Gianluca Pomante, Ricettazione e software abusivo (*)
Il reato di ricettazione
è un reato comune, caratterizzato dal dolo specifico consistente nella
coscienza e volontà di trarre profitto, per se stessi o per altri, dall'acquisto,
dalla ricezione o dall'occultamento di beni di provenienza delittuosa.
Ad una prima superficiale analisi, dunque, il reato di ricettazione dovrebbe
avere poco o nulla a che fare con i reati informatici.
Tuttavia, a causa dell'introduzione dell'art. 171 bis nella citata Legge 633/1941,
il reato di ricettazione potrebbe diventare il comportamento delittuoso, in
materia di criminalità informatica, punito con maggiore severità.
In sostanza, chiunque acquista software duplicato illecitamente commette un
reato ben più grave di quello previsto e punito dal citato art. 171 bis,
e rischia l'applicazione di pene decisamente sproporzionate se rapportate alla
reale entità della condotta criminosa.
Parte della dottrina non ritiene applicabile la fattispecie del reato di ricettazione
ai programmi e ai dati, considerati beni immateriali non assimilabili alle cose
mobili né alle energie e, in quanto tali, insuscettibili di sottrazione,
di spossessamento, di apprensione, di godimento, ecc.
Poiché il software viene assimilato ex lege alle opere dell'ingegno,
l'oggetto della norma è stato individuato nel programma per elaboratore
e svincolato dal supporto che lo contiene. L'impostazione è peraltro
giustificata dal regime contrattuale di tali opere, per le quali non viene trasferita
la titolarità del programma ma semplicemente concessa la licenza di utilizzarlo.
La diversa tesi dell'incorporazione del software nel supporto che lo veicola
appare, in questa visione del problema, fuorviante ed imprecisa per diversi
motivi:
1) la contestazione del reato di ricettazione prevede l'avvenuto trasferimento
di beni o denaro di provenienza delittuosa; ma nel caso di specie il supporto
che contiene il software è di provenienza lecita, essendo stato acquistato
regolarmente prima di memorizzarvi il programma; l'azione delittuosa consiste,
in realtà, nel cedere il software sprovvisto di licenza d'uso;
2) l'esistenza di un legame tra il programma ed il supporto sul quale è
memorizzato presuppone l'estensione analogica del regime giuridico dei titoli
di credito (che incorporano il diritto del quale sono rappresentazione, formalizzandone
l'esistenza) alla fattispecie della duplicazione abusiva del software, nella
quale, invece, il supporto magnetico originale non incorpora la licenza d'uso
(e quindi il diritto dell'autore di ricevere il proprio corrispettivo) che pur
rilasciata insieme ad esso ne resta fisicamente distinta;
3) esistono delle ipotesi delittuose di acquisizione di software sprovvisto
di licenza d'uso che non prevedono alcun trasferimento del supporto fisico contenente
il programma; è il caso specifico di Internet e di ogni altra rete telematica,
attraverso le quali è possibile acquisire, a titolo oneroso o gratuito,
software sprovvisto di licenza d'uso mediante un trasferimento dati; ogni diversa
considerazione porterebbe all'illogica conclusione ritenere ricettato solo il
software senza licenza acquisito mediante il trasferimento dei supporti materiali
che lo incorporano.
Secondo tale impostazione, pertanto, ogni forma di tutela ai beni informatici,
nella specie il software, date le particolari caratteristiche che lo contraddistinguono,
in primis l'immaterialità, può essere accordata esclusivamente
dalla normativa di parte speciale che lo riguarda - art. 171 bis l.d.a. - e
solo un articolo del codice che operasse in regime di specialità rispetto
all'art. 648 c.p., disciplinando il trasferimento illecito di software, potrebbe
punire un reato analogo alla ricettazione tradizionale nello specifico settore
dei programmi per elaboratori.
Altri autori, diversamente argomentando, ritengono invece che i beni informatici,
seppure aventi la caratteristica dell'immaterialità, siano comunque suscettibili
di impossessamento quando incorporati nei supporti materiali che li rappresentano.
Se, pertanto, la sottrazione di un supporto magnetico contenente un'opera letteraria
può integrare il reato di furto, necessariamente la successiva cessione
del bene di provenienza delittuosa può integrare il reato di ricettazione.
A ciò si aggiunga che la dottrina ritiene perseguibile il reato di ricettazione
sull'assunto che in esso si perpetua la situazione lesiva dell'interesse patrimoniale
della vittima creata con la consumazione del delitto presupposto.
Per la contestazione del reato, pertanto, è sufficiente che l'iniziale
nocumento arrecato dal reato principale si perpetui nella successiva condotta
delittuosa dell'acquisto, ricezione o occultamento del bene di provenienza delittuosa.
Circostanza che non può negarsi nel caso in esame.
L'acquisto, la ricezione o l'occultamento di software non originale, infatti,
certamente comporta la persistenza della situazione lesiva creata con la condotta
delittuosa prevista e punita dall'art. 171 bis della Legge 633/1941.
A ciò si aggiunga che il rapporto di accessorietà tra ricettazione
e reato presupposto si esprime, di regola, nella dipendenza della punibilità
della prima dalla punibilità del secondo, relazione ulteriormente confermata
dall'ultimo comma dell'art. 648 c.p., che prevede l'applicabilità delle
sanzioni al ricettatore anche qualora l'autore del delitto dal quale le cose
provengono non sia imputabile o non sia punibile.
Tanto premesso, il meccanismo sanzionatorio instauratosi a causa dell'interazione
delle citate disposizioni, può comportare, a seconda dell'interpretazione
data dal Giudice alla fattispecie, l'applicazione delle sole sanzioni di cui
all'art. 171 bis l.d.a. ovvero la reclusione da due a otto anni e la multa da
due a venti milioni di lire ex art. 648 c.p..
In tale ultimo caso, salvo ipotesi di pregevole contraffazione dei segni distintivi
del software originale e della relativa licenza d'uso, non potrebbe neppure
essere invocata l'applicazione dell'art. 712 c.p. (incauto acquisto) in luogo
dell'art. 648 c.p.. Secondo dottrina e giurisprudenza dominanti, infatti, il
criterio distintivo tra ricettazione ed incauto acquisto va colto sul piano
psicologico della conoscenza certa o del mancato accertamento della provenienza
delittuosa del bene.
Alla luce di quanto sopra esposto, è evidente l'iniquità cui si
perverrebbe nell'applicazione del complesso meccanismo normativo instaurato
dal rapporto tra l'art. 171 bis, Legge 633/1941 e l'art. 648 c.p., ed è
tuttavia elevatissimo il rischio che un comune cittadino, ignaro della gravità
del reato che potrebbe essergli contestato, venga accusato di ricettazione a
causa dell'acquisto, ad esempio, presso un venditore ambulante o addirittura
presso un negozio, di un cd-rom per Playstation duplicato illegalmente - situazione
decisamente comune e diffusa - destinato alla consolle con la quale giocano
i propri figli
Appare opportuno evidenziare, peraltro, che la consolle Playstation - sul mercato
da ben quattro anni, ma fino a metà del 1998 non troppo gettonata a causa
dell'elevato costo dei giochi - deve il suo recente successo, che tanto ha giovato
al bilancio della Sony, permettendole di escludere definitivamente dal mercato
la concorrente Nintendo, proprio alla notevole disponibilità di software
illegale. Con la diffusione su vasta scala, nel secondo semestre del 1998, di
un chip in grado, una volta installato sulla consolle al posto di quello originale,
di farle leggere qualsiasi cd-rom ottenuto duplicando supporti originali playstation
mediante un normale masterizzatore per personal computers, il mercato italiano
è stato letteralmente invaso da cd-rom duplicati e venduti - in confezioni
a volte identiche agli originali, marchio SIAE compreso - non solo da extracomunitari
ed ambulanti ad un prezzo irrisorio (10.000/15.000 lire per ogni cd-rom contro
le 90.000/120.000 lire degli originali) ma finanche da negozi specializzati.
Ciò ha comportato una corsa all'acquisto delle consolle - la vera esplosione
c'è stata nel periodo natalizio - che, opportunamente modificate nel
modo appena descritto, sono ormai più diffuse dei televisori necessari
per farle funzionare.
Ad ulteriore conferma della iniquità del citato combinato disposto normativo,
è sufficiente sottolineare che, mentre la duplicazione abusiva di software
è punita solo qualora il fine perseguito sia il lucro (ossia il guadagno
derivante dalla distribuzione in qualsiasi forma, previo compenso, del programma
duplicato abusivamente), per concretizzare il reato di ricettazione è
sufficiente il mero profitto, ossia il vantaggio derivante dal non aver corrisposto
il prezzo della licenza d'uso allegata al software originale.
A ciò si aggiunga che, in ogni caso, non sarebbe perseguibile, pur vertendosi
in materia di lesione del diritto d'autore per aver acquisito un software sprovvisto
di licenza d'uso, il medesimo comportamento attuato mediante trasferimento elettronico
di dati su una rete telematica come Internet (mancando la consegna del supporto
fisico), venendosi così a creare un'ingiustificata quanto ingiusta discriminazione
tra comportamenti identici sotto il profilo psicologico soggettivo e dal punto
di vista dell'azione e del danno arrecato.
La situazione di stallo tra le correnti di pensiero, inoltre, comporta per il
Giudice la necessità di decidere se applicare o meno le sanzioni previste
dall'art. 648 c.p.; conseguentemente al giudicante è concesso un eccessivo
margine di discrezionalità, che travalica l'interpretazione della norma
e ne rende incerta l'applicazione, in palese violazione del principio di legalità
sancito dall'art. 25 della Costituzione.
L'ipotesi è decisamente inquietante e necessita di un'urgente revisione
da parte del Legislatore, soprattutto considerando che l'acquisto di software
sprovvisto di licenza d'uso, dalla maggior parte dei comuni cittadini, non viene
ritenuto un reato grave e, a volte, neppure viene considerato tale. Fino a quando
il Legislatore non interverrà, ponendo una diversa norma, dai caratteri
fortemente attenuati, in regime di specialità con l'art. 648 c.p., per
punire il reato di ricettazione di software duplicato abusivamente, il rischio
che venga condannato ad una pena severissima un soggetto ignaro perfino di infrangere
la legge è decisamente alto.
(*) Il
brano è tratto da Gianluca Pomante, Internet e criminalità, Torino,
1999, Giappichelli. Maggiori informazioni nella pagina "In
libreria".
Per comunicare direttamente con l'autore: gpomante@tin.it.