Massimo Mannucci, Alcuni profili problematici nella applicazione pratica delle disposizioni che hanno introdotto nel nostro ordinamento la competenza penale del Giudice di Pace

Le norme sulla competenza penale del giudice di pace si presentano, appena all’indomani della loro entrata in  vigore, dense di profili  problematici per l’operatore quotidiano del diritto.

Esigenze di chiarezza consigliano di procedere ad una trattazione il più possibile schematica, anche se inevitabilmente incompleta.

Con riferimento alla disciplina dell’attività di  indagine:

nella fase delle indagini preliminari il legislatore ha ritenuto di affidare alla polizia giudiziaria un ruolo autonomo  e per certi aspetti propulsivo rispetto ai poteri di indirizzo e di delega del pubblico ministero.

Così per il compimento di accertamenti tecnici irripetibili è prevista l’autorizzazione del Pubblico Ministero  su richiesta della polizia giudiziaria, da ciò si può dedurre in via alternativa che gli accertamenti tecnici ripetibili possono essere effettuati liberamente dalla polizia giudiziaria ovvero che sono riservati esclusivamente alla successiva eventuale attività di indagini effettuata dal Pubblico Ministero.

Per quanto riguarda invece gli interrogatori o i confronti con la persona sottoposta ad indagini, nonchè le perquisizioni ed i  sequestri non possibili di iniziativa, il Pubblico Ministero ha la facoltà di  compiere gli atti di indagine personalmente.

Sembrerebbe pertanto che al Pubblico Ministero venga affidata una triplice opzione: compiere l’atto personalmente,  autorizzare la polizia giudiziaria nei casi in cui è possibile, od ancora  rimanere inerte qualora non ravvisi la necessità di effettuare l’atto di indagine.

In ipotesi di autorizzazione dovrebbe spettare alla polizia giudiziaria autorizzata la  predisposizione dell’atto di nomina del consulente tecnico, la nomina del difensore di ufficio con le informazioni indicate nell’art. 369 bis c.p.p. e la notifica degli avvisi di cui agli artt. 360 e 364 c.p.p., nonchè dei decreti di perquisizione e di sequestro.

In tali casi si pone il problema se occorre la convalida del Pubblico Ministero anche per i sequestri e le perquisizioni dalla stessa Autorità Giudiziaria preventivamente  autorizzati. Infatti si può in maniera plausibile sostenere che l’operato  della polizia giudiziaria, sebbene autorizzato ex ante, abbia comunque necessità di una verifica di legittimità ex post.

In ogni caso permangono seri problemi di compatibilità del nuovo istituto della “perquisizione autorizzata” con i principi costituzionali e generali che improntano il sistema secondo i quali tali atti così invasivi rispetto alla libertà ed alla riservatezza personale possono essere compiuti solo in presenza di un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria.

Sempre riguardo all’attività della polizia giudiziaria sembrerebbe che la stessa possa assumere sommarie informazioni da persone informate sui fatti, dall’indagato in presenza del difensore senza richiedere l’autorizzazione.

Mentre il silenzio del legislatore relativamente  agli ordini di esibizione di cui all’ art. 256 c.p.p. rivolti ai soggetti indicati negli artt. 200 e 201 c.p.p., sembra interpretabile nel senso che tale attività sia sempre riservata al pubblico ministero.

Con riferimento alla disciplina della competenza per  reati connessi:

nel caso in cui una persona risulti sottoposta ad indagini per più reati, alcuni di competenza del giudice di pace ed altri del giudice ordinario, la riunione davanti al giudice competente per il reato più grave potrà verificarsi esclusivamente laddove  i reati siano stati commessi con una sola azione od omissione.

La scelta di ridurre drasticamente i caso di connessione capaci di influire sulla competenza scatenerà l’ inevitabile conseguenza di una proliferazione dei processi.

Così nell’ipotesi, tutt’altro che  infrequente, in cui la persona offesa chieda la punizione  del querelato per una ingiuria  o una minaccia non grave e per una successiva minaccia, lesione e/o  danneggiamento aggravato, si dovranno celebrare due processi con le stesse parti e gli stessi testimoni sostanzialmente sui medesimi fatti, ma con riti e davanti a giudici diversi.

Con riferimento al reato di cui  all’art. 186 CdS:

innanzi tutto si avverte la netta sensazione che l’innesto di tale tipologia di reato nel novero di quelli di competenza del Giudice di Pace non si concilia affatto con il criterio ispiratore della legge di affidare ad un giudice non togato la cognizione di fatti riconducibili alla microconflittualità interindividuale.

Inoltre l’impossibilità da parte del Pubblico Ministero di esericitare l’azione penale con richiesta di decreto penale di condanna determinerà notevoli  aggravi nella gestione dei dibattimenti nel corso dei quali il giudice di pace dovrà essenzialmente ratificare o meno il risultato oggettivo del responso dell’ alcoltest e graduare la pena da infliggere nel caso concreto.

Nell’ottica di scongiurare il rischio dell’infalzione, appare opportuno considerare che la modifica della sanzione edittale, passata dalle pene congiunte  dell’ arresto e dell’ ammenda a quella della pena alternativa della  permanenza domiciliare o dell’ ammenda, sembra preludere alla possibilità di accedere alla procedura dell’oblazione prevista dall’art. 162 bis c.p. appunto per le contravvenzioni punite con pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda. Nel silenzio della legge sul GP in ordine alla possibilità di estinguere il reato con il pagamento dell’oblazione, sembrano applicabili le regole generali dettate dal codice penale e non appaiono sussitere argomenti sistematici tali da sconsigliare l’equiparazione, a seguito di una applicazione analogica in bonam partem, della pena dell’arresto a  quella della  permanenza in casa.

Con riferimento al reato di cui all’art. 590 cp:

il legislatore ha affidato alla cognizione del giudice di pace i delitti di lesioni colpose perseguibili a querela, escluse quelle connesse a colpa professionale e a violazioni di norme antinfortunistiche o malattia professionale se guaribili in un periodo di tempo superiore a 20 giorni. Quindi se le  lesioni sono per esempio  conseguenza di un sinistro stradale risulta competente il Giudice di Pace  anche se le lesioni patite sono gravissime.

Tale scelta determinerà anch’essa un aggravio del carico di lavoro nella fase dibattimentale. Attualmente infatti il ricorso alla querela da parte della persona offesa è spesso indotto dal tentativo di esercitare una pressione ulteriore al fine di ottenere il risarcimento del danno alla persona subìto dal querelante il quale, appena risarcito, è solito desistere dalla pretesa punitiva rimettendo al querela e determinqando l’estinzione del reato con conseguente  l’archiviazione del procedimento ancora nella fase delle indagini preliminari.

Tuttavia il pervenimento a tale esito fattuale e processuale richiede un congruo lasso di tempo atteso che l’ accertamento dell’entità delle lesioni permanenti  necessita inevitabilmente del trascorrere di tempi tecnici legati alla completa guarigione dalla invalidità temporanea. I ritmi  più serrati imposti dal legislatore alla polizia giudiziaria, tradizionalmente più zelante dei magistrati del Pubblico Ministero (anche a causa di rapporti gerarchici maggiormente cogenti)  ad osservare termini procedimentali anche non perentori, e la cadenza incalzante del rito davanti al giudice di pace non appaiono  tali da consentire l’espletamento delle procedure di componimento stragiudiziale della controversia civile sottostante alla volontà di querelarsi.

Pertanto se conciliazione ci sarà essa avverrà solo nella fase del giudizio, magari di secondo grado, e non come finora per lo più avviene nel corso delle indagini preliminari.

Con riferimento all’esclusione della sospensione consizionale della pena:

L’art. 60 del dlg. 274/2000 prevede testualmente che “le disposizioni di cui agli artt. 163 e seguenti del codice penale, relative alla sospensione condizionale della pena, non si applicano alle pene irrogate dal giudice di pace”.

A parte il dubbio se la pena detentiva irrogata dal giudice di pace (v. art. 58 dlg. citato il quale  al I comma prevede che per ogni effetto giuridico debba essere  considerata come pena detentiva della specie corrispondente a quella originaria) sia o meno idonea a revocare il beneficio già concesso, non è altresì  chiaro se il legislaltore  abbia inteso riferirsi  in senso stretto alle sole pene irrogate  in concreto dal giudice di pace, ovvero anche alle pene previste  dal dlg. 274/2000, ma irrogate in concreto dal giudice ordinario investito della cognizione sul reato vuoi durante regime transitorio vuoi in applicazione della norma di cui all’art. 6  che regola la competenza per materia determinata dalla connessione.

Nella prima ipotesi si verificherebbe la irragionevole conseguenza, probabilmente foriera di un vulnus costituzionale,  che per la medesima pena irrogata a seguito della commissione di un identico fatto di reato colui che è stato condannato dal giudice di pace  non potrebbe godere della sospensione della pena, beneficio riservato al soggetto condannato dal giudice ordinario.

Un modo di conciliare la disciplina in esame  con i principi costituzionali potrebbe essere quello di accedere all’interpretazione estensiva sopra cennata in base alla quale il divieto di sospensione opererebbe anche con riferimento  alle pene inflitte dal giudice ordinario per reati di competenza del giudice di pace.

Si giungerebbe tuttavia all’assurdo di ritenere che per esempio nel caso non infrequente di molestie telefoniche (art.660 c.p. di competenza del giudice ordinario) e di contestuali ingiurie e/o minacce di competenza del  giudice di pace, solo la pena irrogabile per il primo reato sarebbe suscettibile di  sospensione.

Altra problematica è quella che si determina allorquando il giudice ordinario è chiamato a giudicare una reato  come (lesioni, minaccia e danneggiamento  aggravati), che nella forma non circostanziata è invece di competenza del giudice di pace.

Orbene in tal caso se il giudice ordinario ritenesse di applicare una o più circostanze attenuanti considerandole anche solo equivalenti nel giudizio di bilanciamento, dovrebbe applicare la pena prevista per il reato semplice che dovrà essere individuata in quella indicata dall’ art. 52 del dlg. 274/2000  che sembra emendare le  corrispondenti sanzioni edittali del codice penale laddove testualmente recita: “per gli altri reati di competenza del giudice di pace le pene sono così modificate”.

Ne deriverebbe che, ad esempio, nel caso di lesioni aggravate in cui la circostanza  aggravante fosse elisa da un’ attenuante, la pena inflitta dal giudice ordinario  non potrebbe essere sospesa, mentre potrebbe essere sottoposta a sospensione condizionale  se le attenuanti non venissero riconosciute ovvero venissero considerate subvalenti.

Le conseguenze sarebbero evidentemente aberranti laddove il trattamento sanzionatorio in concreto risulterebbe più afflittivo per un reato considerato dal legislatore meno grave.

Tale novità suscita quindi qualche consistente dubbio su una possibile irragionevole disparità di trattamento in relazione ad una disciplina complessiva che, da un lato, consente la sospensione della pena irrogata dal Tribunale per reati ben più allarmanti, e dall’altro, impone l’ esecuzione della pena anche di carattere custodiale, come l’obbligo di permanenza domiciliare, per reati assai meno  gravi e per soggetti nei confronti dei quali sarebbe possibile formulare una prognosi favorevole sul pericolo di recidiva.

In tali ipotesi la ineluttabiità della esecuzione della pena detentiva sembra inoltre collidere con il precetto costituzionale secondo il quale la pena deve tendere alla rieducazone ed al reinserimento sociale del condannato.

Si può pertanto concludere che, come si evince da tali sommari e disordinati spunti di riflessione, la disciplina delle competenze penali del giudice di pace è destinata ad avere ripercussioni di notevole impatto sull’apparato normativo preesistente ponendo problemi di coordinamento non facilmente dirimibili.

- Massimo Mannucci - Magistrato - gennaio 2002

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