Giovanni Baffa, Breve analisi dell'istituto dell'esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto, ex art. 34, d.lgs. n. 274/2000

All'indomani dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 274/2000 (disposizioni sulla competenza penale del Giudice di Pace), una delle tematiche che ha richiamato maggiormente l'interesse e l'attenzione degli operatori del diritto in materia penale è, senza dubbio, da ravvisare nella figura giuridica delineata all'art. 34 della citata normativa.
Bisogna, intanto, premettere che trattasi di un istituto non completamente sconosciuto nell'ambito dell'ordinamento giuridico - penale.
Appare, infatti, sostenibile che il legislatore si sia ispirato, nel dettare l'art. 34 oggetto dell'odierna analisi, all'art. 27, I comma, del processo minorile, laddove è previsto il non luogo a procedere se risulta "la tenuità del fatto e l'occasionalità del comportamento..... quando l'ulteriore corso del procedimento pregiudica le esigenze educative del minorenne".
In ogni caso, non può minimamente dubitarsi del carattere innovativo dell'istituto in questione.

La figura della particolare tenuità del fatto quale causa di improcedibilità incentra il proprio fondamento sulla considerazione che l'obbligo astratto del perseguimento totale dei fatti penalmente rilevanti non possa trovare pratica attuazione in assoluto. Peraltro, la finalità di una sanzione penale generalizzata risulta anche illogica sotto un profilo politico - criminale.
L'istituto menzionato trova la sua ratio giustificatrice nell'avvertita esigenza di deflazione del sistema penale, obiettivo fortemente condiviso da parte degli ordinamenti giuridici contemporanei.
Con il citato art. 34, il legislatore ha introdotto un meccanismo di definizione alternativa del procedimento per i reati di competenza del Giudice di Pace, prevedendo l'esclusione della procedibilità nei casi "di particolare tenuità del fatto e di occasionalità della condotta, quando l'ulteriore corso del procedimento può pregiudicare le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute della persona indagata o imputata".
Evidente appare la finalità deflattiva dell'istituto, il quale poggia la sua essenza sulla esiguità dell'illecito penale concreto e sulla occasionalità dell'azione nonchè sulla circostanza che la prosecuzione del procedimento possa realizzare conseguenze disocializzanti e/o pregiudizievoli per il reo.
Certo è che il perno centrale della suddetta causa di improcedibilità, dal punto di vista strutturale e sistematico, è da rinvenire nella categoria della "tenuità e/o esiguità dell'illecito concreto", quale connotato di una strategia legislativa di tipo deflattivo.

Ben delineati dalla norma risultano i presupposti applicativi della causa di improcedibilità de qua.
L'improcedibilità rimane, in primis, saldamente ancorata a requisiti oggettivi e soggettivi (tenuità dell'illecito, occasionalità della condotta e grado "lieve" della colpevolezza), rispetto ai quali il riferimento al pregiudizio che possa derivare al reo dalla prosecuzione del procedimento fornisce un ulteriore, ma non decisivo, contributo all'interprete onde valutare se applicare o meno la citata causa di improcedibilità e, cioè, se il fatto può essere ricostruito in termini di particolare tenuità.
In pratica, "le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute dell'imputato" costituiscono solo un criterio di valutazione ulteriore ed integrativo per l'interprete, così come si evince dalla terminologia stessa utitlizzata dal legislatore ("tenuto conto altresì del pregiudizio.......").

Giova, intanto, puntualizzare che la causa di improcedibilità in oggetto è chiamata ad operare, ricorrendone i presupposti di fatto e di diritto, nei confronti di fatti di reato tipici, antigiuridici e colpevoli nonchè offensivi del bene interesse tutelato di volta in volta, in ordine ai quali, tuttavia, appare ingiustificata l'azione penale in quanto il disvalore giuridico - sociale prodotto dal comportamento in concreto risulta caratterizzato da una forza lesiva "tenue o esigua".
In buona sostanza, evidente risulta la differenza con la categoria dei cosiddetti "fatti inoffensivi conformi al tipo", rispetto ai quali si parla di "tipicità apparente", nel senso che il fatto si manifesta sostanzialmente inoffensivo verso il bene tutelato, cioè privo di un elemento costitutivo della tipicità, cioè l'offesa rispetto all'oggetto giuridico del reato, situazione che, parte della Giurisprudenza ed autorevole dottrina, collocano nell'ambito della figura giuridica del reato impossibile, ex art. 49 cpv., c.p., norma che rappresenterebbe la positivizzazione del principio di offensività o necessaria lesività dell'illecito penale.

A questo punto, bisogna chiedersi quando il fatto può essere considerato di particolare tenuità onde escludere la procedibilità rispetto allo stesso.
A tal fine, i parametri di riferimento sono quelli di seguito esplicitati.
1) Tenuità o esiguità del danno o del pericolo derivato dal fatto.
A tal proposito, appare opportuno sottolineare che il sistema penale già conosce, a vari fini, il concetto di "dimensione quantitativa dell'illecito", essendo diverse le disposizioni (a livello esemplificativo vedasi artt. 62 n. 4 e 648 cpv., c.p.) che incidono sulla punibilità del fatto in ragione della sua connotazione "complessivamente esigua o tenue".
In pratica, una condotta criminosa può dirsi tenue nel caso in cui il danno o pericolo concreto prodotto rispetto al bene - interesse tutelato appare caratterizzato da un indice di lesività "esigua", nel senso che il fatto contiene in sè una particolare tenuità di disvalore giuridico - sociale.
Il parametro della esiguità del danno o del pericolo rappresenta un elemento costitutivo dell'offesa penale. Si pensi, sul punto, a quei casi di illeciti penali contro il patrimonio contraddistinti dalla causazione di un pregiudizio economico di lieve entità ovvero a quelle ipotesi di aggressione al bene dell'integrità fisica produttive di modeste o leggere lesioni.
2) Occasionalità del fatto.
Sul punto, basta pensare a condotte poste in essere da persone incensurate o, addirittura, prive di qualsivoglia "precedente di polizia" nonchè con uno stile di vita tale da far apparire assolutamente episodico il comportamento contestato.
3) Grado della colpevolezza.
Tale requisito ricorre, senza dubbio, nei casi in cui le modalità concrete del fatto nonchè l'occasionalità della condotta portano a ritenere sussistente l'elemento soggettivo nel suo grado più lieve (si pensi al dolo d'impeto determinato da uno stato d'ira cagionato da un fatto ingiusto ovvero alla colpa lieve, ancor più se nella forma della colpa incosciente).
4) Possibile pregiudizio derivante dall'ulteriore corso del procedimento sulle condizioni di lavoro, di studio, di famiglia o di salute dell'indagato o imputato.
Si pensi alla persona con una stabile attività lavorativa e, quindi, al pregiudizio che potrebbe derivare, se non altro in termini di immagine, nell'ambito lavorativo stesso. Oppure alla persona di giovane età, con in atto un regolare percorso scolastico, che potrebbe essere pregiudicato dalla prosecuzione del procedimento.
In generale, viene in rilievo il pregiudizio che l'ulteriore corso del procedimento può arrecare sulla vita di relazione del soggetto.
Tuttavia, come già accennato, l'effettività della declaratoria di improcedibilità rimane subordinata alla congiunta ricorrenza dei criteri oggettivi e soggettivi menzionati, nel senso che il parametro della esiguità del danno o del pericolo assume, pur sempre, il ruolo di primo indice rivelatore della tenuità del fatto.
Solo dopo aver verificato la sussistenza di tali requisiti, l'interprete potrà passare alla valutazione degli effetti desocializzanti che l'ulteriore corso del procedimento è in grado di produrre alla vita del reo.

Per quanto riguarda l'ambito operativo della causa di improcedibilità in oggetto, deve evidenziarsi l'esistenza di una diatriba tra coloro che ritengono applicabile l'istituto de quo esclusivamente con riferimento ai reati di competenza del Giudice di Pace contro la persona ( fattispecie penali incriminatrici a tutela della incolumità individuale, della libertà morale, dell'onore ) e, comunque, in relazione a reati rispetto ai quali ricorre una persona offesa e coloro che, invece, affermano che tale operatività vada ammessa anche nei casi di illecito penale c.d. senza vittima e/o persona offesa ( si pensi, a scopo esemplificativo, al reato di guida in stato ebbrezza alcolica e/o da stupefacenti).
A parere di chi scrive, sembra da accogliere tale ultima posizione, in quanto non sussiste alcuno sbarramento fattuale e/o normativo tale da non consentire l'attuazione della causa di improcedibilità in questione, ricorrendo i parametri richiesti, anche nei casi di fatti di reato senza vittima e/o persona offesa.
Nè, tantomeno, tale operatività può essere esclusa da un'errata o poco attenta lettura e/o interpretazione dell'art. 34, commi II e III, L. G.d.P., laddove si àncora l'improcedibilità per particolare tenuità del fatto all'interesse e/o mancata opposizione della persona offesa.
Invero, una corretta interpretazione del menzionato art. 34, nella sua globale portata, induce a ritenere che il primo comma di detto articolo abbia un ambito operativo generale, nel senso che la causa di improcedibilità de qua deve dirsi applicabile, in presenza dei presupposti richiesti, anche nei casi di reati c.d. senza vittima e che il secondo e terzo comma prendono in considerazione, invece, i casi in cui ricorre una persona offesa, ritenendo, in siffatti casi, necessaria, giustamente e correttamente, " la valutazione del caso " da parte della predetta persona offesa.
Tra l'altro, una diversa interpretazione della norma in questione rappresenterebbe una sorta di violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione, determinando una ingiustificata disparità di trattamento ed una limitazione dei diritti di difesa a seconda che l'illecito contestato sia senza o con persona offesa, con l' illogica conseguenza che un istituto di deflazione del sistema penale, quale è, come già detto, l'istituto in oggetto, finirebbe per trovare campo di applicazione esclusivamente in relazione a fatti di reato con persona offesa, sebbene, invece, il fulcro della suddetta causa di improcedibilità, come a suo tempo sottolineato, è rappresentato, sul piano strutturale e sistematico, dalla categoria della " tenuità e/o esiguità dell'illecito concreto", quale espressione reale di un "piano normativo" di tipo deflattivo.
In altre parole, certamente corretto appare condizionare l'operatività della causa di improcedibilità in oggetto alla "volontà" della persona offesa laddove trattasi di reato con vittima, ma ciò non può significare che se manca una persona offesa, nonostante la ricorrenza dei presuppposti di cui al primo comma dell'art. 34, l'indicato istituto non possa trovare applicazione.
Peraltro, a sostegno di tale ampia portata applicativa deve enfatizzarsi che il legislatore nel dettare l'art. 34 si è ispirato, come già puntualizzato, all'art. 27 , comma I, del processo minorile, disposizione che non contiene alcun riferimento all'interesse della persona offesa alla prosecuzione del procedimento .
E' chiaro che, invece, nei casi di reati di competenza del Giudice di Pace, l'indicazione della non opposizione della persona offesa dal reato tra i requisiti operativi dell'istituto in oggetto, ex art. 34, commi II e III, appare, senza dubbio, un giusto e corretto elemento teso a bilanciare la posizione del reo rispetto a quella della vitima del reato, ma ciò non può significare che, laddove trattasi di reato senza vittima, la citata causa di improcedibilità non possa operare, anche perchè, strutturalmente, la sua operatività può tranquillamente prescindere dall'esistenza di una vittima del reato.
Si pensi alla ipotesi di contestazione del reato di guida in stato di ebbrezza alcolica nei confronti di persona incensurata, di giovane età, con una stabile attività lavorativa, fermato alla guida della propria autovettura ad un'andatura modestissima, senza produrre alcun concreto pericolo alla sicurezza pubblica e con un superamento minimo del tasso alcolemico previsto dalla legge.
Ebbene, in tali casi siamo certamente di fronte ad un fatto di reato senza vittima e/o persona offesa, eppure ricorrono tutti i parametri normativi indicati dal primo comma dell'art. 34 affinchè possa parlarsi di fatto di particolare tenuità.
Intanto, bisogna dire che la circostanza secondo la quale il tasso alcolemico risulti di poco superiore ai limiti previsti dalla legge, elemento in presenza del quale la responsabilità per il reato de quo è generalmente ritenuta provata, non può rappresentare un ostacolo alla valutazione del fatto come tenue o esiguo.
Infatti, anche se l'accertamento dello stato di ebbrezza alcolica risulta dare esito positivo, la congiunta sussistenza della occasionalità del fatto (incensuratezza), di un danno o pericolo esiguo rispetto l'interesse tutelato (andatura modesta, mancanza di sinistri stradali e superamento minimo del tasso alcolemico), dell'elemento psicologico nella forma della colpa lieve o lievissima (superamento minimo del tasso alcolemico) ed, infine, di un evidente pregiudizio derivante dall'ulteriore corso del procedimento (giovane età e stabile attività lavorativa dell'imputato) portano a ricostruire il fatto come di particolare tenuità.
Se ciò è vero, non si comprende per quale motivo non debba trovare applicazione la causa di improcedibilità in questione in un caso siffatto, solo perchè manca una vittima o persona offesa dal reato (in senso affermativo, vedasi sul punto sentenza del Giudice di Pace di Roma n. 187/03 del 13/02/2003).

Per quanto riguarda, infine, gli effetti giuridici discendenti dall'operatività della causa di improcedibilità di cui all'art. 34, deve, in via preliminare, sottolinearsi che il provvedimento di applicazione della predetta causa di improcedibilità non rappresenta una decisione nel merito da parte del Giudice, concretizzandosi o in un decreto di archiviazione emesso dal G.I.P. durante la fase delle indagini preliminari ovvero in una sentenza di non doversi procedere emessa dal Giudice di Pace prima dell'apertura della fase dibattimentale.
Sul punto, è necessaria una differenziazione, con riferimento alla posizione dell'indagato e/o dell'imputato, a seconda che la causa di improcedibilità venga applicata nella fase procedimentale o pre-processuale delle indagini preliminari ovvero dopo l'esercizio dell'azione penale.
Mentre nel primo caso la richiesta di improcedibilità per particolare tenuità del fatto può essere avanzata dal Pubblico Ministero ed avverso la stessa sembra non sussistere alcun mezzo di opposizione da parte dell'indagato, evidentemente in considerazione del fatto che, in tali ipotesi, la decisione di improcedibilità non sprigiona alcun effetto "negativo" nei confronti dell'indagato medesimo, dopo l'esercizio dell'azione penale l'imputato può opporsi e, di conseguenza, rinunciare alla causa di improcedibilità, puntando ad un esito processuale più favorevole nel merito.
In buona sostanza, è nel diritto dell'imputato sperare di ottenere una sentenza di assoluzione nel merito, considerato che il non luogo a procedere o non doversi procedere per particolare tenuità del fatto può, comunque, rappresentare, in futuro, un indice negativo in merito alla valutazione della occasionalità del fatto in caso di successivi comportamenti penalmente rilevanti.


- avv. Giovanni Baffa - marzo 2003 -

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