Massimo Mannucci, Prospettive di applicazione dell'art. 316-ter c.p. introdotto dalla l. 300/2000
Tra
le modifiche introdotte dalla recente legge 29 settembre 2000 n. 300 figura
l'art. 316 ter del codice penale il quale disciplina le sanzioni per
le indebite percezioni di erogazioni a danno dello Stato, di altri enti pubblici
o delle Comunità Europee.
Tale nuova disposizione, inserendosi in un quadro normativo già saturo,
pone seri problemi di coordinamento con la preesistente disciplina della materia.
I primi commentatori hanno opportunamente osservato che " il nostro ordinamento
penale non avvertiva il bisogno di tale fattispecie di reato" la quale
finisce per costituire una "obiettiva duplicazione dell'art. 640 bis
CP" (1).
Già in passato la materia è stata attraversata da normative parzialmente
o integralmente sovrapponibili, basti pensare che fino all'introduzione dell'art.
640 bis CP ad opera della L. 55/90 le condotte truffaldine tese all'indebita
aggiudicazione di contributi, finanziamenti od altre erogazioni concessi o erogati
dallo Stato, da altri enti pubblici ricadevano nel programma sanzionatorio di
rango penale previsto dall'art. 640 II comma CP che prevede la reclusione da
uno a cinque anni accompagnata dalla multa da lire seicentomila a tre milioni.
Lo scopo prefissosi dal legislatore del '90 con l'introduzione nel codice penale
dell'art. 640 bis fu da un lato quello di inasprire la pena - elevandola
nel massimo fino a sei anni di reclusione - e dall'altro quello di estenderla
anche alle ipotesi in cui parte lesa fossero le Comunità Europee atteso
che che tali organismi sovranazionali facevano fatica a rientrare nel concetto
di "altro ente pubblico" cui fa riferimento l'art. 640 II comma n.
1 cp.
Così la nuova fattispecie di truffa "comunitaria" si è
posta rispetto alla truffa aggravata in rapporto di specialità ex
art. 15 cp perchè ha un più specifico oggetto giuridico avendo
ristretto il bene interesse protetto dalla norma alle risorse destinate a pubbliche
erogazioni.
E' opportuno tuttavia segnalare che già nel 1986, con l'art 2 della legge
23 dicembre n. 898 di conversione del DL 701/86, il legislatore aveva avvertito
la necessità di inserire nell'ordinamento penale il reato di truffa in
danno del fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (FEOGA) prevedendo
che chiunque, mediante l'esposizione di dati o notizie falsi, avesse conseguito
indebitamente aiuti, premi, indennità, restituzioni, contributi od altre
erogazioni a carico anche parziale del FEOGA, sarebbe stato punito con la reclusione
da tre mesi a tre anni a meno che la somma percepita illecitamente fosse stata
inferiore ad un decimo del beneficio legittimamente spettante e comunque non
superiore a lire 20 milioni; in tali ipotesi infatti era prevista l'irrogazione
di una semplice sanzione amministrativa.
Tale norma si poneva indiscutibilmente in rapporto di specialità con
la truffa aggravata come autorevolmente ritenuto dalla Suprema Corte la quale
ha sottolineato che "il reato di indebito conseguimento di contributi o
analoghe erogazioni da parte del fondo agricolo europeo di orientamento e garanzia
mediante esposizione di dati e notizie false è figura speciale nei confronti
della truffa, di cui ripete tutte le modalità esecutive della condotta
e degli eventi naturalistici, specificando da un lato gli artefici e raggiri
e dall'altro la qualifica comunitaria dell'ente destinatario" (2).
Anche successivamente all'entrata in vigore nel 1990 dell'art. 640 bis
CP la norma del 1986, sebbene anteriore, conservava la sua sfera di applicazione
prevedendo e punendo meno severamente una condotta truffaldina particolare a
danno di un altrettanto particolare organismo comunitario il FEOGA.
Così si era ritenuto che anche tra l'art.640 bis e l'art. 2 sussistesse
un rapporto di specialità con la conseguenza che il regime più
blando sarebbe stato applicabile alle sole frodi agricole, mentre la frode ai
danni di altre risorse comunitarie sarebbe stato punito più gravemente:
Tuttavia tale assunto non si fondava su presupposti idonei a giustificare una
così evidente disparità di trattamento sotto il profilo sanzionatorio.
Ovviando a tale incongruenza la Cassazione (3) ha precisato
che "per i fatti anteriori alla modifica introdotta con l'art. 73 L. 19.2.92
n. 142 il reato di frode comunitaria (art. 2 L. 898 del 1986) ha carattere sussidiario
(e non speciale) rispetto a quello di truffa aggravata. Ne deriva che esso è
configurabile solo quando il soggetto si sia limitato all'esposizione di dati
e notizie falsi, e non anche quando alle false dichiarazioni si accompagnino
artifici e/o raggiri di altra natura, che integrano invece il delitto di truffa
aggavata (nella fattispecie la Corte ha ritenuto che il certificato veterinario
allegato alle varie domande degli istanti, attestante falsamente l'esistenza
del gregge ovvero di capi ovi-caprini in numero superiore a quello reale, lungi
dal costituire la mera esposizione di dati e notizie falsi, secondo il dettato
di cui all'art. 2 , rappresentasse l'artificio connotante la condotta del reato
di truffa."
Nel 1992, due anni dopo l'inserimento dell'art. 640 bis, il legislatore
ha comunque sentito il bisogno di sostituire il citato articolo 2 con l'art.
73 della legge n. 142 il quale introduce una esplicita clausola di riserva rappresentata
dall'inciso iniziale: "ove il fatto non configuri il più grave reato
previsto dall'art. 640 bis cp". Tale formula, secondo unanime giurisprudenza
anche della Corte Costituzionale (4), ha reso evidente
il carattere di sussidiarietà della norma rispetto all'art. 640 bis.
Per il criterio di sussidiarietà, ben espresso dal brocardo "lex
primaria derogat legi subsidiariae", la norma principale esclude l'applicabilità
di quella sussidiaria la quale tutela un grado inferiore del medesimo interesse
tutelato dalla norma principale in grado superiore, nel caso di specie rappresentata
dall'art. 640 bis cp, che pertanto esaurisce l'intero disvalore del fatto
(5).
Ne consegue che quest'ultima disposizione trova applicazione laddove il soggetto
attivo non si limiti a esporre dati falsi, ma faccia ricorso ad ulteriori "malizie"
costituite da modalità ingannevoli diverse al fine di indurre in errore
il soggetto passivo. Tra gli "ulteriori artifizi o raggiri" la giurisprudenza
di legittimità (6) ha annoverato la formazione e allegazione
di documenti falsi ritenendo che il legislatore nel citato art. 2 abbia inteso
enucleare nel "vastissimo ventaglio di possibili artifizi e raggiri"
quello di minore gravità rappresentato dalla mera "esposizione di
dati e notizie falsi".
In questo già complesso quadro normativo si è inserito, complicandolo
ulteriormente, il disposto dell'art.316 ter cp che, al di là delle
buone intenzioni, non ha assolutamente rafforzato la tutela degli interessi
salvaguardati dalla normativa, ma anzi rischia di indebolirla afflievolendone
il regime sanzionatorio.
L'art. 316 ter con l'inciso iniziale " salvo che il fatto costituisca
il reato previsto dall'art. 640 bis" che riproduce quasi letteralmente
l'incipit dell'art. 73 della L. 142/92 sembra collocarsi in rapporto di sussidiarità
e non di specialità con l'art. 640 bis.
L'art. 316 ter punisce l'indebita percezione di erogazioni concessi da
Stato, altri enti pubblici o Comunità europee "mediante l'utilizzo
o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non
vere, ovvero mediante l'omissione di informazioni dovute" delineando tipologie
di condotte da un lato almeno in parte diverse e più fraudolente rispetto
alla "esposizione di dati e notizie falsi" (il cosiddetto "mendacio
documentale" cui fa riferimento l'art. 2 citato) e dall'altro suscettibili
di essere sussunti nella definizione di "artifizi o raggiri" di cui
all'art. 640 elaborata dalla giurisprudenza.
La giurisprudenza infatti ha sostenuto e ribadito più volte che l'utilizzazione
o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi costituisce artifizio
o raggiro suscettibile di integrare il reato di cui agli artt. 640 e 640 bis.
La nuova norma, collocata dunque in un ambiente eccessivamente affollato, rimarrebbe
sostanzialmente inapplicata per mancanza di spazio normativo.
Il concorso apparente di norme venutosi a creare si risolve facendo ricorso
al citato criterio di sussidiarietà sussistendone entrambi i presupposti
costituiti dal rapporto di specialità reciproca tra fattispecie e dall'assorbimento
dell'interesse tutelato da una norma nell'interesse tutelato dall'altra. Nel
caso di specie oltretutto l'assorbimento è espresso dalla stessa legge
con la clausola di riserva a favore della norma che prevede un trattamento più
severo.
Probabilmente un residuale profilo di applicazione può aversi con riferimento
all'ipotesi di omissione di informazioni dovute, ma anche sotto tale profilo
la giurisprudenza ha sostenuto ormai in forma consolidata che l' artifizio o
raggiro è integrabile anche da una condotta omissiva che può consistere
talvolta anche nel "silenzio maliziosamente serbato" laddove l'agente,
violando norme giuridiche, anche extrapenali, ometta di osservare il dovere
giuridico (art. 40 cpv. CP) di informare il soggetto passivo dell'esistenza
di determinate circostanze che, se conosciute, avrebbero indotto la controparte
a comportarsi diversamente.
La clausola di riserva, collocata all'inizio del I comma, si estende, per ragioni
ermeneutiche di carattere logico-sistemmatico, anche al II comma dell'art. 316
ter e pertanto anche le sanzioni amministrative previste per le ipotesi
meno gravi non sembrano suscettibili di applicazione essendo il loro ambito
interamente coperto dalla norma penale. A proposito delle sanzioni amministrative
occorre sottolineare che il limite del triplo del "beneficio conseguito"
può avere l'effetto di contenere la sanzione al di sotto del limite edittale
di 10 milioni ed in ogni caso con tale locuzione deve intendersi l'importo conseguito
comprensivo dell' eventuale quota percepita lecitamente, altrimenti il limite
massimo di 50 milioni di lire non sarebbe mai raggiungibile potendosi irrogare
una sanzione non superiore al triplo di lire 7.745.000 (cioè lire 23.235.000).
Del resto l'applicazione dell'art. 316 ter alle fattispecie sussumibili
sotto l'art. 640 bis riproporrebbe, in modo questa volta fondato, i problemi
di legittimità costituzionale con riferimento all'art. 3 della Carta
già posti in relazione all'art. 2 L.898/86 nella parte in cui prevede
un trattamento sanzionatorio meno rigorso di quello previsto dagli artt. 640
e 640 bis cp. Questione risolta dalla Corte nei due interventi citati
con sentenze interpretative di rigetto nelle quali si sostiene che l'art. 2
può riferirsi esclusivamente al caso di colui che consegue indebitamente
erogazioni a carico del FEOAG soltanto mediante l'esposizione di dati o notizie
falsi.
Incongrua sembrerebbe infatti la sanzione edittale configurata dall'art. 640
II comma n. 1, a prescindere dall'ammontare del danno subìto dallo Stato,
per frodi diverse da quelle che interessano contributi, finanziamenti, muti
agevolati ed altre erogazioni. Inoltre verrebbe frustrato l'intento, perseguito
dal legislatore con l' introduzione dell'art. 640 bis, di approntare
una configurazione edittale della pena più aspra e severa per le condotte
truffaldine finalizzate al conseguimento di finanziamenti ed erogazioni statali
o cmunitarie rispetto a quelle rivolte a profitti di diversa tipologia, anche
se ugualmente forieri di un danno erariale.
Inoltre, qualora la vigenza dell'art. 316 ter non fosse limitata al semplice
mendacio attraverso una lettura della predetta norma costituzionalmente orientata
analoga a quella sopra descritta, sorgerebbe una serie di implicazioni sistematiche
atteso che sarebbe punita assai più gravemente ai sensi dell'art. 316
bis la distrazione di contributi, sovvenzioni o finanziamenti legittimamente
ottenuti da Stato, enti pubblici o da Comunità europeee destinati a favorire
iniziative dirette alla realizzazione di opere od allo svolgimento di attività
di pubblico interesse, (l'art. 316 bis CP introdotto dalla L. 86/90 prevede
la reclusione da sei mesi a 4 anni a prescindere dall'importo) piuttosto che
il loro indebito conseguimento sanzionato appunto dall'art. 316 ter con
la reclusione da sei mesi a tre anni e nei casi meno gravi solo in sede amministrativa.
Tali situazioni determinerebbero una irragionevole controtendenza rispetto all'evoluzione
del quadro normativo mirante appunto a rafforzare la tutela penale nel settore
delle erogazioni comunitarie.
In definitiva l'art. 316 ter potrà avere solo un margine di applicazione
residuale nelle ipotesi di mendacio descritte dall'art. 2 L. 898/86, estendendo
tuttavia la disciplina alla illecita captazione di contributi di provenienza
non solo dal FEOAG, ma anche da qualsiasi altro ente statale o comunitario.
Si può pertanto concludere che la norma dell'art. 316 ter CP si
rivelerà pressochè inutile e comunque risulta avulsa dal contesto
della L. 300/2000 complessivamente ispirata ad una esigenza di maggiore salvaguardia
delle risorse e degli enti comunitari i quali, con il procedere dell'integrazione
europea, appaiono maggiormente esposti a condotte lesive di quegli stessi beni
ed interessi che gli ordinamenti nazionali hanno ritenuto meritevoli delle speciali
tutele che solo sanzioni di rango penale sono in grado di assicurare.
Livorno, lì 19.12.2000
MASSIMO MANNUCCI
magistrato
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