, il quale viene valutato dal mercato
in termini positivi ed è conseguente alla ingerenza indebita nell'altrui
creazione e diritto di esclusiva.
Riconosciuto dunque che l'apprensione di entità con segni o marchi
falsificati è in astratto riconducibile alla ricettazione, può
passarsi all'esame dell'ulteriore questione.
Sussiste concorso fittizio di norme qualora una pluralità di disposizioni
sia apparentemente applicabile nei confronti di un determinata condotta, mentre
in effetti una sola di esse può operare perché altrimenti verrebbe
addebitato più volte un accadimento unitariamente valutato dal punto
di vista normativo, in contrasto col principio del ne bis in idem sostanziale
posto a fondamento degli artt. 15, 68, 84 c.p.
Una tale. convergenza ricorre in primis quando, ai sensi dell'art. 15 c.p.,
due norme regolino "la stessa materia", ossia qualifichino una identico
contesto fattuale nel senso che una delle suddette comprenda in sé
gli elementi dell'altra oltre ad uno o più dati specializzatiti: in
questo caso dovrà prevalere, salvo che sia altrimenti stabilito, la
previsione, speciale ossia quella che descrive la situazione con maggiori
particolari.
Poiché il citato criterio presuppone una relazione logico-strutturale
tra norme ne deriva che la locuzione "stessa materia" va intesa
come fattispecie astratta - ossia come settore, aspetto dell'attività
umana che la legge interviene a disciplinare - e non quale episodio in concreto
verificatosi sussumibile in più norme, indipendentemente da un astratto
rapporto di genere a specie tra queste.
In base a quanto sopra è da escludersi che gli artt. 648, 474 c.p.
attribuiscano rilevanza penale alla stessa materia. All'uopo
il richiamo alla natura del bene protetto - effettuato, con divergente valutazione,
sia dalle sentenze che affermano una situazione dl specialità sia da
quelle che la negano - non pare decisivo.
E' pur vero che vari precedenti di queste Sezioni, ai fini della nozione che
qui interessa, si sono riportati a detto dato: esso, in ogni caso, non è
stato presto in considerazione quale unico fattore, ma unitamente agli aspetti
comportamentali, oggettivi e soggettivi, della fattispecie (Cass. S.U. 31-4-76
Il. 00010 imp. Canidu RV. 13365; Cass. S.U. 7-7-81 n. 06713 imp. Santamaria
RV. 149667; Cass. S.U. 19-1-82 n. 00420 imi). Emiliani RV. 151618; Cass. S.U.
8-1-98 il, 00119 imp. Deutsch RV. 20912. Il concetto de quo in Cass. S.U.
13-9-95 n. 09568 imp. La Spina RV. 202011 è stato utilizzato per così
dire ad abundantiam, essendosi escluso un concorso fittizio tramite il rilievo
espressamente definito "risolutivo" della diversa natura, penale
e procedimentale, delle norme esaminate: artt. 218 c. 6 c.d.s. e. 108 disp.
att. c.p.p.).
D'altro canto è da ricordare che recentemente queste Sezioni hanno
chiaramente sottolineato, in tema di individuazione di continuità normativa
o meno tra reati, la necessità di accertare ed identificare, secondo
le. regole proprie del concorso apparente di norme, gli elementi strutturali
delle ipotesi tipiche, con riguardo alla natura ed modalità dei comportamenti
nonché ai caratteri del dolo (Cass. S.U. 7-11-00 n. 00027 imp. Di Maino
RV. 217031; Cass. S.U. 15-1-00 n. 00035 imp. Sagone RV. 217374).
Né va sottaciuto che il riferimento alla identità o diversità
dei beni tutelati può dare adito a dubbi nel caso di reati plurioffensivi;
a ciò aggiungasi che le parole "stessa materia" sembrano
utilizzate in luogo di "stessa fattispecie" o "stesso fatto",
per comprendere nel dettalo dell'art. 15 c.p. anche il concorso di norme non
incriminatrici che altrimenti resterebbe escluso.
Tornando ai rapporti tra l'art. 648 c.p. e l'art. 474 c.p si rileva: nella
ricettazione viene incriminato l'acquisto e più in generale la ricezione
(ovvero l'intromissione in tali attività) di cose provenienti da reato;
l'art. 474 c.p. sanziona invece la detenzione per la vendita o comunque la
messa in circolazione di beni con marchi o segni contraffatti e
non contempla il momento dell'acquisto; l'azione raffigurata nella prima norma
è istantanea, mentre la detenzione a fini di vendita è permanente
ed interviene successivamente.
Dal raffronto che si è operato emerge dunque clic le condotte delineate
sono ontologicamente nonché strutturalmente diverse e che esse non
sono neppure contestuali, essendo ipotizzabile una soluzione di continuità
anche rilevante; né varrebbe assumere che l'una presuppone l'altra:
infatti, se la detenzione implica per sua statura un'apprensione, questa non
integra sempre la ricettazione, ben potendosi verificare un acquisto senza
la consapevolezza del carattere contraffatto dei segni (elemento essenziale
della ricettazione), con posticipata presa di conoscenza e deliberazione di
porre in circolazione i relativi prodotti. In tal caso la ricettazione non
sarà addebitabile, non certo perché vi sia concorso apparente
di norme, bensì perché gli estremi della medesima non risultano
realizzati; di converso potrebbe accadere che la ricezione del bene con marchio
contraffatto integri detto reato, ma non si addivenga all'altro ed allora
è ovvio che si risponderà solo di ricettazione.
Sintomatica è la circostanza che l'art. 455 c.p. - in tema di messa
in circolazione e spendita di monete falsificate - abbia inserito l'acquisto
tra i comportamenti incriminati, così atteggiandosi, stante la peculiarità
dei beni ricevuti, quale disposizione speciale rispetto all'art. 648 c.p.:
l'assenza di un analogo elenco nell'art. 474 c.p. indica la inapplicabilità
dell'art. 15 c.p.p.
Rimane da verificare se, al di là del principio di specialità,
il concorso materiale dei reali per cui si discute debba essere escluso alla
luce di una diversamente manifesta volontà normativa di valutare in
termini di unitarietà le pur disomogenee fattispecie.
L'esito è negativo.
Non esiste al proposito clausola di riserva, essendo quella di cui all'art.
474 c.p. limitata al concorso nel reato di cui all'art. 473 c.p.; né
potrebbe invocarsi il criterio della consunzione e precipuamente ipotesi di
"ante factum" non punibile affermandosi che la detenzione a fini
di vendita - se non necessariamente, quantomeno secondo l'id quod
plerumque accidit - passa attraverso una ricettazione per cui il legislatore
si sarebbe rappresentato una tale evenienza con previsione globale sotto il
profilo sanzionatorio.
Una siffatta operazione interpretativa di giudizi di valore, onde evitare
che venga pregiudicata la fondamentale esigenza di determinatezza in campo
penale, postula che la considerazione abbinata delle vicende tipiche sia resa
oggettivamente evidente e detta risultanza non può che essere individuata
nella maggiore significatività della sanzione inflitta per il reato
consumante o assorbente; quando invece sia più grave la pena sancita
per quello che andrebbe assorbito, la consunzione va negata, dovendosi ravvisare
un intento di consentire, attraverso una effèttivo autonomo apprezzamento
del disvalore delle ipotesi criminose, il regime del concorso dei reati. Invero,
l'avere sottoposto a più benevolo trattamento il fatto/reato che potrebbe
per la sua struttura essere assorbente, sta a dimostrare che della fattispecie
eventualmente assorbibile non si è tenuto conto: pertanto la norma
che la punisce è applicabile in concorso con l'altra, senza incorrere,
in duplicità di addebito.
Nel presente caso, poiché la ricettazione è punita più
gravemente rispetto al commercio di prodotti con segui contraffatti, non ricorrono
gli estremi per l'assorbimento del primo delitto nel secondo.
Concludendo si enunciano i seguenti principi:
- La ricettazione è configurabile con riguardo a condotta che abbia
ad oggetto beni con segni o marchi falsi.
- il reato di ricettazione dei suddetti beni può concorrere con quello
di commercio dei medesimi.
Per le svolte argomentazioni s'impone, a mente dell'art. 569 c. 4 c.p.p.,
l'annullamento della sentenza gravata con rinvio per nuovo giudizio in ordine
al reato sub 2 alla Corte di appello di Firenze la quale dovrà, attenendosi
alle regole ermeneutiche che sono state esposte, accertare se in concreto
si siano verificati gli estremi oggettivi e soggettivi della ricettazione
contestata all'imputato ed in caso positivo rideterminare la pena in base
alle norme sul concorso materiale dei reati.
P.Q.M.
La Corte
in accoglimento del ricorso del Procuratore Generale annulla la sentenza impugnata con rinvio per il relativo giudizio alla Corte di appello di Firenze.
Roma, 9-5-01.
Il Cons. est. Il Presidente
Sezioni
Unite Penali
Depositato in Cancelleria
il 7 GIU 2001