Piera Caprioglio, La nuova udienza preliminare ed il nuovo giudizio abbreviato , potere del Gup di integrazione della prova

(Incontro di studi nell’ambito della formazione decentrata del distretto Corte d’appello di Torino del 16.10.2001)

1. -Premessa-

Sono trascorsi quasi due anni dall’entrata in vigore della L. 16.12.1999 , n. 479 c.d. Legge Carotti, che con l’avvento del nuovo millennio ha sicuramente impresso un corso nuovo alla dinamica processuale , mutando radicalmente le geometrie del modello processuale istituito con il codice del 1989.

Stiamo per celebrare il dodicesimo compleanno del codice Vassalli e quindi sia consentito un fugace cenno al passato, per capire meglio le ragioni di questa profondissima riforma operata a mo’ di trapianto nel corpo di un esausto impianto processuale , intervento che a mio parere è stato frutto di una scelta necessitata , ancorchè in totale controtendenza , rispetto alle linee ispiratrici del nuovo rito.

E allora prima di entrare nel dettaglio delle principali innovazioni, ma soprattutto dei risvolti pratici che queste innovazioni hanno determinato e dell’impatto avuto sul nostro ufficio in particolare, io penso sia bene svolgere alcune brevissime considerazioni di “filosofia del processo”.

Nel 1989 la riforma processuale si inseriva in una realtà sicuramente pesante , gravida di contraddizioni, non idonea a fronteggiare fenomeni nuovi , come quello ad es. del pentitismo, che era esploso negli anni ottanta; inutile ripetere che il contesto nel quale la riforma si inserì , possiamo definirlo come quello di una realtà che non poteva continuare ad essere , una realtà del “non dover essere”, una realtà che pretendeva interventi di riforma radicale, non tollerandosi più giudizi su prove raccolte nel silenzio della stanza dell’istruttore , prove catapultate in una sede dibattimentale e recepite per lo più integralmente a livello di giudizio, salva la sensibilità e l’accortezza del giudicante ( virtù che ahimè , talora possono mancare ) nel rivisitare la prova , nel sondarne lo spessore, nel valutarne la portata alla luce del complesso delle altre prove raccolte, senza dare nulla per scontato e non scartando l’eventualità che il teste abbia potuto mal comprendere, o abbia potuto mal esprimersi o sia stato mal interpretato.

Dunque nessuno può oggi revocare in dubbio che il 1989 rappresentò una data indifferibile per la consegna di un nuovo modulo processuale alla collettività.

Quello su cui si può discutere è il tipo di scelta operata dal legislatore , una scelta che alcuni non esitarono mai a definire assolutamente infelice , a costo di passare per indomiti conservatori , frutto di condizionamenti ideologici , assolutamente inadeguata alla realtà fenomenica , alla contingente realtà che quotidianamente l’umile operatore della giustizia ha di fronte. E per contingente realtà basta ricordare alcuni fattori sotto gli occhi di tutti : la resistenza del teste ad andare davanti al giudice per rappresentare la realtà osservata; la tendenza che constatiamo ogni giorno a manipolare la realtà a nostro uso e consumo (basta subire un incidente stradale per sentirsi dire dall’assicurazione di cercarci un testimone , pur a fronte della indicazione che nessuno ha assistito al sinistro, testimone che sistematicamente salta fuori per la controparte , meno sensibile ai canoni della legalità); il sistematico avvicinamento e condizionamento pesante del teste in ambienti ad elevato tasso criminale…..

Questi sono fattori della “ realtà dell’essere “ che il nostro legislatore ebbe completamente a nascondersi , folgorato da quella che era la “realtà del dover essere” , mosso dall’intento di addivenire ad un modello teoricamente perfetto. Realtà quest’ultima su cui credo che astrattamente tutti possano concordare : poiché è evidente che è più giusto poter disporre di uno strumento processuale che consenta l’accertamento della verità nell’oralità del contraddittorio, in tempi rapidi, con le accuse che vengono snocciolate dai testimoni vis a vis di fronte all’accusato, poiché siamo tutti d’accordo che chi accusa deve avere il coraggio di farlo apertamente; testi che è assolutamente sacrosanto che debbano venire interrogati da entrambe le parti, quindi dal giudice ad integrazione . E’ assolutamente inconfutabile che la sede del giudizio debba essere una sede aperta dove l’accusato possa esercitare nella sua integrale pienezza il suo diritto di difesa .

Tutti principi sacrosanti che appartengono alla realtà del “dover essere “, realtà ottimale , che se estremizzata , ma soprattutto se scollegata dall’incidenza dei tanti fattori interferenti nella realtà di applicazione , rischia di collidere , fino a scontrarsi con “la realtà dell’essere” , che è quella molto più banale che ogni giorno ci troviamo davanti (la ragazzina stuprata che non riesce a guardare in faccia lo stupratore, il teste che ha visto in faccia i rapinatori , ma che improvvisamente perde la memoria, le albanesi costrette al marciapiede che quando vengono sentite in giudizio sanno che i loro familiari sono sotto la minaccia dei tiranni in Albania ; il carabiniere a cui è stata fatto vedere un baule pieno di armi a cui si arriva a chiedere ed inevitabilmente ottenere una falsa attestazione !!! senza parlare del minore che prova vergogna e pietà ad accusare il padre che lo ha abusato). Il modello processuale deve essere calzato nella realtà contingente , altrimenti rischia di essere un perfetto modello che però mal si attaglia e dunque mal funziona . Come io credo sia in buona parte avvenuto…..

Non solo, ma la scelta operata dal legislatore e contrabbandata come scelta epocale, come definitiva e irrevocabile opzione per il rito accusatorio, nascondeva tra l’altro di fatto un inganno subdolo: mentre si esaltava il rito accusatorio come l’unico in grado di fare addivenire all’accertamento della verità, si lavorava per recuperare non solo il rito inquisitorio, ma oserei dire il peggiore dei riti inquisitori , quello fatto dai verbali della polizia . Evidentemente seppure navigando nella realtà del “dover essere” , ad un certo punto il legislatore ebbe a collidere con la realtà dell’essere, si rese conto che c’era un problema di numeri , problema non da poco, per cui non solo prospettò seppure in sordina l’alternativa inquisitoria , ma addivenne a configurarla come la soluzione processuale dell’80% almeno degli affari penali .

Ecco l’inganno , ecco l’imperdonabile contraddizione del sistema: si celebra l’avvento di un rito , la definitiva scelta di campo, quando si sa fin dall’inizio che non potrà che essere percorso da una minima , insignificante parte dei processi. Un processo che sarà altamente garantista , ma a cui possono accedere solo pochi eletti che hanno i mezzi , anche economici, oltre che culturali, per farlo.

Lascio a ciascuno le considerazioni del caso e soprattutto mi chiedo e vi chiedo se non sia stato stornante la stessa opinione pubblica l’aver sostenuto ed il continuare a sostenere che il nostro sistema è ispirato al modello accusatorio , al modello Perry Mason, quando in realtà il sistema è modellato per assorbire con questo rito solo il 10/20 % dei processi. Mi sembra che se i numeri hanno un significato matematico , come debbono avere , è la statistica a suggerire che il modello esistente è prevalentemente inquisitorio e solo per un marginale numero di casi trattati , accusatorio . Il che non dico per gridare allo scandalo, ma per un’esigenza di verità da un lato, ma anche per indurre a rivedere l’ostracismo che è stato fatto a questo tipo di rito, che si profila ancora oggi come l’unico sistema in grado di dare una risposta alla domanda di giustizia alla stragrande maggioranza delle richieste ed a relativizzare l’esaltazione del modello accusatorio che , proprio perché elitario, porta in sé un imperdonabile peccato originale.

Come ho detto mentre si voleva chiudere la lunga parentesi processuale informata al modello inquisitorio e si propagandava l’ avvento del nuovo modello accusatorio che non avrebbe più fatto vittima della giustizia , si lavorava per creare il meno garantista dei modelli inquisitori: il rinvio a giudizio poteva avvenire (e nella mente del legislatore forse doveva addirittura avvenire) sulla base dell’annotazione di PG; al Pm non veniva fatto obbligo, né di interrogare colui nei cui confronti veniva esercitata l’azione penale , né di integrare il lavoro della pg, neppure là dove la realtà l’avrebbe consigliato; all’udienza preliminare al giudice veniva chiesto un controllo di legittimità sul corretto esercizio dell’azione penale da parte del pm , non di merito (ed uso le parole della corte Costituzionale , v. sent. 2.2.1993 , in Cass. Pen 1994, 1585 ……) ; l’intervento risolutore del giudice era previsto solo in casi di patologia del processo, quando cioè fossero esistite non solo prove di innocenza dell’imputato, ma addirittura prove evidenti ; di fronte all’opzione dell’imputato per i riti alternativi l’ipertrofico Pm poteva magnanimamente dare o non dare il suo consenso ; il giudice se constatava che qualcosa non girava negli atti, perché per es. il teste d’accusa straniero era stato sentito senza interprete e si era espresso in modo troppo puntuale e preciso , circostanze che suonano male sulla genuinità della dichiarazione, non poteva fare molto, poiché non si voleva correre il pericolo che questi ritornasse a vestire i panni del giudice istruttore , cosicchè la soluzione più semplice, atteso il carattere interlocutorio dell’udienza preliminare, diventava quella di disporre il rinvio a giudizio , per fare valutare compiutamente al giudice del dibattimento il caso , con appesantimento della sede che avrebbe dovuto ricevere in realtà solo il 10 , massimo 20% dei processi. Con gravi conseguenze proprio per la difesa , che era la parte che a ragione invocava maggiore attenzione e per tutelare la quale si voleva scongiurare la risurrezione del GI. Il fine nobile non solo non giustificava il mezzo , ma il mezzo fu e si rivelò del tutto inadeguato!.

Senza contare che veniva postulata la indispensabilità della deflazione dibattimentale , mentre in realtà tutto era predisposto, quanto meno inizialmente, a che l’udienza preliminare non fungesse da filtro: l’opzione di patteggiare in dibattimento ne era un chiarissimo esempio, le strette maglie dell’art. 425 cpp un secondo altrettanto palese esempio.

Inutile dire che la Corte Costituzionale fu subissata di richieste di pronunce sulla legittimità costituzionale di numerose norme. In alcune occasioni l’intervento della Corte fu decisivo : pensiamo appunto agli artt. 444 e 442 cpp, nella parte in cui veniva previsto l’immotivato dissenso del Pm ai riti alternativi ; in altre occasioni la Corte intervenne provvidenzialmente in via interpretativa facendo pressione sul legislatore affinchè portasse rimedio a situazioni di palese incongruenza con i principi ispiratori del sistema.

La legge Carotti non è frutto di una libera scelta del legislatore, ma è la resa dei conti di un sistema massacrato in tanti suoi capisaldi dalla Corte Costituzionale e sfilacciato dagli interventi di riforma susseguitisi sotto l’emergenza dell’ episodio di sangue dell’ultima ora (con buona pace del fatto che la legge dovrebbe essere generale ed astratta) . Ma perché dico che è stata una scelta obbligata , poiché va in totale controtendenza , non solo con la filosofia originaria del codice , ma anche con i movimenti di opinione ultimi. Mentre si stava discutendo animatamente per mettere a punto il modello di giusto processo , onde ricondurre il contenuto del riformato art. 111 Cost. negli artt. 513 e segg. , ancora una volta si lavorava alacremente sul fronte dell’inquisitorio, incalzati dall’impietosa realtà dell’essere , poiché la realtà dei fatti dimostrava che l’unica strada per salvare l’elitario rito accusatorio è quella che passa attraverso la forzatura al ricorso all’inquisitorio per una parte di casi sempre più consistente.

2. L’udienza preliminare dell’anno 2000.

L’asse del processo è sicuramente mutato: se prima il momento centrale del processo era il dibattimento, oggi ben può dirsi che il processo ha un nuovo e anticipato momento di giurisdizione nella udienza preliminare , senza che nulla sia tolto all’importanza della sede naturale del giudizio. Udienza tanto sacrificata nell’originario assetto, al punto da fare sorgere in molti la tentazione di spazzarla dall’orizzonte processuale , per ricondurre il tutto alla sede naturale nella logica accusatoria , cioè al giudice dibattimentale . Tentazione che fu forte , ma che venne superata a seguito di successivi ripensamenti che condussero inaspettatamente non solo a conservare l’udienza preliminare , ma a farne sede di giudizio di merito e di integrazione probatoria , in vista di un più massiccio ricorso ai riti alternativi e di un più ampio spettro di valutazione del giudice per chiudere la partita processuale a fronte di un quadro probatorio insufficiente . Non solo l’udienza venne mantenuta e rafforzata , ma venne estesa in riferimento ad altre tipologie di reati, quali ad es. gli omicidi colposi che , rientrando nella competenza del pretore, non avevano mai conosciuto questo tipo di sbocco processuale.

Io credo che il modello Torino fu un po’ l’esempio trainante del legislatore della fine degli anni 90. Nella nostra realtà , seppure molti fossero gli scettici sulla bontà del modello processuale , si compresero due cose importanti , l’una che il Pm dal nuovo sistema non era assolutamente dispensato dall’investigare , ma solo investigando bene, a fondo, a 360° , si sarebbe portato l’imputato all’alternativa inquisitoria che è lo sbocco di prima battuta che deve avere il processo, secondo gli intenti del legislatore, con buona pace del modello accusatorio; l’altra , che forzando la portata dell’art. 422 CPP ai limiti della legittimità nell’udienza preliminare, si poteva addivenire ad una integrazione del materiale probatorio che avrebbe favorito l’accesso ai riti alternativi, in una fase in cui ricordiamoci la parte aveva accesso per la prima volta alle carte processuali e dunque per la prima volta veniva a conoscere la consistenza delle accuse . E questa forzatura i giudici delle indagini preliminari torinesi si sentirono di fare , anche in reazione ad un ruolo che si videro assegnati (il ruolo dell’ingessato) che rischiava di mettere a serio repentaglio le prerogative del giudicante perché introduceva un principio di verità processuale che poteva prescindere o addirittura contrastare con prove prospettate nel processo , prima della sua conclusioni . E la Corte Costituzionale (sent. 8.7.1992 , n. 318) facendosi carico della incongruenza del sistema , prospettò l’opportunità che venisse previsto anche nel giudizio abbreviato un sistema di introduzione di nuovi elementi di giudizio , come del resto disciplinato nel giudizio abbreviato generatosi nell’ambito del giudizio direttissimo .

Torino fu l’unica sede in cui il nuovo modello, ancorchè con le sue contraddizioni , venne bene o male fatto funzionare , con notevole ricorso ai riti alternativi, grazie ad una pesante forzatura dell’art. 422 cpp, e conseguentemente con il rispetto di tempi ragionevoli per i dibattimenti ; ricorso ai riti alternativi che peraltro non è mai avvenuto nelle percentuali delle rosee previsioni del nostro legislatore , ma certo si è di molto avvicinato.

E allora possiamo dire che questa volta è stata la realtà dell’essere ad avere ispirato la legge Carotti ed io credo che questa sia la ragione del successo della legge.

Entriamo nel dettaglio delle novità principali dell’udienza preliminare, per quanto attiene al profilo dell’integrazione della prova, per poi passare al giudizio abbreviato.

Va premesso che l’assetto della nuova udienza preliminare va valutato anche e soprattutto alla luce della rilevantissima riforma introdotta sempre dalla legge Carotti con l’art. 415 bis CPP, norma tanta odiata dai Pm , costretti a notifiche di avvisi, depositi atti e fotocopie , ma a mio parere importante nell’economia difensiva e accusatoria che rivela un avanzamento significativo della trincea difensiva : gli atti vengono ostesi nella fase delle indagini, prima dell’esercizio dell’azione penale e questo per contenere il più possibile l’esercizio di azione penale destinato al fallimento.

Dunque la nuova udienza preliminare segue ad una fase in cui tra il Pm e la difesa può già essere intervenuta una serrata dialettica sul materiale probatorio: intanto l’imputato può aver chiesto l’interrogatorio e può aver chiesto la verifica di alcuni dati processuali , verifica che come sappiamo, contrariamente a quanto è disposto per l’interrogatorio il pm non è costretto a condurre. Sta all’intelligenza , alla sensibilità del pm valutare l’importanza nell’economia dell’accusa dell’argomento difensivo , ben sapendo che questo potrà essere il cavallo di battaglia e con questi elementi ed argomenti dovrà confrontarsi se non prima, sicuramente dopo e dunque in diverse occasioni, sarà preferibile anticipare la assunzione e la valutazione della nuova prova.

Il meccanismo dell’art. 415 bis CPP potrebbe e dovrebbe sicuramente influire nel senso di contenimento del numero di azioni penali , portando a stoppare quelle destinate all’insuccesso; uso il condizionale poiché in pratica possono giocare dei fenomeni eccentrici , quali ad es. il fatto che la difesa non riesca a vedere compiutamente gli atti e quindi non eserciti nei termini i suoi diritti , ovvero perchè l’imputato non riesca ad ottenere il documento scagionante nei termini.

E’ certamente strumento introdotto per avanzare la soglia dell’esercizio del diritto di difesa, per cui io ritenga sia un momento processuale di reale garanzia, nato proprio guardando la realtà concreta delle disfunzioni profonde che il precedente assetto di segretezza degli atti fino all’udienza preliminare aveva determinato.

Il recupero in sede preliminare di un ambito di valutazione di merito ha portato a trasferire nell’udienza preliminare le disposizioni in materia di contumacia, di assenza, di allontanamento dell’imputato, i cui effetti sono invero di dubbia comprensibilità, visto che comunque all’imputato non presente all’udienza era già prevista la notifica del decreto di citazione a giudizio, ovvero dell’estratto della sentenza . La nuova dimensione data all’udienza ha portato a modificare i termini del legittimo impedimento dell’imputato, ma soprattutto del difensore i cui effetti si fanno sentire e sottolineano l’importanza , se non la decisività della fase; ha portato ad introdurre, seppure in via eventuale e su richiesta di parte, la riproduzione fonografica o audiovisiva , ovvero la redazione del verbale in forma integrale con il mezzo della stenotipia .

Non solo, ma il fatto di essere stata elevata l’udienza preliminare a vero e proprio momento di giurisdizione , ha fatto sì che in detta sede, mutuando le cadenze tipiche dibattimentali, l’imputato possa chiedere di rendere spontanee dichiarazioni e di essere sottoposto all’interrogatorio, interrogatorio che può continuare ad essere condotto dal giudice ex artt. 64-65 Cpp, ma che , a richiesta , può essere disposto nelle forme di cui agli artt. 498 e 499 CPP, ovverosia nelle forme dell’esame incrociato; caso quest’ultimo in cui del verbale redatto potrà essere data lettura nel dibattimento (v. art. 514 CPP) , sempre che l’atto sia stato assunto alla presenza dell’imputato e del suo difensore , infelicissima formula che ovviamente si riferisce non già al dichiarante ed al suo difensore , ma a colui che venga attinto dalle dichiarazioni .

Sempre guardando alla realtà contingente il legislatore si è fatto carico di una realtà ricorrente : quella della incompletezza delle indagini , problematica che aveva già coinvolto, seppure da un angolo visuale diverso la Corte Costituzionale e che aveva spinto la Corte con una mirabile sentenza ad esprimere con rara lucidità l’obbligo del pm di condurre con compiutezza le indagini . Fin dal 1991 infatti la Corte , attraverso la penna del prof. Conso (v. sent. 88 del 15.2.1991) aveva messo in guardia sul fatto che il “principio dell’obbligatorietà dell’azione penale (tanto discusso ma a tutt’oggi in piena vigenza, ndr) esige che nulla venga sottratto al controllo di legalità effettuato dal giudice ed in esso è insito quello che in dottrina viene definito favor actionis . Ciò comporta non solo il rigetto del contrapposto principio di opportunità, che opera in varia misura nei sistemi ad azione penale facoltativa, consentendo all’organo dell’accusa di non agire anche in base a valutazioni estranee all’oggettiva infondatezza della notitia criminis, ma comporta altresì che nei casi dubbi, l’azione vada esercitata e non omessa “. Ma aggiungeva l’estensore, trattando dell’archiviazione, il problema sta “ nell’evitare il processo superfluo senza eludere il principio di obbligatorietà ed anzi controllando caso per caso la legalità dell’inazione . Il che comporta di verificare l’adeguatezza tra i meccanismi di controllo delle valutazioni di oggettiva non superfluità del processo e lo scopo ultimo del controllo, che è quello di fare sì che i processi concretamente non instaurati siano solo quelli effettivamente superflui”. Veniva così suggerito un principio divenuto basilare , quello della completezza almeno tendenziale delle indagini preliminari, principio che nell’impianto processuale si diceva assolve ad una doppia finalità, l’una di individuare compiutamente i mezzi di prova per indurre l’imputato a fare le sue scelte processuali, l’altra per arginare prassi di esercizio apparente della azione penale che avviando la verifica giurisdizionale sulla base di indagini troppo superficiali , lacunose o monche , si risolverebbe in un ingiustificato aggravio del carico dibattimentale.

L’introduzione dell’art. 421 bis CPP muove proprio dalla condivisione di questo principio della completezza delle indagini, frutto di un innesto nell’impianto codicistico che seppure contenesse il principio dell’obbligatorietà dell’investigazione anche sul fronte dell’innocenza dell’imputato , non esprimeva compiutamente ed esplicitamente il concetto , facendo sorgere più di un dubbio sulla compatibilità del sistema con il principio di obbligatorità dell’azione penale. Tanto è vero che , non a caso , è intervenuta la Corte costituzionale in via interpretativa .

La scelta adottata dal legislatore , nobile negli intenti, non è felice a mio modesto parere , nel tipo di percorso processuale proposto e la realtà dei fatti dimostra, almeno a Torino, che è un percorso seguito in rarissimi casi.

In sostanza, allorquando il giudice ritenga che le indagini preliminari siano incomplete , indica le ulteriori indagini, fissando il termine per il loro compimento e la data della nuova udienza preliminare, ne dà comunicazione al procuratore generale a cui è eventualmente rimesso il potere di avocazione delle indagini stesse.

L’incompletezza delle indagini a cui fa riferimento l’art. 421 bis cpp deve riguardare gli aspetti portanti della costruzione probatoria, non certo gli aspetti marginali ; io penso che debba trattarsi del momento patologico del processo, avendosi riguardo a casi in cui il pm non ha saputo cogliere l’essenzialità di un accertamento, ritenuto dal giudice utile a corredo dell’accusa . Proprio a cagione di questo, al giudice non è data facoltà di raccogliere direttamente la prova , ma gli viene fatto obbligo di fare regredire il processo ; scelta questa intrapresa con il dichiarato intento di evitare che il giudice terzo si trasformi in giudice istruttore.

Ho già espresso più volte il mio pensiero in proposito , sono e resto convinta che ancora una volta il legislatore non ha saputo superare delle pregiudiziali ideologiche! In sostanza se compariamo gli artt. 421 bis e 422 cpp possiamo notare che il legislatore propone due distinti percorsi processuali: ove il giudice ritenga che il materiale probatorio sia incompleto per l’accusa deve rimandare gli atti al pm per rimediare alla carenza (v. art. 421 bis cpp ) ; viceversa ove invece reputi che siano decisive prove ai fini della pronuncia di sentenza di non luogo a procedere , può disporle direttamente (v. art. 422 cpp).

Faccio un esempio che è chiarificatore di quanto sia ingiustificata e speciosa la distinzione .

Pensiamo al caso di imputati per rapina in banca ; rapina compiuta da soggetti a viso scoperto , in relazione ai quali non è stata disposta ricognizione personale , ma solo consulenza tecnica fisionomica che conclude in termini di mera compatibilità tra i soggetti ripresi dalla telecamera interna della banca e i soggetti imputati. E’ più che evidente che l’atto ricognizione è importante nell’economia dell’accusa e non può mancare a fronte di dichiarata disponibilità dei testi a riconoscere i rapinatori, ancorchè porva fragile è prova decisiva in riferimento a questo tipo di reato.

Ma è altrettanto importante per la difesa , poiché se l’esito è nel senso che i testi escludano in modo motivato e convinto che siano gl’imputati i rapinatori , credo che non basti la consulenza in termini di compatibilità , poiché ben difficilmente si potrà arrivare ad una fondata prospettazione di esito felice in dibattimento sulla colpevolezza degli imputati .

E allora in questo caso come incaselliamo l’atto di indagine nell’art. 421 bis o nell’art. 422 CPP? E questo credo che possa già dimostrare la non logicità del doppio sistema di integrazione probatoria. Non solo, ma si dovrebbe quanto meno distinguere a seconda che la carenza sia congenita o sopravvenuta , nel senso che emerga a seguito di uno sviluppo in udienza , sviluppo che apre problematica in tema di prova che non potevano essere ipotizzate dal Pm , che in sede di indagini era all’oscuro degli elementi emersi successivamente. Debbono essere omologati i casi in cui il Pm abbia fin dalla chiusura delle indagini sottovalutato l’importanza di prove rilevanti (ma mai assunte) e l’ipotesi in cui l’incompletezza sia conseguita ad un’integrazione del materiale probatorio nelle more dell’udienza preliminare , ovvero a seguito di dichiarazioni dell’imputato all’udienza ? (caso del teste di riferimento nel reato sessuale , a fronte del quale l’imputato opponga la sua innocenza per essere stata la vittima consenziente ; si immagini che vi sia traccia di un teste indicato da parte offesa come colui che ebbe a sentire le sue grida - caso del chiamante in correità , confesso di omicidio che riferisca solo all’udienza , per esserselo ricordato solo allora , la circostanza che al ritorno dall’omicidio lui ed il chiamato vennero fermati a bordo di auto da una pattuglia della stradale in luogo non lontano da quello del fatto: si tratti di casi diversi nell’uno vi è una palese negligenza del pm , nell’altro uno sviluppo successivo degli elementi di riscontro ; l’eventuale integrazione non è addebitabile alla negligenza del pm).

E allora mi chiedo e vi chiedo : risponde ad autentica garanzia a favore dell’imputato la scelta operata dal legislatore , sotto l’incalzare di rigurgiti ideologici in entrambe le ipotesi di carenza , ma soprattutto in quella fisiologica ? L’imputato non sarebbe più garantito dall’assunzione della prova nell’oralità di un’udienza preliminare a cui partecipano tutte le parti , avanti ad un giudice che non si presenta neghittoso – come invece si è rivelato essere il pm- ma scrupoloso e desideroso di accertare a fondo gli atti , a dispetto di un’assunzione di prova ad opera di un pm inevitabilmente mal disposto verso quel tipo di attività , da lui ritenuta non necessaria , attività imposta e quindi attività non sentita , gestita nel silenzio della sua stanza , in assenza di contraddittorio.

E’ giunta l’ora di ripudiare il ragionamento secondo cui il giudice sarebbe terzo solo se ritiene insufficiente dell’accusa , come se applicando l’art. 507 CPP per assumere una prova che il pm negligente o insufficiente ha pretermesso , il giudice del dibattimento perdesse le caratteristiche di terzietà. A tacere del fatto che l’esito della prova non è mai scontato , poiché ancorchè teoricamente prova a carico , l’atto può diventare a discarico nel momento stesso in cui non si riveli affatto convincente ; ma poi la terzietà necessariamente deve andare a vantaggio solo dell’imputato o può e deve essere un valore importante a garanzia delle altre parti del processo, non ultima la parte offesa ? Ma come si fa ad omologare il giudice dell’udienza preliminare che ritenga indispensabile la ricognizione non disposta nel corso delle indagini nel processo di cui sopra al giudice istruttore: ma c’è una differenza che non può non essere colta da operatori del diritto . L’uno assumeva la prova nel silenzio della sua stanza , inseguendo un filo conduttore delle indagini che non veniva messo in discussione fino alla chiusura dell’istruttoria , l’altro raccoglie le prove nel contraddittorio delle parti: la difesa è presente quando vengono sentiti ad integrazione i testimoni , partecipa all’assunzione , controlla la pertinenza delle domande ed il contenuto delle risposte , la rispondenza della verbalizzazione a quanto l’interrogato ha detto, la completezza della verbalizzazione. Ma vi sembra differenza da poco ? Io credo non faccia onore all’intelligenza di chi dice e purtroppo sono tanti, che la Carotti ha segnato il ritorno al giudice istruttore . Ho letto che alcuni parlano di gestione condominiale e progressiva della fase investigativa tra pm e giudice : un’affermazione del genere denota un pressapochismo nella valutazioni che a mio modestissimo parere depone per una manifesta incapacità di distinguo . Il giudice istruttore è morto e sepolto e pochissimi lo rimpiangono: la sua figura non è assolutamente omologabile al giudice dell’udienza preliminare che al più, in ipotesi di ritenuta carenza della prova, può essere assimilata al giudice del dibattimento , in quel topico momento in cui lo stesso esercita il potere residuale di cui all’art. 507 CPP: ma siamo sempre nell’ambito del giudizio , siamo sul piano della verifica delle prove , non in quello dell’investigazione che non appartiene al giudice . Al giudice appartiene il delicato compito della verifica delle tesi contrapposte , verifica che si conduce con la ricerca dei riscontri , là dove le parti per le ragioni più disparate non li hanno sollecitati ed offerti. La verifica di un’affermazione testimoniale con l’assunzione di altro teste di riferimento rientra nel compito precipuo del giudicare : il giudice non è terzo se non verifica , il giudice non è terzo se si appiattisce tanto sulle tesi accusatorie , che su quelle difensive ! Il Giudice che non si stanca di verificare , che non ha preconcetti, che non dà nulla per scontato, che fino al momento della sentenza è in grado di mutare a fronte di nuove emergenze quella che può essere stata la sua valutazione iniziale dei fatti: questo è il giudice terzo. E’ bene non fare confusioni sul punto .

Il meccanismo dell’art. 421 bis che comporta la temporanea regressione degli atti inevitabilmente tra l’altro fa sorgere alcuni problemi , in parallelo a quanti ne nacquero col meccanismo dell’art. 409 c. 4 Cpp, in materia di archiviazione negata , con imposizione di ulteriore attività investigativa: a) sembra doversi ritenere che parallelamente a quanto opinato in sede di archiviazione il giudice possa , onde salvaguardare l’autonomia di indagine, indicare solo il tema di indagine , non potendo formulare una tassativa elencazione di specifici atti da compiere ; b) il pm è obbligato ad indagare sul tema indicato dal giudice ? In tema di archiviazione la Corte Cost. si era espressa in senso affermativo (v ord. 2-15 aprile 1992, n. 182, Cogerino) ; la situazione è un po’ diversa poiché siamo già in fase di avvenuto esercizio dell’azione penale e dunque non si rischia più di collidere con il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale . L’esperienza torinese insegna poco al riguardo perché di fatto la strada dell’art. 421 bis CPP non è mai stata percorsa . Certo è che proprio perché nei fatti la prova decisiva per l’accusa si può trasformare in prova decisiva per la difesa , in caso di mancata tenuta , io ritengo che a fronte dell’inadempienza del pm (al di là dei problemi disciplinari che a suo carico possono sorgere) il giudice possa fare uso dei poteri ex art. 422 cpp. La volontà legislativa che traspare nettamente è del resto che deve essere fermato all’udienza preliminare tutto ciò che appare inconcludente in fase dibattimentale .

L’art. 422 cpp delinea invece un percorso processuale molto più lineare: oggi quando il giudice rileva la necessità di assumere prove decisive ai fini dell’emissione di sentenza di non luogo a procedere le può disporre anche d’ufficio. Non si limita più il giudice della legge Carotti ad indicare temi nuovi o incompleti, ma dispone d’ufficio l’assunzione dei mezzi di prova, sempre che essi si profilino utili per uno sbocco definitivo e potenzialmente favorevole in sede di udienza . Dunque si è parlato di funzione tutoria svolta dal giudice nei confronti dell’imputato: credo che l’espressione non sia felice , è forse più giusto parlare di doverosa attenzione alle istanze difensive che per la prima volta vengono espresse davanti al giudice, atteso che il giudice non può e non deve essere tutore di nessuno. Detti mezzi di prova non subiscono alcuna limitazione, visto che è scomparsa l’elencazione del vecchio art. 422 cpp che aveva tra l’altro fatto sorgere dubbi sulla costituzionalità della norma, attesa la limitazione dell’integrazione ad alcune tipologie di atti, dubbi che erano stati fugati dalla Corte Cost. , sul presupposto che la limitazione era stata reputata strettamente correlata con la natura e la funzione della udienza preliminare (Corte Cost. 6.6.1991, n., 252).

La citazione delle persone da sentire è disposta direttamente dal giudice e questo è un ulteriore segno del protagonismo che gli viene riconosciuto ; l’assunzione delle prove avviene ad opera del giudice, senza che siano state mutuate le forme dibattimentali; siamo nella fase dell’udienza preliminare , vigono quindi le regole dell’art. 422 cpp , che anticipa le forme dibattimentali solo per l’interrogatorio dell’imputato e solo su richiesta dello stesso ; all’esito della raccolta delle prove si riapre la discussione delle parti , ma prima l’imputato ha diritto a rendere nuovamente interrogatorio .

L’art. 425 cpp riveduto dalla Carotti consegna poi al giudice dell’udienza preliminare dei criteri molto più ampi di quelli inizialmente conferiti dal codice Vassalli: l’udienza preliminare è oggi la sede in cui si entra nel merito, si valuta il materiale probatorio nel suo complesso, in vista della sua tenuta in sede dibattimentale. In sostanza al giudice viene chiesto di soppesare la prova e di valutare se il processo possa o meno avere buon esito in dibattimento . L’art. 425 CPP ha ripreso i criteri di valutazione che erano stati dati dall’art. 125 disposiz. Att. Cpp , disposizioni che essendo di fattura postuma rispetto al codice, mal di conciliavano con la rigidità dei criteri di giudizio dell’udienza preliminare.

Oggi è quindi lasciato al prudente apprezzamento del giudice di arenare tutte quelle vicende processuali per cui sia altamente probabile una conclusione di insuccesso dell’accusa , onde evitare di inflazionare i dibattimenti con vicende di sicuro fallimento , sempre che gli elementi di prova ancorchè contraddittori non si prestino a soluzioni aperte , caso quest’ultimo in cui si impone comunque ed ancora la verifica dibattimentale . Da alcuni è stato però detto che la pronuncia di non luogo a procedere ex art. 425 III c. cpp postula due ipotesi : l’una quando gli elementi siano insufficienti o contraddittori per cui il giudice operebbe con una valutazione hic et nunc che non dovrebbe essere accompagnata da una valutazione prognostica ; l’altra quando gli atti ancorchè sufficienti e non contraddittori non siano idonei. Distinzione quetsa che secondo i sostenitori sarebbe arguibile dalla disgiunzione “o comunque ” tra gli aggettivi “insufficienti-contraddittori” , da un lato e “inidonei” dall’altra . E’ difficile però scorgere un’ipotesi in cui il materiale probatorio possa definirsi inidoneo , ma non anche insufficiente e contradditotrio . Appare quindi più ragionevole pensare come hanno opinato molti che il riferimento all’inidoenità probatoria sia stato fatto dal legislatore per invitare il giudice a proiettarsi in avanti per valutare la portata e gli effetti del quadro probatorio nella fase del giudizio . Con il che sembra di dover ritenere che per inidoenità probatoria debba intendersi una situazione di assoluta impossibilità di sostenere la prospettazione accusatoria . Con il che il giudice dovrà fermare il corso del processo, quando sulla base degli elementi di prova sia impossibile un’evoluzione dibattimentale in senso favorevole all’accusa , ma non anche quando l’insuccesso dell’accusa si profili in termini di sola probabilità , poiché in questo caso il gup dovrebbe fare un passo indietro, essendo aperte soluzioni alternative . E soprattutto è stato sostenuto che l’idoneità degli atti a sostenere l’accusa non debba e non possa essere ricavata da ipotesi di sviluppo processuale , quali ad es. la scomparsa del teste ovvero l’ipotetica acquisizione di nuovi dati processuali , peraltro non ancora presenti agli atti. Sul punto è ancora valido l’insegnamento della Corte Cost. (sent. 71 del 1996) allorquando ha dichiarato che l’adozione di sentenza ex art. 425 cpp “è imposta solo quando si appalesi la superfluità del processo , vale a dire nelle sole ipotesi in cui è fondato prevedere che l’eventuale istruzione dibattimentale non possa fornire utili apporti per superare il quadro di insufficienza o contraddittorietà probatoria”.

Non solo, ma ai fini della pronuncia della sentenza di non luogo a procedere , il giudice oggi deve tenere conto delle circostanze attenuanti , applicandosi l’art. 69 CP. In sostanza all’esito dell’udienza preliminare il giudice dispone di un parametro di valutazione prognostica particolare, perché indipendente da qualsivoglia riferimento alle formule classiche di proscioglimento di merito, dovendosi riferire anche alla prossimità del termine di prescrizione o alla mancanza di una condizione di procedibilità , né più né meno come era già previsto per l’archiviazione (v. art. 411 cpp).

Dunque apertissimo favore a soluzioni che possano evitare intasamenti della sede privilegiata per il giudizio . Fatta eccezione per il caso in cui all’esito della sentenza di non luogo a procedere debba conseguire la applicazione di misura di sicurezza diversa dalla confisca. Questo perché l’unico valore che si è voluto privilegiare rispetto all’economia processuale è quello del diritto alla libertà personale.

3. Il nuovo giudizio abbreviato-.

Ma le maggiori novità della Carotti si leggono in riferimento al rito abbreviato: è scomparso il consenso del pm ; è superata la valutazione sulla decidibilità allo stato degli atti , con il che basta che l’imputato lo voglia il giudizio abbreviato deve essere celebrato; è stato spostato in avanti , fino alle conclusione del difensore il termine entro il quale la richiesta può essere avanzata. Non solo, ma il giudizio abbreviato può essere chiesto anche se l’imputazione abbia ad oggetto reati puniti con l’ergastolo. E’ stata prevista una nuova disciplina anche della pubblicità dell’udienza. Dunque una vera e propria politica di sponsorizzazione del giudizio abbreviato. Tanto più se si considera che pur rivoluzionando l’assetto di questo rito, pur togliendo al pm voce sulla percorribilità del rito, sono stati mantenuti i pesanti limiti posti al pm in materia di appello, limiti che non escludo possano essere censurati dalla Corte Costituzionale (pende infatti almeno un giudizio sul punto promosso dalla Corte d’appello di Torino).

Non solo, ma al giudice è data facoltà, proprio perchè non può più concludere con un provvedimento interlocutorio di non definibilità del processo , di assumere qualsivoglia mezzo di prova utile ai fini della decisione . Lo spazio lasciato al giudice è illimitato.

Questa scelta legislativa non poteva che essere tale, se si pensa che il giudice è richiesto di una decisione definitiva e dunque sarebbe stato assolutamente abnorme non dotarlo di poteri di integrazione probatoria , su sollecitazione di parte , ma anche esperibili d’ufficio. Ancora una volta è stata l’emergenza a convincere il legislatore ad adottare questa strada, visto che in molti casi i Pm non lavoravano per il rito alternativo, ma remavano contro a questo tipo di rito, soprattutto nei casi di grossi processi con varie posizioni tra loro collegate , onde evitare separazioni di processi e quindi duplicazione di processi. Non solo, ma anche i giudici molto spesso non se la sentivano e non potevano sentirsela di addivenire ad un accertamento di verità sulla base di scarni dati probatori , insufficienti a condurre ad un accertamento della verità, ma solo idonei ad una conclusione in termini di verità apparente , ancorchè richiesta dalle parti. Senza contare poi la spirale di patologia che il sistema innescava essendo molto più comodo rifugiarsi sotto un giudizio di non definibilità , piuttosto che intraprendere la scrittura di sentenza di un certo spessore e impegno.

La realtà dell’essere ha sospinto a questo tipo di scelta , ma un peso lo ha avuto ancora una volta la stessa Corte Costituzionale che ancora una volta ha forzato pesantemente la mano al legislatore : era infatti stato lamentato -proprio dai giudici torinesi- il pericolo di giudicare su una realtà cartacea , quasi virtuale, che potesse prescindere se non contrastare con prove prospettate nel processo e la Corte non si era manifestata insensibile al problema ed aveva ammonito il legislatore sul fatto che il requisito della prova contratta non era affatto un connotato ineliminabile di tale giudizio .

All’imputato poi è stata data, in questa ottica di promozione del rito abbreviato, la facoltà di chiedere il giudizio abbreviato a condizione che venga disposta un’integrazione probatoria ; solo in questo caso il giudice può respingere la volontà di anticipato processo , fatta salva la facoltà dell’istante di riformulare richiesta di abbreviato senza subordinate. Il tipo di prova la cui assunzione può essere richiesta e disposta dal giudice non è assolutamente vincolata.

Orbene, in casi come questi il giudice deve valutare la richiesta di integrazione probatoria sotto due profili: l’uno che la prova sia necessaria , l’altro che sia compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento.

Che cosa si intenda per necessaria se lo sono chiesto gli interpreti: c’è la tendenza ad una certa rigidità , intendendosi per necessaria solo la prova decisiva . Io credo che si possa scendere anche alla soglia della prova rilevante ; e non solo, ma credo si possa sostenere che il giudice possa disporre anche la verifica della prova già assunta : questo lo dico perché sono fermamente convinta che il giudizio abbreviato non è un giudizio sommario, non è figlio di una giustizia minore . Il giudizio abbreviato è sicuramente un giudizio a prova contratta, anche se fortunatamente non più bloccata , ma è un giudizio di merito pieno che ha , rispetto al dibattimento –giudizio per antonomasia- delle regole di assunzione degli atti diverse, ma non per questo può essere considerato un giudizio sommario a seguito del quale debbano pervenire risposte approssimative . E’ un giudizio che ha come obiettivo l’accertamento della verità, né più , né meno che il giudizio dibattimentale. Se al giudice viene chiesto di risentire un testimone o una parte offesa dando motivazioni specifiche sul fatto che il teste sentito dalla polizia può essere stato mal interpretato o abbia mal compreso le domande che gli sono state poste , io non credo che il giudice possa dire che il risentirlo osti alla speditezza del processo . Certo se mi si chiede di risentire un testimone , parte offesa di rapina che è stato sentito per ben cinque volte dal pm, e per ben cinque volte ha parlato della presenza di tre rapinatori, richiesta motivata dalla difesa dell’imputato dal fatto che secondo il suo cliente i rapinatori erano solo due, non posso che respingere la richiesta . Ma se mi si ventila l’eventualità che la parte offesa straniera sia stata mal compresa dai verbalizzanti e sia stata condotta un po’ troppo per mano nello sviluppo delle sue dichiarazioni, io credo che sia doveroso per il giudice rinnovare l’audizione, soprattutto quando il racconto del teste appare lessicalmente troppo articolato e frutto di una manipolazione linguistica , ancorchè in perfetta buona fede ad opera del verbalizzante. E anche quando l’audizione di una parte o di un teste sia avvenuta in un tempo antecedente alla raccolta di nuove prove ad opera dell’accusa , per cui si renda necessario risentire la voce per chiedere conto alla luce dei nuovi dati acquisiti.

Il canone di giudizio che io uso è quello di assecondare le richieste di integrazioni, salvo l’evidente carattere dilatorio delle stesse , ovvero la loro palese irrilevanza nel contesto processuale. Quando un soggetto chiede che il processo venga definito allo stato degli atti, io penso che debba essere assecondata la sua comprovata esigenza di maggiore approfondimento anche solo di un aspetto della vicenda. Il dispendio di energie mi sembra che sia di gran lunga inferiore a quello che determinerebbe un processo dibattimentale , magari pure collegiale . Credo che questa sia la volontà dichiarata del legislatore del 1999 che sicuramente ha rivisto il suo ostracismo verso il rito inquisitorio , o meglio ha compreso che calmierando il livello di inquisizione si poteva addivenire ad un modello accettabile , in grado di sfornare risposte a domande di giustizia in tempi ragionevoli, lasciando spazio per l’assunzione di prove nel contraddittorio delle parti. E questo è quanto insegnato dalla stessa Corte Cost. che in una recente sentenza (7.5.2001, n. 115) , chiamata a pronunciarsi proprio sul nuovo modello di rito abbreviato, non ha esitato a statuire che anche là dove si debba procedere ad una consistente integrazione probatoria, sia essa richiesta dall’imputato ovvero disposta d’ufficio, il giudizio abbreviato si traduce sempre e comunque in una considerevole economia processuale , rispetto all’assunzione della prova in dibattimento . Questo , dice ancora la Corte, perché rinunciando all’istruzione dibattimentale l’imputato accetta che gli atti assunti nel corso delle indagini preliminari siano utilizzati come prova e che gli atti oggetto dell’eventuale integrazione probatoria siano acquisiti mediante le forme previste dall’art. 422 c. 2, 3, 4 cpp, richiamato dall’art. 441 c. 6 cpp, evitando così la più onerosa formazione della prova in dibattimento. Dunque ha sostenuto la Corte “anche se viene richiesta o disposta un’integrazione probatoria , il minor dispendio di tempo ed energie processuali rispetto al procedimento ordinario continua ad essere un carattere essenziale del giudizio abbreviato”

Io credo che di casistiche sia un po’ difficile farne , poiché ogni giudice ha una sua sensibilità ed ha un suo concetto di necessarietà che è strettamente funzionale alla decisione . Dico però che se un giudice si sente indeciso nella sua decisione, è più che ragionevole lasciargli spazio per approfondimenti, visto che la decisione riveste troppa rilevanza nell’economia del processo e nel destino dei soggetti interessati , nei distinti e rispettivi ruoli, per non giustificare questi approfondimenti. Si badi che l’integrazione probatoria a scioglimento del dubbio può essere disposta anche all’esito della camera di consiglio , quando cioè il giudice si rende conto che gli manca la prova su un passaggio essenziale del ragionamento probatorio. Quindi egli può anziché uscire con il dispositivo della sentenza , uscire con un’ordinanza con cui si dispone l’integrazione probatoria per colmare la sua lacuna conoscitiva.

Come viene assunta la prova nel giudizio abbreviato? Ricordiamo che il contenitore del giudizio abbreviato è l’udienza preliminare , dunque valgono le regole dell’art. 422 cpp. Siamo del resto nell’alternativa inquisitoria quindi è il giudice che interroga i testimoni , che formula il quesito al perito, che interroga l’imputato. La particolarità, rispetto all’inquisizione del giudice istruttore, particolare tutt’altro che trascurabile, è che il giudice interroga testi ed imputato , interpella un perito alla presenza della difesa e del pm , il che significa che ad entrambe le parti è riconosciuto spazio per integrare il tema delle domande , per sollecitare precisazioni, per puntualizzare o integrare la verbalizzazione.

Dunque le regole da seguire sono quelle dei singoli mezzi di prova del titolo II del codice sui mezzi di prova. Ad es. per la perizia sarà nominato dal giudice un perito che dovrà rispondere ad un quesito posto dal giudice , sul quale le parti hanno avuto l’opportunità di interloquire : il perito dovrà lavorare in tandem con i consulenti di parte ove nominati; lo stesso sarà quindi autorizzato a depositare relazione scritta in risposta al quesito peritale , risposta che dovrà essere comunicata ai consulenti di parte - onde realizzare un pieno contraddittorio sulla parte tecnica della questione in discussione- quindi si presenterà all’udienza per depositare il suo elaborato ovvero per rispondere oralmente nell’ipotesi in cui la risposta sia di immediata resa.

|| Resta il problema se, ove il giudizio abbreviato condizionato all’integrazione probatoria venga chiesto , ma venga respinta la istanza sul presupposto della non necessità dell’integrazione dal gup, possa o meno essere concessa la riduzione di un terzo per il rito ove il rifiuto di integrazione sia valutato dal giudice del giudizio ingiustificato. Secondo un’ ultima giurisprudenza di merito gli effetti sostanziali del giudizio abbreviato devono potersi recuperare , in ragione dell’identità di schema del giudizio abbreviato condizionato , rispetto alle sequenze previste nel modello pre Carotti . Nessuna norma hanno detto i sostenitori della tesi del recupero degli effetti sostanziali prevede un controllo sulla valutazione del gup , dalle conseguenze così rilevanti per l’imputato , per cui l’interpretazione più favorevole avrebbe il merito di salvaguardare il diritto di difesa dello stesso. Cionondimeno vien fatto di rilevare che non vi è un’assoluta identità di situazioni: sotto la vigenza del modello pre Carotti , una volta richiesto il rito e rifiutato non vi erano alternative al dibattimento; secondo lo schema Carotti resta all’imputato al facoltà di chiedere il rito non condizionato , sollecitando il giudice all’integrazione probatoria, integrazione probatoria che può essere promossa d’ufficio , anche all’esito della discussione , ovverosia allorquando il giudice andato in camera di consiglio si rende conto che può mancare qualcosa per giungere ad un sereno giudizio.

Sul punto io credo che il legislatore non abbia inteso prevedere il recupero degli effetti sostanziali in questa ipotesi , per il semplice fatto che ove lo avesse voluto prevedere avrebbe recepito le indicazioni delal corte Costituzionale anche sul punto. In verità la Corte Cost. si è pronunciata su presupposti diversi; penso che non gridi affatto allo scandalo l’interpretazione data sul recupero degli effetti sostanziali, ma non penso lo possa fare l’interprete . Si sollevi la questione e sia la Corte a pronunciarsi ||

Il tipo di strada prescelto con l’introduzione della facoltà di integrazione probatoria , al di là di andare incontro alla logica dei numeri , ha sicuramente il grosso merito di dare maggiore tranquillità al giudicante e sicuramente anche alle parti che lo chiedono che possono veicolare all’interno anche il frutto delle loro indagini ed aspettative difensive , senza che il giudice sia obbligato a recepirle passivamente (come imponeva il vecchio art. 38 disposiz. Att.cpp ), ma le possa verificare .

Non solo, ma il fatto che il giudizio abbreviato non sia più un giudizio a prova bloccata , porta finalmente a risolvere l’annoso problema della nullità o inutilizzabilità degli atti probatori. La soluzione che per tanto tempo è stata seguita dalla Cassazione, secondo cui dopo la richiesta di giudizio abbreviato non sarebbe più stato possibile fare valere nullità assolute o addirittura inutilizzabilità di atti probatori , è la chiara ulteriore dimostrazione della stortura del sistema a prova rigidamente bloccata . Diceva infatti la Corte di cassazione (cass. 11.3.1999, Testa e 27.3.1998, Dell’Anna) che il vizio sanzione sarebbe stato neutralizzato dalla scelta negoziale delle parti , di tipo abdicativo che porterebbe ad assurgere a dignità di prova gli atti d’indagine compiuti senza le forme del contraddittorio dibattimentale . Soluzione questa necessitata dal fatto che se il giudice avesse ammesso il rito , senza rendersi conto dell’insidia dei profili di nullità , avrebbe potuto trovarsi senza prove , con un vuoto di conoscenze incolmabile e resa necessaria per evitare un uso strumentale del rito.

Oggi non è più necessario tirare la corda sui principi fino a rischiare di opinare in modo inaccettabile , (visto che come tutti sanno ciò che è nullo non può produrre alcun effetto ed a maggior ragione ciò che è inutilizzabile resta tale . senza possibilità di resurrezione , ma al più con possibilità di rinnovazione) , poiché il giudice ha il potere di integrazione . Si pensi all’interrogatorio reso con l’assistenza del difensore d’ufficio anziché di quello di fiducia nel frattempo nominato; si pensi alla prova assunta quando pendeva istanza di gratuito patrocinio , istanza su cui il giudice non ha deliberato nei termini di legge; si pensi al teste non ammonito sulla facoltà di astenersi . Tutti casi nei quali il giudice può intervenire a rinnovare l’atto , evitando la dispersione del dato probatorio.

Il giudice ha l’unico limite di partire dal compendio probatorio assemblato dal pm , non può ad es. convocare tutti i pentiti del mondo per chiedere loro se sanno qualcosa del fatto trattato, se nulla emerge dagli atti di una conoscenza diretta o quanto meno indiretta del fatto ad opera di alcuno. Lo spunto dell’integrazione deve partire dagli elementi raccolti dal Pm ovviamente : si badi che il potere del giudice è integrativo, non sostitutivo.

Si badi, sono la stessa Corte Costituzionale (26.3.1993, n. 111 ) e le sezioni Unite della Corte di Cassazione (16.11.1992) , che nel suggellare la piena rispondenza al sistema dell’art. 507 CPP , nella versione interpretativa più ampia , ad aver sottolineato come la funzione di integrazione della prova ad opera del giudice sia INELUDIBILE , e non intacchi affatto i suoi connotati di terzietà, posto che il processo deve tendere all’accertamento della verità , non può tendere ad un esito qualunque sia, purchè correttamente ottenuto , nella logica dialettica del contraddittorio; questo perché “un processo penale rispondente a questo modello sarebbe una tecnica di risoluzione di conflitti nel cui ambito al giudice sarebbe riservato un ruolo di garante dell’osservanza delle regole di una contesa tra parti contrapposte ed il giudizio avrebbe la funzione non di accertare i fatti reali , onde addivenire ad una decisione il più possibile corrispondente al risultato voluto dal diritto sostanziale , ma di attingere quella sola verità processuale che è possibile conseguire attraverso la logica dialettica del contraddittorio e nel rispetto di rigorose regole metodologiche e processuali coerenti al modello.
Ma fine primario del processo è la ricerca della verità : in un ordinamento improntato al principio di legalità e al principio dell’obbligatorietà dell’azione peanle non sono consone norme di metodologia processuale che ostacolino in modo irragionevole il processo di accertamento del fatto storico necessario per addivenire ad una giusta decisione
“.

Questa credo sia la strada imboccata più o meno consapevolmente dal legislatore con la legge Carotti; ancora una volta la stimolazione l’ha data al legislatore la Corte Costituzionale ; i poteri di integrazione probatoria sono stati conferiti al giudice dell’udienza preliminare proprio in una visione più realistica della funzione del giudice , che può e deve essere anche di supplenza all’inerzia delle parti e deve esplicarsi in modo che tutto gli possa essere chiarito , ogniqualvolta debba addivenire ad una decisione sia essa in sede di dibattimento che di giudizio abbreviato.

4. Conclusioni.

Credo che alla luce del serio ripensamento operato dal legislatore con l’emanazione della legge Carotti , che pur non ha affatto rinnegato l’opzione per il modello accusatorio, si possano fare alcune riflessioni.

Il rito accusatorio non meritava l’esaltazione che ne accompagnò l’ingresso nel nostro sistema con l’insorgere di molte aspettative negli operatori di giustizia , soprattutto a livello difensivo . Per contro l’inquisitorio non meritava l’ostracismo che ebbe a subire , tanto più che nelle pieghe , neppure neanche tanto occulte del sistema, continuava ad essere recuperato.

Ciò che invece meritava di essere stigmatizzato , ma che non lo fu a sufficienza, fu la tendenza che il sistema avrebbe potuto prendere se non fosse intervenuta via via la Corte Costituzionale , tendenza in assoluto e totale spregio di quei diritti di difesa che il sistema voleva onorare e salvaguardare , nella sottovalutata piega inquisitoria , visto che al giudice veniva completamente sottratto il potere di verifica della fonte probatoria, per paura che ritornasse istruttore , facendo così un pessimo servizio alla difesa ! Si può ben dire che il rimedio fu davvero peggiore del male .

E allora , aggiungo , molto sommessamente : non sarebbe stato molto più utile, non dico rivedere ed aggiornare il vecchio modello che forse faceva troppa acqua da tutte le parti, ma forgiare un modello misto , graduato , un po’ meno accusatorio da un lato , e un po’ più inquisitorio , ma inquisitorio calmierato dalla partecipazione della difesa all’assunzione di certi atti rilevanti.

Alludo ad un sistema con contraddittorio pieno davanti al giudice al momento della verifica ; con la previsione di un fattivo intervento della difesa nelle indagini ; con una reale facoltà del giudice di verifica degli elementi difensivi ; con la facoltà per il giudice di integrare la prova partendo, beninteso dalla piattaforma degli elementi raccolti dal pm e verificando se gli spazi non sfruttati dal pm (per incapacità, imperizia e perchè non in ipotesi anche qualcosa di più grave) in ispregio al sacrosanto principio della completezza delle indagini , debbano o meno essere considerati. Consapevoli del fatto che integrare la prova assumendola nel contraddittorio delle parti, è assoluta garanzia di non ritorno alla bieca inquisizione .

Non voglio concludere con la frase tipo “in media stat virtus” , ma penso che oggi ognuno di noi, operatore di giustizia , non possa che convenire sul fatto che una maggiore prudenza nello sposare modelli a noi un po’ troppo lontani , e decisamente estranei a livello di cultura e tradizione , il nostro legislatore avrebbe dovuto usarla. Si sarebbero risparmiati anni di laceranti discussioni e forse il servizio giustizia sarebbe stato più accettabile e più efficiente in questi ultimi dodici anni .

dott.ssa Piera Caprioglio - Tribunale di Torino - ottobre 2001

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