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Penale.it - Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 27 giugno 2007 (dep. 19 ottobre 2007), n. 38721

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Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 27 giugno 2007 (dep. 19 ottobre 2007), n. 38721
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I cartoni animati godono della stessa tutela dei film e non di quella relativa ai disegni impiegati per la loro realizzazione. Nel caso di opere proiettate per la prima volta in Italia nel 1933 e nel 1939 esse devono considerarsi di pubblico dominio (casi Walt Disney "I tre porcellini" e "Biancaneve e i sette nani")

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
Dott. PAPA        Enrico        - Presidente
Dott. CORDOVA     Agostino      - Consigliere
Dott. MANCINI     Franco        - Consigliere 
Dott. PETTI       Ciro          - Consigliere
Dott. FRANCO      Amedeo   - est. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

M.S.F., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza emessa il 5 maggio 2006 dalla Corte d'appello di Torino;

udita nella pubblica udienza del 27 giugno 2007 la relazione  fatta dal Consigliere Dr. Amedeo Franco;

udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. D'Angelo Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per la parte civile The Walt Disney Company Italia s.p.a. il difensore avv. Massimo Dinoia;

udito per la parte civile SIAE il difensore avv. Maurizio Mandel;

udito per il ricorrente il difensore avv. Moretti Franco, in sostituzione dell'avv. Francesco Martingano.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Ma.Ca. e                    M.S.F. vennero rinviati a giudizio dinanzi al Tribunale di Torino per rispondere, il solo Ma., dei reati di cui: a) alla L. n. 400 del 1985, art. 1 per avere, a fine di lucro, posto in commercio un numero imprecisato di videocassette della ditta Electa Video prive del marchio SIAE e riproducenti opere cinematografiche tutelate dalla legge sul diritto di autore e dal marchio "Walt Disney Company", il cui diritto di esclusiva   commerciale spettava alla ditta   Buena   Vista   Home Entertainment s.r.l., ed in particolare per avere detenuto per il commercio 203 videocassette con i titoli "Biancaneve e i sette nani" ed "I tre porcellini" (accertato in (OMISSIS)); b) di cui alla L. n. 400 del 1985, art. 1 per avere a fine di lucro detenuto per porle in commercio 2 videocassette prive di marchio SIAE ed altre con marchio SIAE contraffatto; c) all'art. 470 c.p.; d) all'art. 648 c.p. (in (OMISSIS)); ed il   solo M. del reato di cui (capo E) "all'art. 81 c.p. e L. n. 400 del 1985, art. 1 per avere, quale legale rappresentante della ditta Electa Video srl... a fine di lucro, abusivamente duplicato un numero imprecisato di videocassette riproducenti opere cinematografiche tutelate dalla legge sul diritto di autore e dal marchio "Walt Disney Company", il cui diritto di esclusiva commerciale spetta alla ditta Buena Vista Home Entertainment s.r.l., cedendole a       Ma.Ca., affinché le distribuisse sul territorio di Torino" (in (OMISSIS)).

2. Il giudice del Tribunale di Torino, con sentenza dell'11 luglio 2000, dichiarò il   Ma. colpevole dei reati ascrittigli ai capi A), B) - limitatamente alle due videocassette prive del marchio SIAE - e D) e lo condannò alla pena ritenuta di giustizia mentre lo assolse dagli altri reati perché il fatto non sussiste. Dichiarò il M. responsabile del reato ascrittogli sub E), sussunto nella previsione della L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 111 ter, e lo condannò alla pena ritenuta di giustizia. Condannò altresì i  due imputati a risarcire i danni alla parte civile SIAE, con una provvisionale di tre milioni di lire, ed il          M. anche al risarcimento   del danno in favore delle parti   civili   Disney Entertainment s.r.l. e Buena Vista Home Entertainment s.r.l. con una provvisionale di L. 6 milioni per ciascuna di esse.
In particolare, il giudice ravvisò i reati contestati in relazione al solo film "Biancaneve e i sette nani" e non anche con riferimento al film "I tre porcellini", perché quest'ultimo doveva ritenersi già caduto in pubblico dominio, per le ragioni indicate dagli imputati.
3. Proposero appello entrambi gli imputati deducendo diversi motivi di gravame, nonché le parti civili Buena Vista Home Entertainment s.r.l. e Disney Enterprise Inc.
La Corte d'appello dispose, tra l'altro, la separazione della posizione dell'imputato    Ma. e, decidendo il giudizio   nei confronti del          M., con sentenza del 5 maggio 2006 dichiarò estinto   per   prescrizione il reato ascrittogli, confermò   le statuizioni civili della sentenza di primo grado e lo condannò inoltre al risarcimento del danno in favore della Disney Enterprise Inc. e della Buena Vista Home Entertainment s.r.l. (ora fusa per incorporazione nella "The Walt Disney Company Italia spa") anche in relazione alla abusiva duplicazione del film "I tre porcellini".

4. Il           M. propone ricorso per Cassazione deducendo i

seguenti motivi:

1) violazione e falsa applicazione dell'art. 552 c.p.p., commi 1 e 2, e art. 181 c.p.p.; nullità del decreto di citazione a giudizio per insufficiente enunciazione del fatto; violazione e falsa applicazione dell'art. 125 c.p.p.; mancanza o mera apparenza della motivazione sul punto; motivazione inesistente. Ripropone l'eccezione di nullità del decreto   di   citazione   a giudizio per indeterminatezza   della contestazione, che non consentiva di conoscere l'oggetto della condotta contestata, non essendo specificato né il numero delle videocassette né di quali opere si trattasse. Il che impediva l'esercizio del diritto di difesa, non potendosi stabilire se si trattava di opere ancora tutelate dal diritto di autore o già cadute in pubblico dominio. La Corte d'appello ha respinto l'eccezione con una motivazione meramente apparente, ed in realtà inesistente.
2) violazione e falsa applicazione degli artt. 8 e 24 c.p.p.; incompetenza del Tribunale di Torino per essersi l'azione delittuosa, in ipotesi, consumata in Milano; violazione e falsa applicazione dell'art. 125 c.p.p.; manifesta illogicità della motivazione.
Osserva che il reato contestatogli sarebbe stato commesso, secondo il capo di imputazione, in Milano dal 1992 fino al 17.5.94. Quindi, ai sensi dell'art. 8 c.p.p., la competenza per territorio spettava al Tribunale di Milano come eccepito fin dall'inizio. La Corte d'appello sul punto ha osservato, con motivazione manifestamente illogica, che la   difesa non aveva fornito alcun elemento da cui   desumere l'esistenza di un precedente giudicato per gli stessi fatti, con ciò palesemente violando le norme sulla competenza.
3) violazione e falsa applicazione degli artt. 494, 192 e 125 c.p.p.; omessa motivazione sulla valutazione delle spontanee dichiarazioni dell'imputato. Ricorda che i giudici del merito hanno ritenuto provato il reato ascrittogli per il motivo che: a) le videocassette sequestrate al   Ma. provenivano dalla Electa s.r.l. e l'imputato, nelle sue spontanee dichiarazioni, non aveva negato tale provenienza e la sua gestione della società; b) le opere non erano cadute in pubblico dominio; c) la prova della sussistenza del dolo risiedeva nel fatto che l'imputato aveva dimostrato di avere approfondita contezza   delle   problematiche   implicate   dalla   attività   di duplicazione. La Corte d'appello si è limitata ad acquisire le dichiarazioni del          M. in maniera totalmente acritica, senza alcun vaglio di genuinità e credibilità, argomentando in maniera illogica, anche perché le dichiarazioni non erano state rilasciate in sede di esame con le garanzie e gli avvertimenti necessari. La responsabilità per la duplicazione delle videocassette gli è stata attribuita solo sulla base delle sue dichiarazioni, ma in mancanza di ogni indicazione dei criteri adottati per la loro valutazione.
4) violazione e falsa applicazione dell'art. 1 della L. 20 luglio 1985, n. 400 (ora confluito nella L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 171 ter), del D.P.R. n. 19 del 1979, art. 3; della L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 32, del D.Lgs.Lgt. n. 440 del 1945, art. 1, e del D.L.C.P.S. n. 1430 del 1947; erronea applicazione della legge penale e   delle altre norme giuridiche. Contesta che l'attività   di duplicazione sia avvenuta abusivamente, ossia in violazione del diritto di autore, dal momento che i due cartoni animati erano già caduti in pubblico dominio. Innanzitutto, i giudici hanno errato nel ritenere che il termine di protezione complessivamente applicabile fosse di 61 anni, 10 mesi e 8 giorni. In secondo luogo, in modo manifestamente illogico hanno fatto decorrere tale termine dalla prima proiezione in pubblico per il film "Biancaneve e i sette nani" e dalla morte dell'autore Walt Disney per "I tre porcellini", comunque in entrambi i casi sulla base di una erronea interpretazione delle norme applicabili. Invero, la L. n. 633 del 1941, art. 32, determinava in 30 anni la durata dei diritti di utilizzazione delle opere cinematografiche. Con il D.Lgs.Lgt. 20 luglio 1945, n. 440, art. 1, fu disposta una proroga di 6 anni per tutte le opere pubblicate e non cadute in pubblico dominio alla data di entrata in vigore del decreto stesso allo scopo di non pregiudicare gli autori per la mancata utilizzazione del diritto per il periodo della guerra. Per effetto del rinvio al titolo 4 della L. n. 633 del 1941, questa normativa avrebbe trovato applicazione solo per i cittadini italiani ed assimilati. Con D.L.C.P.S. 28 novembre 1947, n. 1430, fu data esecuzione al Trattato di pace di Parigi, ed in particolare alla lett. A, n. 3, dell'Annesso 15 il quale disponeva che nel calcolo dei termini normali di validità dei diritti ... che erano in vigore in Italia allo scoppio della guerra ... non si sarebbe tenuto conto del periodo   di durata del conflitto, sicché tali diritti   erano automaticamente sospesi in Italia per questo ulteriore termine, convenzionalmente fissato in 5 anni, 10 mesi ed 8 giorni. Il D.P.R. 8 gennaio 1979, n. 19, art. 3, ha poi modificato la L. n. 633 del 1941, art. 32 prolungando i diritti di utilizzazione economica delle opere cinematografiche da 30 a 50 anni. Tale decreto legislativo fu emanato in attuazione della delega contenuta nella L. 20 giugno 1978, n. 399, che tra l'altro prevedeva (art. 3, comma 2, n. 3) che il governo avrebbe dovuto contestualmente abrogare il regime di proroga di protezione previsto dal D.Lgs.Lgt. n. 440 del 1945. Da ciò derivano due sole possibilità: o si ritiene che l'abrogazione sia avvenuta tacitamente; ovvero il D.Lgs. n. 19 del 1979 è incostituzionale per eccesso di delega.
La Corte d'appello ha dunque errato nel tener conto sia della proroga di 6 anni di cui al D.Lgs.Lgt. n. 440 del 1945, sia della sospensione di 5 anni, 10 mesi ed 8 giorni, in quanto i due termini non sono cumulabili, se non altro perché le norme che li prevedono hanno destinatari diversi. Del resto, sia la proroga sia la sospensione avevano entrambe la finalità di neutralizzare gli effetti negativi dello stato di guerra, tanto che erano entrambe commisurate alla durata della guerra. Essendo questa la ratio delle disposizioni, non può ritenersi che la norma del Trattato intendesse instaurare un ingiustificato privilegio a favore dei cittadini delle potenze alleate (che soli godrebbero del cumulo dei due termini) essendo invece evidente lo scopo di estendere a questi ultimi il beneficio già concesso ai cittadini italiani ed assimilati col D.Lgs.Lgt. n. 440 del 1945.
Pertanto, l'originario termine del diritto di 30 anni, prorogato di 5 anni, 10 mesi ed 8 giorni, era scaduto nella specie molto prima della modifica della L. n. 633 del 1941, art. 32, ad opera del D.P.R. n. 19 del 1979. E poiché questa modifica non ha effetto retroattivo, essa non può valere che per l'avvenire. Quindi, essendo il termine originario di protezione già scaduto al momento della sua entrata in vigore, la modifica non poteva avere l'effetto di farlo rivivere e prolungarlo.
Quanto al film "Biancaneve e i sette nani" la Corte d'appello ha ritenuto che, siccome la prima proiezione in pubblico è avvenuta nel 1939, il termine di 61 anni, 10 mesi e 8 giorni non era ancora scaduto al momento dei fatti. L'assunto è errato per due ordini di motivi. In primo luogo, l'opera era già caduta in pubblico dominio perché, pur fissando nel 1939 il dies a quo, il termine di protezione aveva una durata di 35 anni, 10 mesi ed 8 giorni e dunque era scaduto prima dell'entrata in vigore del D.P.R. n. 19 del 1979. In secondo luogo, l'art. 32 cit. fa decorrere il termine dalla prima proiezione pubblica, purché questa abbia luogo non oltre cinque anni dalla fine dell'anno solare nel quale l'opera è stata prodotta, altrimenti il termine decorre dall'anno successivo a quello di produzione dell'opera. Nella specie, quindi, occorreva verificare anche la data di produzione delle opere, il che non è stato fatto.
Quanto poi al film "I tre porcellini", la Corte d'appello ha commesso errori anche più gravi rilevando che il termine di protezione era di 61 anni, 10 mesi ed 8 giorni e che il film era stato proiettato per la prima volta in pubblico a fine maggio 1933, così applicando congiuntamente  sia la proroga, sia la sospensione, sia il nuovo termine di 50 anni, sia facendo decorrere il termine dalla prima proiezione. Sennonché, pur partendo da tale data e pur considerando cumulativamente sia la proroga sia la sospensione, l'originario termine di 30 anni non poteva essere prorogato che per altri 11 anni, 10 mesi ed 8 giorni, ed era quindi comunque scaduto prima della data di entrata in vigore del D.P.R. n. 19 del 1979.
Inoltre, con riferimento a questo film, la Corte d'appello ha riformato la decisione del giudice di primo grado (che aveva ritenuto l'opera già caduta in pubblico dominio) ritenendola ancora protetta anche per il motivo che non era scaduto il termine di 70 anni dalla morte dell'autore dei disegni Walt Disney, e ciò in base alla tesi che le opere cinematografiche aventi ad oggetto personaggi di cartoni animati godrebbero di una duplice tutela: una concernente i disegni e l'altra che investe l'opera filmica nel suo complesso, con la conseguenza che finché dura la protezione per i disegni dei personaggi, durerebbe anche la protezione per i film che   li utilizzano. Si tratta però di una tesi erronea perché priva di fondamento normativo e perché confonde la tutela dei disegni, quali singoli elementi di fantasia, con quella del risultato finale costituito dalla nuova opera in cui essi confluiscono.
5) violazione e falsa applicazione dell'art. 125 c.p.p.; motivazione apparente o omessa in ordine alla durata del termine di protezione del diritto di autore. Lamenta che sul punto la Corte d'appello ha completamente omesso sia di esaminare le argomentazioni della difesa sia di motivare.
6) violazione e falsa applicazione dell'art. 125 c.p.p.; mancanza o manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui fa decorrere diversamente il termine di protezione per   il   film "Biancaneve e i sette nani" rispetto al film "I tre porcellini", nonché nella parte in cui non tiene conto del fatto che, anche considerando cumulativamente sospensione e proroga, rispetto al film "I tre porcellini" il termine di protezione era comunque scaduto prima del prolungamento del termine a 50 anni.
7) violazione e falsa applicazione della L. n. 400 del 1985, art. 1 (ora trasfuso nella L. n. 633 del 1941, art. 171 ter); erronea applicazione della legge penale per quanto concerne l'elemento soggettivo   del   reato. Lamenta che   è   palesemente   erronea l'affermazione secondo cui la prova della sussistenza del dolo risiederebbe nel fatto che in sede di dichiarazioni spontanee il M. avrebbe dimostrato di avere approfondita contezza delle problematiche in questione. Ed infatti, il reato ascritto   è caratterizzato dal dolo specifico del fine di lucro, di cui nella motivazione della sentenza impugnata non vi è traccia.
8) violazione e falsa applicazione dell'art. 1 L. n. 400 del 1985 (ora trasfuso nella L. n. 633 del 1941, art. 171 ter); manifesta illogicità della motivazione sull'elemento soggettivo del reato; travisamento del fatto. Lamenta che, con motivazione manifestamente illogica, la Corte d'appello, dalla sua dichiarazione di essere convinto che le duplicazioni in questione non erano abusive perché le opere erano già cadute in pubblico dominio, invece di dedurre la sua buona fede, ha addirittura desunto la mala fede ed il dolo.
9) carenza di legittimazione della SIAE poiché al          M. non erano   state contestate condotte di detenzione o   vendita   di videocassette prive del contrassegno SIAE o con tale contrassegno contraffatto; travisamento del fatto e motivazione manifestamente illogica sul punto.
10) carenza di legittimazione della Walt Disney Enterprise Inc. e della Buena Vista Home Entertainment srl, in quanto i diritti relativi al film "Biancaneve e i sette nani" erano stati ceduti il 28.2.1992 alla Warner Bros: Lamenta che la Corte d'appello si è basata solo sulle dichiarazioni dei testi      O. e    S. (vice presidente e segretario della parte civile Walt Disney), senza alcuna valutazione sulla loro credibilità, attendibilità e neutralità, e senza considerare che dal contratto di cessione risultava che titolare dei diritti di sfruttamento economico sino al 28.2.1992 era la PECF (Production et Editions Cinematographiques Francaises) e che da quella data solo i diritti c.d. "theatralifical" furono trasferiti in perpetuo alla Warner Bros Italia s.p.a..
11) manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione sulla entità della provvisionale.
5. In data 18 giugno 2007, la parte civile The Walt Disney Company Italia s.p.a. (già Buena Vista Home Entertainment s.r.l.) ha depositato memoria difensiva, con la quale, attraverso articolate motivazioni, contesta la fondatezza di motivi di ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
6. Il ricorrente è stato condannato per il reato di cui all'art. 171 ter della L. 22 aprile 1941, n. 633, per avere abusivamente duplicato e ceduto i due cartoni animati "Biancaneve e i sette nani" ed "I tre porcellini", opere cinematografiche tutelate dalla legge sul diritto di autore (non è stata invero specificamente contestata né risulta la duplicazione di opere ulteriori).
Rileva il collegio che la sentenza impugnata deve essere annullata, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., perché il fatto non sussiste. Deve infatti ritenersi che le due suddette opere, al momento del fatto (dal 1992 al 1994), erano già divenute di pubblico dominio e che quindi la loro duplicazione e distribuzione da parte del ricorrente non era abusiva.
7. E'   pacifico   che   i cartoni animati costituiscono   opere cinematografiche e sono quindi soggette, per quanto concerne la tutela del diritto di autore, alla disciplina normativa prevista per tali opere.
E' quindi opportuno in via preliminare richiamare brevemente le disposizioni legislative sulla tutela delle opere cinematografiche che nella specie possono venire in considerazione.
7.1. La L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 32 (Protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio), prevedeva, nella sua formulazione originaria, che i diritti di utilizzazione economica dell'opera cinematografica duravano trenta anni dalla prima proiezione pubblica (purché questa abbia avuto luogo non oltre cinque anni dalla fine dell'anno solare nel quale l'opera è stata prodotta; altrimenti il termine decorre dall'anno successivo a quello in cui l'opera è stata prodotta).
Per le altre opere protette dal diritto di autore, invece, la citata legge, art. 25, prevedeva che i diritti di utilizzazione economica duravano fino al termine del cinquantesimo anno solare dopo la morte dell'autore.
La   diversità   di durata trovava spiegazione   -   oltre   che, evidentemente, nella specificità attribuita dal legislatore alle opere cinematografiche e nel ritenuto prevalente interesse pubblico alla loro divulgazione - nella L. n. 633 del 1941, artt. 44, 45 e 46, i quali dispongono che per le opere cinematografiche si considerano coautori   delle   stesse l'autore del soggetto, l'autore   della sceneggiatura, l'autore della musica e il direttore artistico, ma che i diritti di utilizzazione economica di tali opere (aventi ad oggetto lo sfruttamento cinematografico dell'opera prodotta) spettano al produttore, ossia a chi ha organizzato la produzione dell'opera, dovendosi poi presumere produttore chi è indicato tale sulla pellicola cinematografica o chi risulta tale dalla registrazione dell'opera stessa.
L'art. 199, comma 1, della legge prevedeva poi che i predetti termini di   durata   si applicavano anche alle opere pubblicate   prima dell'entrata in vigore della legge stessa.
7.2. Il termine di trenta anni subì una modifica per effetto del D.Lgs.Lgt. 20 luglio 1945, n. 440, il quale - allo scopo di non pregiudicare gli autori per la mancata utilizzazione del diritto per tutta la durata della guerra appena conclusa - con l'art. 1 prorogò la durata dei diritti di utilizzazione delle opere dell'ingegno di sei anni per tutte le opere pubblicate e non ancora cadute in pubblico dominio alla sua data di entrata in vigore. Pertanto, per le opere cinematografiche il termine di protezione diveniva di trentasei anni, mentre per quelle proiettate dopo la suddetta data, il termine restava quello ordinario di trenta anni.
Gli articoli successivi prevedevano poi che la maggiore estensione della durata del diritto di autore sarebbe andata a favore degli autori  e   dei loro eredi nei limiti e sotto le   condizioni espressamente previste, in particolare per il caso di già avvenute cessioni assolute a terzi dei diritti di autore.
L'art. 7 disponeva infine che la sfera di applicazione del decreto luogotenenziale era regolata della norme contenute nel titolo 6, della L. 22 aprile 1941, n. 633.
7.2.1. Quanto all'ambito di applicazione della proroga disposta col D.Lgs.Lgt. n. 440 del 1945, va ricordato che il titolo 6 della L. n. 633 del 1941 comprende innanzi tutto l'art. 185, che, al comma 1, stabilisce che la legge si applica a tutte le opere di autori italiani, dovunque pubblicate per la prima volta, salvo quanto stabilito dall'art. 189, il quale prevede che la L. n., 633 del 1941, art. 185 si applica all'opera cinematografica realizzata in Italia o che possa considerarsi nazionale a termini della legge stessa o di altra legge speciale, e che, in difetto di tale condizione, sono applicabili alla stessa le disposizioni di cui agli artt. 186, 187 e 188. La citata legge, art. 185, comma 2" dispone poi che la legge si applica anche alle opere di autori stranieri domiciliati in Italia, che siano state pubblicate per la prima volta in Italia, mentre il comma 3, stabilisce che la legge può essere applicata alle opere di autori   stranieri, fuori delle condizioni previste   dal   comma precedente, quando sussistano le condizioni previste dagli articoli successivi, e cioè quando esistano convenzioni internazionali che regolano l'applicazione della legge alle opere di autori stranieri o che contengano un patto generico di reciprocità (art. 186), oppure quando lo Stato di cui è cittadino l'autore straniero conceda alle opere degli autori italiani una protezione effettivamente equivalente e nei limiti di detta equivalenza (art. 187). L'art. 188 dispone infine che l'equivalenza di fatto è accertata con decreto reale e che la durata della protezione dell'opera straniera non può comunque eccedere quella goduta nello Stato di cui l'autore è cittadino, stabilendo altresì altre condizioni.
Sembrerebbe quindi doversi ritenere che la proroga di sei anni prevista dal D.Lgs.Lgt. n. 440 del 1945 avrebbe dovuto trovare applicazione, per effetto del rinvio operato dall'art. 7, all'art. 185 e segg., ed in particolare alla citata legge, art. 189, soltanto alle opere cinematografiche realizzate in Italia o che potessero considerarsi nazionali a termini della legge stessa o di altra legge speciale. Tutt'al più, considerando applicabili, per   definire l'ambito di operatività della proroga, anche gli altri commi dell'art. 185 e gli artt. 186 e 188, potrebbe ritenersi che la proroga   riguardava anche le opere cinematografiche di   autori stranieri   cittadini di uno Stato con il quale esisteva   una convenzione internazionale contenente un patto di reciprocità o di uno Stato che concedeva una protezione equivalente ai cittadini italiani.
Nel caso in esame, peraltro, non risulta e nemmeno è stato dedotto che, alla data di entrata in vigore del D.Lgs.Lgt n. 440 del 1945 esistessero convenzioni internazionali tra Italia e Stati Uniti che prevedevano   l'applicazione   agli   autori   italiani   di    opere cinematografiche di una proroga della protezione per il periodo bellico né che tale proroga fosse comunque applicabile sulla base della   legislazione statunitense, o almeno dello   Stato   della California.
7.2.2. Alcune decisioni di merito (cfr. Trib. Roma, 17 febbraio 1995, n. 2900, Walt Disney Co. e Buena Vista Home Video S.r.l. c. Cinematografica Patrizia s.r.l.) hanno fatto riferimento - per estendere la proroga di cui al D.Lgs.Lgt. n. 440 del 1945 anche ad opere cinematografiche straniere non realizzate in Italia - al D.L.C.P.S. 23   agosto 1946, n. 82, il   quale   stabilì   che "l'applicazione delle disposizioni contenute nella L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 186, comma 2, artt. 187 e 188, art. 189, comma 2, è sospesa" e che "qualora non sussistano le condizioni menzionate nell'art. 185, comma 2, della legge predetta, le opere di autori stranieri sono protette a condizioni di reciprocità salva la applicazione delle convenzioni internazionali". Hanno invero ritenuto che, per effetto di tale disposizione, era venuta meno l'esclusione dalla proroga prevista dal D.Lgs.Lgt. n. 440 del 1945 per le opere cinematografiche straniere non realizzate in Italia.
Sennonché, da un lato, il D.L.C.P.S. n. 82 del 1946 non può incidere sull'ambito di applicazione del D.Lgs.Lgt. n. 440 del 1945, come definito dal suo art. 7, che fa riferimento al testo del titolo 4, della L. n. 633 del 1941, come vigente al momento della sua entrata in vigore, sicché la sfera di applicazione del decreto luogotenenziale, individuata mediante il detto rinvio, non può ritenersi successivamente modificata dalla sospensione della L. n. 633 del 1941, art. 186 segg..
Da un altro lato, è vero che per effetto del D.L.C.P.S. n. 82 del 1946, articolo unico, comma 2, le opere di autori stranieri sono protette a condizioni di reciprocità, e che pertanto il termine globale di protezione applicabile agli autori italiani   doveva applicarsi anche a tutti gli autori stranieri. Ciò però sempre a condizione di reciprocità e nel caso di specie non è stato né dedotto né provato che nei rapporti tra Italia e Stati Uniti esistesse una condizione di reciprocità, anche generica, sulla durata globale (ivi comprese proroghe e sospensioni) della protezione delle opere cinematografiche.
7.2.3. Va tuttavia anche rilevato che il problema dei limiti di estensione della proroga di cui al D.Lgs.Lgt. n. 440 del 1945, art. 1, alle opere cinematografiche straniere, ed in particolare della sua applicazione alle opere di autori statunitensi, è, per le ragioni che in seguito si esporranno, non decisivo ai fini del presente giudizio, sicché non è opportuno soffermarsi ulteriormente su di esso.
7.3. Proseguendo nella ricognizione della disciplina normativa, deve ricordarsi che il Trattato di pace firmato a Parigi il 10 febbraio 1947 tra l'Italia  e le Potenze alleate ed associate vincitrici, stabiliva, all'Allegato 15, lettera A, n. 3 che "nel calcolo dei termini normali di validità dei diritti di proprietà industriale, letteraria ed artistica in vigore in Italia allo scoppio della guerra o che saranno riconosciuti o stabiliti in forza della parte A del presente allegato, appartenenti a qualunque delle potenze alleate ed associate od ai loro cittadini, non si terrà conto del periodo intercorso dallo scoppio della guerra, fino all'entrata in vigore del presente trattato. Per conseguenza, la durata normale di tali diritti si considererà automaticamente estesa in Italia per un termine ulteriore, corrispondente al periodo di sospensione di cui sopra". Il termine dallo scoppio della guerra all'entrata in vigore del trattato fu poi convenzionalmente fissato in 5 anni, 10 mesi ed 8 giorni.
Il punto 4 del medesimo Allegato stabiliva poi che le precedenti disposizioni "si applicheranno egualmente ai diritti dell'Italia e dei suoi cittadini nei territori delle potenze alleate ed associate", senza però che gli stessi potessero conseguire un trattamento più favorevole di quello accordato da ciascuna potenza ai cittadini delle altre nazioni unite; e che le medesime disposizioni non imporranno "all'Italia di accordare ad alcuna delle potenze alleate ed associate od ai loro cittadini un trattamento più favorevole di quello che l'Italia od i suoi cittadini riceveranno nel territorio di tale potenza".
7.4. Successivamente, il D.L.C.P.S. 28 novembre 1947, n. 1430, art. 1,   dette "piena ed intera esecuzione" al Trattato di   pace, stabilendo,   all'art. 2, che sarebbero stati emanati   appositi provvedimenti, anche in deroga alle leggi vigenti, per  l'esecuzione del Trattato, ed all'art. 3 l'inizio degli effetti del D.L.C.P.S. alla data del 16 settembre 1947.
7.5. In seguito, la L. 20 giugno 1978, n. 399, art. 3 (recante Ratifica ed esecuzione della Convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie ed artistiche) conferì al governo una delega legislativa per emanare, nel termine di sei mesi, un decreto legislativo per l'applicazione della convenzione di Berna. Nel dettare i principi ed i criteri direttivi, la legge di delega stabilì che l'applicazione della convenzione sarebbe dovuta avvenire mediante norme modificatrici o integratrici della L. 22 aprile 1941, n. 633, le quali in particolare avrebbero dovuto provvedere, tra l'altro, ad "adeguare il termine generale di durata della protezione del diritto di autore in misura non superiore a quella prevista nelle più recenti leggi dei paesi aderenti alla Convenzione di Berna, modificando proporzionalmente anche i termini speciali di tutela e abrogando contestualmente il regime di proroga di protezione previsto dal D.Lgs.Lgt. 20 luglio 1945, n. 440" (art. 3, comma 2, n. 3).
7.6. La delega fu esercitata dal governo con il D.P.R. 8 gennaio 1979, n. 19, il quale, con l'art. 3, modificò la L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 32, nel senso che il termine per i diritti di utilizzazione    economica   delle   opere    cinematografiche    ivi originariamente previsto in trenta anni era aumentato a cinquanta anni.
Il D.Lgs. n. 19 del 1979 non contiene peraltro una disposizione di abrogazione espressa del D.Lgs.Lgt. n. 440 del 1945.
7.7. Ulteriori modifiche alla disciplina furono poi apportate - successivamente ai fatti per cui è processo e quindi non rilevano direttamente nella specie - nel 1994, nel 1996, nel 1997 e nel 2003. Innanzitutto, il D.Lgs. 16 novembre 1994, n. 685, art. 10 (recante Attuazione della direttiva 92/100/CEE concernente il diritto di noleggio, il diritto di prestito e taluni diritti connessi al diritto d'autore in materia di proprietà intellettuale) introdusse nella L. n. 633 del 1941, art. 78 bis (poi divenuto art. 78 ter), il quale disciplinò i diritti di utilizzazione spettanti al produttore di opere cinematografiche, disponendo, al comma 1, che "il produttore di opere cinematografiche o audiovisive o sequenze di immagini in movimento è titolare del potere esclusivo: a) di autorizzare la riproduzione diretta o indiretta degli originali e delle copie delle sue realizzazioni; b) autorizzare la distribuzione con qualsiasi mezzo, compresa la vendita, dell'originale e delle copie di tali realizzazioni; il diritto di distribuzione non si esaurisce in ambito territoriale comunitario se non nel caso di prima vendita effettuata o consentita dal produttore in uno stato dell'unione europea; c) di autorizzare il noleggio e il prestito dell'originale e delle copie delle sue realizzazioni; la vendita o la distribuzione, sotto qualsiasi forma, non esauriscono il diritto di noleggio e di prestito", ed al comma 2 che "i diritti di cui al comma 1 si esauriscono soltanto trascorsi venti anni dalla fine dell'anno solare in cui è stata effettuata la fissazione".
Non   furono   peraltro modificati gli   artt. 45   e   46   che, rispettivamente,   attribuiscono   al   produttore   i   diritti   di utilizzazione economica dell'opera cinematografica e stabiliscono che l'esercizio   di   tali diritti ha ad oggetto lo   "sfruttamento cinematografico" dell'opera prodotta.
7.8. Successivamente la L. 6 febbraio 1996, n. 52, art. 17, comma 1, stabilì che i termini di durata di protezione dei diritti di utilizzazione economica delle opere dell'ingegno di cui al titolo 1, della L. 22 aprile 1941, n. 633, previsti dagli artt. 25, 26, 27, 27 bis, 31, 32 e 32 bis della legge medesima, erano elevati a 70 anni e che era abrogato il termine di proroga previsto dal D.Lgs.Lgt. 20 luglio 1945, n. 440.
L'art. 17, comma 2, dispose poi che i termini di durata di protezione disciplinati nel comma 1 si applicavano anche alle opere dell'ingegno ed ai diritti non più protetti sulla base dei termini previgenti, mentre i successivi commi, in relazione al prolungamento della durata di protezione previsto dal comma 1, dettavano norme per regolare i casi di cessione del diritto di autore e lasciavano pienamente salvi e impregiudicati gli atti e contratti fatti o stipulati anteriormente nonché i diritti legittimamente acquisiti ed esercitati dai terzi in conseguenza dei medesimi.
In particolare erano fatte salve (comma 4, lett. a) "la distribuzione e la riproduzione delle edizioni di opere cadute in pubblico dominio secondo la disciplina previgente, limitatamente alla composizione grafica ed alla veste editoriale con le quali la pubblicazione è avvenuta,   effettuata da coloro che avevano   intrapreso   detta distribuzione e riproduzione prima della data di entrata in vigore della presente legge. Tale distribuzione e riproduzione consentita senza corrispettivi si estende anche agli aggiornamenti futuri che la natura delle opere richiede", nonché (lett. b) "la distribuzione, limitatamente al periodo di tre mesi successivo alla data di entrata in vigore della presente legge, dei dischi fonografici ed apparecchi analoghi, i cui diritti di utilizzazione siano scaduti secondo la disciplina previgente, effettuata da coloro che hanno riprodotto e messo in commercio i predetti supporti prima della data di entrata in vigore della presente legge".
7.9. Il medesimo L. 6 febbraio 1996, n. 52, art. 17, al comma 5, fissò anche i principi e criteri direttivi della delega conferita al governo per l'emanazione di un decreto legislativo per l'attuazione della     direttiva    93/98/CEE    del    Consiglio,    (concernente l'armonizzazione della durata di protezione del diritto d'autore e di alcuni diritti connessi) per tutto quanto non era già stato disciplinato dal citato art. 17, commi da 1 a 4.
Fra tali criteri possono ricordarsi quello di cui alla lett. c) (che stabiliva l'emissione di disposizioni transitorie in relazione ai rapporti giuridici sorti anteriormente al 1 luglio 1995, al fine di salvaguardare i diritti acquisiti dai terzi) e quello di cui alla lett. d) (che stabiliva l'introduzione in via permanente di una previsione    di   compenso   per   l'utilizzazione    delle    opere cinematografiche   e   assimilate,   tenuto   conto  del    notevole prolungamento del termine di durata di protezione rispetto alle altre categorie di opere).
La delega fu esercitata con il D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 154 (recante Attuazione della direttiva 93/98/CEE concernente l'armonizzazione della durata di protezione del diritto d'autore e di alcuni diritti connessi), che, con l'art. 3, modificò di nuovo il testo della L. n. 633 del 1941, art. 32, sostituendolo con il seguente: "Fermo restando quanto stabilito dall'art. 44, i diritti di utilizzazione economica dell'opera cinematografica o assimilata durano sino al termine del settantesimo anno dopo la morte dell'ultima persona sopravvissuta fra le seguenti persone: il direttore artistico, gli autori della sceneggiatura, ivi compreso l'autore del dialogo, e l'autore della musica   specificamente creata per essere utilizzata   nell'opera cinematografica o assimilata".
Va rilevato che, né questa disposizione né altre hanno mai modificato la L. n. 633 del 1941, artt. 45 e 46, che attribuiscono i diritti di utilizzazione dell'opera cinematografica (almeno   in relazione allo sfruttamento cinematografico dell'opera prodotta) non ai coautori indicati nell'art. 44 (autore del soggetto, autore della sceneggiatura, autore della musica e regista) bensì al produttore, ossia a chi ha organizzato la produzione dell'opera.
Anzi, con il D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 154, art. 8, fu poi anche sostituito il testo dell'art. 78 bis, comma 2 (introdotto dal D.Lgs. n. 685 del 1994, art. 10 e relativo ai diritti del produttore di opere cinematografiche) con un nuovo testo secondo il quale "I diritti di cui al comma 1 si esauriscono trascorsi cinquanta anni dalla fissazione. Se l'opera cinematografica o audiovisiva o sequenza di immagini in movimento è pubblicata o comunicata al pubblico durante tale termine, i diritti si esauriscono trascorsi cinquanta anni   dalla prima pubblicazione o, se anteriore, dalla   prima comunicazione al pubblico dell'opera cinematografica o audiovisiva o sequenza di immagini in movimento".
7.10. Da ultimo, il D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 68 (recante Attuazione della direttiva 2001/29/CE sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto    d'autore   e   dei   diritti   connessi   nella   società dell'informazione), dopo avere introdotto nella L. n. 633 del 1941 un nuovo art. 78 bis, con l'art. 17 ha inserito nella stessa legge l'art. 78 ter (che ha sostituito il precedente art. 78 bis), il quale,   al   comma   1,   dispone che "il produttore   di   opere cinematografiche o audiovisive o di sequenze di immagini in movimento è titolare del diritto esclusivo: a) di autorizzare la riproduzione diretta o indiretta, temporanea o permanente, in qualunque modo o forma, in tutto o in parte, degli originali e delle copie delle proprie realizzazioni; b) di autorizzare la distribuzione   con qualsiasi mezzo, compresa la vendita, dell'originale e delle copie di tali realizzazioni. Il diritto di distribuzione non sì esaurisce nel territorio della Comunità europea se non nel caso di prima vendita effettuata o consentita dal produttore in uno Stato membro; c) di autorizzare il noleggio ed il prestito dell'originale e delle copie delle sue realizzazioni. La vendita o la distribuzione, sotto qualsiasi forma, non esauriscono il diritto di noleggio e di prestito; d) di autorizzare la messa a disposizione del pubblico dell'originale e delle copie delle proprie realizzazioni, in maniera tale che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente. Tale diritto non si esaurisce con alcun atto di messa a disposizione del pubblico"; mentre poi, al comma 2, dispone che "la durata dei diritti di cui al comma 1 è di cinquanta anni dalla fissazione. Se l'opera cinematografica o audiovisiva o la sequenza di immagini in movimento è pubblicata o comunicata al pubblico durante tale termine, la durata è di cinquanta anni dalla prima pubblicazione o, se anteriore, dalla prima comunicazione al pubblico dell'opera cinematografica o audiovisiva o della sequenza di immagini in movimento".
7.11. In   questa   sede,   non   occorre   decidere   quale    sia l'interpretazione da dare al complesso di queste   disposizioni accavallatesi nel tempo, ed in particolare stabilire se il diritto di utilizzazione economica dell'opera cinematografica spettante   al produttore trovi ancora fondamento nella L. n. 633 del 1941, art. 45, ed abbia la durata prevista dall'art. 32, ovvero se - dopo le modifiche apportate già dal D.Lgs. n. 685 del 1994, art. 10 con l'introduzione dell'art. 78 bis, e quindi dal D.Lgs. n. 154 del 1997, art. 8 e poi dal D.Lgs. n. 68 del 2003, art. 17, con l'introduzione dell'art. 78 ter - il diritto del produttore trovi ora fondamento nella citata L. n. 633 del 1941, art. 45 per il solo sfruttamento cinematografico dell'opera (cfr. art. 46) e nell'art. 78 bis (ora art. 78 ter) per tutte le altre utilizzazioni ed abbia quindi rispettivamente la durata indicata nell'art. 32 (70 anni dalla morie dell'ultimo dei coautori) e nell'art. 78 ter, comma 2 (50 anni dalla fissazione o dalla prima proiezione), ovvero ancora se per i diritti di utilizzazione del produttore debba ora farsi riferimento solo all'art. 78 ter mentre l'art. 32 si riferirebbe ormai solo ai diritti dei   coautori dell'opera cinematografica e non   a   quello   di utilizzazione spettante al produttore.

Allo stesso modo, non occorre nemmeno risolvere la questione se comunque il nuovo testo dell'art. 32 (introdotto dal D.Lgs. n. 154 del 1997, art. 3) possa riferirsi anche all'autore dei disegni nel caso in cui l'opera cinematografica sia costituita da un cartone animato.
Tali questioni sono invero irrilevanti nel presente processo perché i fatti contestati all'imputato sono antecedenti all'entrata in vigore sia del D.Lgs. n. 154 del 1997, art. 3 del sia dell'art. 78 bis (ora art. 78 ter) della L. n. 633 del 1941, che non possono perciò trovare applicazione nel caso in esame.

Del resto, andrebbe comunque considerato, da un lato, che poiché il D.Lgs. n. 154 del 1997 non contiene una disposizione analoga a quella di cui alla L. n. 52 del 1996, art. 17, commi 2 e 4, dovrebbe altresì ritenersi che i nuovi termini di durata introdotti con il nuovo   testo   dell'art. 32   non   si   applichino   alle   opere cinematografiche già cadute in pubblico dominio prima della sua entrata in vigore e, dall'altro lato, che nel caso in esame non viene in   considerazione il diritto allo sfruttamento cinematografico dell'opera prodotta, bensì altri diritti del produttore disciplinati dall'art. 78 ter, la cui durata è di cinquanta anni dalla prima proiezione.
8.1. Venendo al caso in esame, il primo problema che si pone è stabilire se per le opere cinematografiche di autori statunitensi il termine di sospensione o estensione della durata della protezione di 5 anni, 10 mesi ed 8 giorni indicato dalla lettera A) n. 3 del Trattato di pace di Parigi si aggiunga al termine di proroga di 6 anni previsto dal D.Lgs.Lgt. n. 440 del 1945, con la conseguenza che, prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 19 del 1979, il termine sarebbe stato non di 36 anni come per le opere di autori italiani, bensì di 41 anni, 10 mesi ed 8 giorni.
E' evidente che questa tesi deve senz'altro essere disattesa qualora si ritenga, per le ragioni dianzi indicate, che la proroga di cui al D.Lgs.Lgt. n. 440 del 1945 si applichi soltanto alle   opere cinematografiche di autori italiani o a quelle straniere realizzate in Italia o assimilate, e quindi non anche alle altre opere straniere in mancanza della prova di una situazione di reciprocità di protezione.
Qualora invece si ritenga che la proroga di cui al D.Lgs.Lgt. n. 440 del 1945 fosse estesa anche alle opere di autori statunitensi, va ricordato che, secondo parte della giurisprudenza di merito e secondo la giurisprudenza civile di questa Corte (Cass. Civ., Sez. 1, 4.9.1993, n. 9326, m. 483663; Cass. Civ., Sez. 1, 12 novembre 1994, n. 9529, m. 488554; Cass. Civ., Sez. 1, 13.8.2004, n. 15777, m. 575573: la motivazione delle ultime due, peraltro, rinvia a quella della prima decisione; Trib. Roma, 17 febbraio 1995, n. 2900, cit.) la "proroga" di sei anni di cui al D.Lgs.Lgt. n. 440 del 1945, sarebbe cumulabile con la "sospensione" di 5 anni, 10 mesi e 8 giorni prevista dal Trattato di pace.
8.2. Le ragioni addotte a sostegno di questa tesi sono state individuate nel fatto: a) che i due istituti hanno durata e termini diversi;   b)   che i due provvedimenti hanno altresì   diversi destinatali (avendo il Trattato di pace riguardo ai soli cittadini delle potenze alleate ed associate vincitrici e la proroga del 1945 agli italiani e stranieri, a condizione di reciprocità); c) che altro è l'istituto della "proroga", la quale sostituisce al termine originariamente previsto un nuovo termine legale per il tempo in cui il   primo   verrà   a scadenza, e altro è   l'istituto   della "sospensione", la quale opera come una sorta di parentesi aperta in seno al decorso del termine; d) che i due istituti sono stati contemplati in due atti normativi anche formalmente diversi, dei quali il secondo, il D.L.C.P.S. n. 1430 del 1947, non ha operato sul primo con effetti abrogativi, né espressi né taciti, stante la diversità   di termini, durata, destinatari, figure   giuridiche interessate.

8.3. Ritiene il Collegio che questa interpretazione non possa essere condivisa, perché non sono decisive le argomentazioni che la sostengono, mentre appaiono evidenti e decisivi i motivi   che depongono per una diversa esegesi.
E difatti, appare innanzitutto irrilevante che le due disposizioni in esame (D.Lgs.Lgt. n. 440 del 1945 ed Allegato 15, lett. A) n. 3 del Trattato di pace) abbiano durata diversa, si riferiscano a soggetti diversi, usino termini diversi (proroga e sospensione o estensione).

A ben vedere, infatti, la diversità tra le due disposizioni è ancor più radicale perché la prima fa parte dell'ordinamento giuridico italiano mentre la seconda fa parte dell'ordinamento internazionale. Il che, tra l'altro, spiega perché la seconda non ha certamente potuto abrogare la prima, non essendo concepibile una abrogazione tra norme appartenenti a diversi ordinamenti.
8.4. In realtà, l'interpretazione in esame sembra basarsi su un assunto indimostrato e non condivisibile, e cioè appunto sulla premessa che il D.L.C.P.S. 28 novembre 1947, n. 1430, art. 1, avrebbe introdotto nell'ordinamento italiano una disposizione in tutto e per tutto identica a quella dell'ordinamento internazionale contenuta nell'Allegato 15, lettera A, n. 3, del Trattato di pace.
Il che non è necessariamente vero, perché il D.L.C.P.S. 28 novembre 1947, n. 1430, art. 1, non riproduce la disposizione del Trattato ma contiene un ordine di esecuzione del Trattato stesso, ossia una norma sulla produzione che ha per effetto la creazione nell'ordinamento interno di tutte le norme necessarie e sufficienti al dispiegarsi degli effetti delle disposizioni contenute nel trattato. E' vero che nella specie la norma internazionale sembra avere un contenuto sufficientemente puntuale e preciso tale da poter essere direttamente applicata dal giudice nazionale. Ma è anche vero che ciò non esclude il dovere dell'interprete, e in primo luogo del giudice, di individuare pur sempre quale è la norma interna creata dall'ordine di esecuzione necessaria e sufficiente per l'adempimento dell'Italia agli obblighi internazionali assunti con il trattato e quindi ad adattare l'ordinamento interno alle disposizioni del trattato stesso. In particolare l'interprete dovrà evitare, per quanto possibile, che la norma interna sia più ampia o più ristretta rispetto alle previsioni ed agli scopi del trattato e comunque che sia in contrasto con i principi costituzionali.
8.5. Orbene, sembra evidente che le finalità dichiaratamente perseguite dall'Allegato 15 citato e lo stesso tenore testuale delle sue disposizioni non richiedevano affatto che ai cittadini delle potenze alleate ed assimilate vincitrici fosse riservato - in ordine alla durata dei diritti di autore in generale, e delle opere cinematografiche in particolare - una protezione privilegiata e diversa rispetto a quella accordata ai cittadini italiani, essendosi anzi espressamente escluso che, per effetto delle disposizioni stesse, potesse derivare ai cittadini italiani ovvero a quelli delle potenze alleate un trattamento più favorevole degli uni rispetto agli altri. L'unico effetto che la disposizione di cui al citato n. 3 dell'Allegato 15 voleva perseguire era che, "nel calcolo dei termini normali di validità dei diritti" di autore "che erano in vigore in Italia allo scoppio della guerra" ed appartenenti ai cittadini delle potenze alleate, non si sarebbe dovuto tener conto del periodo di tempo intercorso durante la guerra e che la "durata normale" di tali diritti sarebbe stata automaticamente estesa per il tempo di durata della guerra.
Dunque, già secondo il suo tenore testuale la disposizione del trattato si riferiva esclusivamente ai termini normali di validità, vigenti in Italia allo scoppio della guerra, ed alla durata normale dei diritti di autore. E' perciò palese che la disposizione del trattato, nel prevedere l'estensione del termine, non ha inteso riferirsi al termine comprensivo anche della proroga stabilita col D.Lgs.Lgt. n. 440 del 1945 (già vigente al momento   della stipulazione del trattato), che non costituiva il termine normale di protezione, ma un termine speciale applicabile solo alle opere di alcuni autori, e che comunque non era in vigore al momento dello scoppio della guerra. Lo scopo perseguito dalla disposizione, invero, era chiaramente proprio quello di estendere  ai cittadini delle potenze alleate il beneficio già concesso ai cittadini italiani ed assimilati dal D.Lgs.Lgt. n. 400 del 1945 (e di cui era, quanto meno, incerta l'applicabilità agli stranieri o ad alcuni stranieri), senza la creazione di ingiustificate posizioni di privilegio.
E'   inoltre   evidente   che,   se si dovesse   ritenere   immessa nell'ordinamento interno, in virtù dell'ordine di esecuzione, una norma che avesse l'effetto di accordare ai cittadini delle potenze alleate, per compensarli del mancato esercizio dei diritti di autore durante la guerra, un diverso termine di 11 anni, 10 mesi e 8 giorni, anziché quello normale di sei anni previsto per i cittadini italiani, si sarebbe in presenza di una norma che avrebbe attribuito ai detti cittadini un trattamento privilegiato e più favorevole né imposto né giustificato dalle disposizioni del trattato.
Conseguentemente, si profilerebbe una norma che si porrebbe in contrasto con l'art. 3 Cost, sia sotto il profilo della manifesta irragionevolezza sia sotto quello della violazione del principio di uguaglianza. Nessuno infatti ha indicato un ragionevole motivo per cui, per dare esecuzione al trattato, si sarebbe dovuta dare ai cittadini delle potenza alleate un periodo di proroga o di estensione dei termini di tutela del diritto di autore di durata quasi doppia di quella del conflitto e di quella prevista per i cittadini italiani.
Da qui anche la necessità di interpretare l'ordine di esecuzione e di individuare la norma immessa nell'ordinamento italiano in maniera adeguatrice, evitando conflitti con i principi costituzionali.
8.6. Ritiene quindi il collegio che, per effetto dell'ordine di esecuzione del trattato, debba ritenersi immessa nell'ordinamento interno una norma che attribuiva ai cittadini delle potenze alleate lo   stesso termine già attribuito ai cittadini italiani   per neutralizzare gli effetti negativi determinati dallo stato di guerra sull'esercizio dei diritti di utilizzazione delle opere dell'ingegno, impedito durante il periodo bellico.
E precisamente, qualora si fosse trattato di cittadini di potenze alleate per i quali non vigeva il principio di reciprocità generica in materia di diritto di autore e per i quali,  quindi, non si estendeva la proroga prevista dal D.Lgs.Lgt. n. 440 del 1945, l'ordine di e-secuzione ha dato luogo ad una norma che rendeva applicabile anche ad essi la suddetta proroga di sei anni per il periodo bellico (e quindi per un periodo superiore ai 5 anni, 10 mesi ed 8 giorni previsto dal trattato).
Qualora invece si fosse trattato di cittadini di potenze alleate ed associate per le quali esisteva una situazione di reciprocità ed ai quali quindi già si estendeva il periodo di proroga di cui al D.Lgs.Lgt. n. 440 del 1945, l'ordine di esecuzione non ha portato alla immissione nell'ordinamento interno di alcuna altra norma speciale,   in   quanto   le esigenze e le finalità   perseguite dall'Allegato 15 del trattato erano già state ampiamente raggiunte con la previsione della detta proroga. Per tali cittadini e Stati, quindi,   l'adattamento   dell'ordinamento   interno   alla    citata disposizione del trattato si era già verificato con il D.Lgs.Lgt. n. 440 del 1945.
Ciò del resto trova significativa conferma nel fatto che il legislatore, successivamente, non ha mai fatto riferimento ad una pretesa proroga o sospensione o estensione o comunque ad un autonomo prolungamento del termine di durata derivante dal D.L.C.P.S. n. 1430 del 1947, ma si è sempre riferito esclusivamente alla proroga di cui al D.Lgs.Lgt. n. 440 del 1945, considerandola quindi come unica estensione del normale termine di durata valevole per tutti gli autori, italiani o stranieri.
E così, la L. 20 giugno 1978, n. 399, art. 3, contenente la delega al governo per l'emanazione di un Decreto Legislativo in materia che estendesse ed unificasse tutti i termini di durata del diritto di autore allora vigenti, si è riferito soltanto al D.Lgs.Lgt. n. 440 del 1945 e non anche al D.L.C.P.S. n. 1430 del 1947.
Allo stesso modo, la L. 6 febbraio 1996, n. 52, art. 17, che ha ulteriormente prolungato i termini di durata di protezione dei diritti   di   utilizzazione economica delle   opere   dell'ingegno disponendo l'abrogazione delle precedenti norme speciali, ha di nuovo fatto riferimento al solo D.Lgs.Lgt. n. 440 del 1945 e non anche al D.L.C.P.S. n. 1430 del 1947.
8.7. In conclusione, deve ritenersi che, per effetto dell'ordine di esecuzione del trattato di pace contenuto nel D.L.C.P.S. 28 novembre 1947, n. 1430, si è verificata una situazione normativa per cui a tutti gli autori italiani o assimilati, o agli autori di Stati per i quali vigeva il principio di reciprocità in materia di diritto d'autore o degli Stati di potenze alleate ed associate vincitrici (per i quali esistesse o meno una situazione di reciprocità) si applicava indistintamente, oltre al normale termine di durata, il termine di proroga di sei anni a compensazione degli impedimenti dovuti al periodo bellico previsto dal D.Lgs.Lgt. n. 440 del 1945. Per i due film in questione, quindi, prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. 8 gennaio 1979, n. 19, il termine di durata dei diritti di utilizzazione economica era di complessivi anni trentasei.
Ne deriva che entrambe le suddette opere cinematografiche (la cui prima proiezione in pubblico risaliva, secondo la sentenza impugnata, rispettivamente al 1939 ed al 1933) alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 19 del 1976 erano ormai divenute di pubblico dominio. 9. Si pone tuttavia anche il problema di stabilire se il D.Lgs. 8 gennaio 1979, n. 19, abbia, da un lato, abrogato o meno il D.Lgs.Lgt. n. 440 del 1945, e, dall'altro, esteso l'ampliamento da trenta a cinquanta anni del termine per i diritti di utilizzazione economica delle opere cinematografiche anche alle opere già cadute in pubblico dominio al momento della sua entrata in vigore.
10.1. La prima questione è rilevante ai fini della soluzione del caso in esame solo qualora si ritenesse che, per i produttori statunitensi, il termine complessivo di protezione fosse, all'epoca di entrata in vigore del D.Lgs. n. 19 del 1979, di 41 anni, 10 mesi ed 8 giorni e non - come invece deve ritenersi - di 36 anni al pari del termine valevole per gli autori italiani e di quelli di Stati non vincitori della guerra. Nella prima ipotesi, invero, alla suddetta data sarebbe caduto in pubblico dominio soltanto il cartone animato "I tre porcellini" e non anche il film "Biancaneve e i sette nani", così come ritenuto nel presente processo dal giudice di primo grado.
In ordine a tale questione deve ricordarsi che la norma delegante di cui alla L. 20 giugno 1978, n. 399, art. 3, aveva espressamente fissato il principio e criterio direttivo che il legislatore delegato avrebbe dovuto, contestualmente alla modifica dei termini di tutela, ed in particolare contestualmente alla modifica del termine generale e dei termini speciali - quale è quello fissato per le opere cinematografiche - abrogare il regime di proroga di protezione previsto dal D.Lgs.Lgt. 20 luglio 1945, n. 440 (art. 3, comma 2, n. 3).
10.2. Parte della giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Roma, 17 febbraio 1995, n. 2900, Walt Disney Co. e Buena Vista Home Video srl c. Cinepatrizia srl) ha ritenuto che il legislatore delegato non avesse un obbligo di abrogazione del D.Lgs.Lgt. n. 440 del 1945 per il motivo che la L. n. 399 del 1978, art. 3, comma 2, n. 3, avrebbe disposto l'abrogazione della proroga in relazione all'adeguamento del termine "generale" di durata della protezione del diritto di autore in misura non superiore a quella prevista nelle più recenti  leggi dei paesi aderenti alla Convenzione di Berna, cui avrebbe dovuto far seguito la modifica proporzionale anche dei termini speciali di tutela. Si è perciò osservato che si trattava di portare il termine "generale" dei 50 anni dopo la morte dell'autore a 70 anni (come previsto dalla Legislazione Tedesca del 1965), mentre l'aumento dei termini di protezione, per le opere cinematografiche, da 30 a 50 anni era già imposto dalla stessa Convenzione di Berna (nel testo di Parigi del 1971) cui la L. n. 399 del 1979 intendeva dare ratifica ed esecuzione. Secondo la tesi in esame, quindi, il primo innalzamento del   termine "generale" era una libera scelta del legislatore nazionale,   mentre   il secondo (per le opere cinematografiche) discendeva da un preciso obbligo convenzionale. Pertanto, non si sarebbe potuta stabilire una diretta ed immediata correlazione tra l'adozione del termine convenzionale dei 50 anni per le opere cinematografiche e l'abrogazione della proroga del 1945, mentre si sarebbe dovuto credere che il governo si fosse limitato a modificare il termine "speciale" (come previsto dalla convenzione per le opere cinematografiche) decidendo di non fare uso del potere di prolungare il termine "generale" di durata, e quindi di abrogare la proroga del 1945. Si sarebbe dunque potuto parlare, al più, di inottemperanza "parziale" della delega e comunque certamente non di violazione delle specifiche finalità della delega medesima (ciò che unicamente sarebbe    stato   suscettibile   di   determinare   l'illegittimità costituzionale della normativa delegata) dato che tali specifiche finalità   dovevano individuarsi nell'esigenza di applicare   la convenzione di Berna nel testo di Parigi, come puntualmente avvenuto con il D.P.R. n. 19 del 1979.
10.3. Questa tesi appare però non convincente sotto diversi profili, e non può quindi essere condivisa. Innanzitutto, invero, non si tratta di stabilire se il decreto legislativo abbia o meno perseguito le stesse specifiche finalità fissate dalla legge di delegazione, bensì di stabilire se il legislatore delegato abbia o meno rispettato i principi e criteri direttivi previsti dal legislatore delegante e le condizioni da questo poste per un legittimo esercizio della Delega Legislativa. In secondo luogo, appare irrilevante la distinzione tra modifica del termine "generale" e modifica del termine speciale per le opere cinematografiche, il quale ultimo sarebbe stato imposto già dalla convenzione di Berna alla quale legge di delegazione e decreto delegato intendevano dare attuazione ed esecuzione. Ed invero, anche soltanto per dare attuazione alla convenzione di Berna nel testo del 1971, occorrendo modificare norme aventi forza e valore di legge (quali quella di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 32), era necessario l'intervento di un altro atto avente forza di legge. Il D.P.R. n. 19 del 1979, quindi, in tanto poteva legittimamente modificare l'art. 32 cit. in attuazione della convenzione in quanto aveva la qualifica di Decreto Legislativo delegato emanato col rispetto dei principi e criteri direttivi fissati dalla legge di delegazione. E quest'ultima stabiliva appunto che il legislatore delegato   avrebbe dovuto, contemporaneamente alla modifica   dei termini, generali o speciali, anche abrogare il regime di proroga del 1945. Quindi, se si volesse seguire la tesi che si sta esaminando - secondo   cui   l'aumento   del termine speciale   per   le   opere cinematografiche sarebbe stato effettuato dal governo al di fuori della Delega Legislativa (e dai limiti e condizioni dalla stessa imposte) e solo in attuazione della convenzione di Berna - dovrebbe ritenersi illegittima la stessa modifica dell'art. 32 della L. n. 633 del 1941, ossia lo stesso aumento da 30 a 50 anni del termine di protezione per le opere cinematografiche, in quanto operata da un decreto del governo emanato al di fuori dell'ambito della delega conferita dalla L. n. 399 del 1978. Ed invero delle due l'una: o la modifica dei termini di cui all'art. 32 cit. rientrava nell'ambito della delega conferita con la L. n. 399 del 1978, ed allora il decreto delegato avrebbe dovuto anche abrogare il termine di proroga del 1945; oppure non vi era un obbligo di abrogazione perché la modifica non rientrava nell'ambito della delega ma costituiva solo esecuzione della convenzione di Berna, ed allora la stessa modifica dell'art. 32   era palesemente illegittima (e dovrebbe   essere disapplicata dal giudice ordinario) perché posta con un atto non avente valore e forza di legge.
In terzo luogo, nella legge di delegazione l'abrogazione della proroga del 1945 era chiaramente stabilita in correlazione della modificazione sia del termine generale sia del termine speciale di durata, di modo che qualsiasi modificazione di un termine, generale o speciale che fosse, imponeva l'abrogazione del regime di proroga. La norma di delega, invero, attribuiva al legislatore delegato il potere di   modificare il termine generale di durata della protezione modificando proporzionalmente anche i termini speciali ed "abrogando contestualmente" il regime di proroga. E' quindi evidente che non solo la modifica del termine generale di durata, ma anche quella dei termini speciali era condizionata alla contestuale abrogazione del regime di proroga. D'altra parte, se così non fosse, se cioè - come sostiene la tesi in esame - l'abrogazione del regime di proroga era collegata alla sola modifica del termine generale, allora dovrebbe ritenersi che anche la modifica proporzionale dei termini speciali era,   allo stesso modo, collegata all'adeguamento del   termine generale. In altre parole, dovrebbe ritenersi che in tanto il legislatore delegato poteva modificare proporzionalmente i termini speciali in quanto avesse anche adeguato il termine generale, con la conseguenza che, non avendo il decreto delegato modificato il termine generale, dovrebbe considerarsi illegittima (e dovrebbe sollevarsi la relativa questione di legittimità costituzionale) la sola modifica dei termini speciali. Ed invero, solo ritenendo che la delega prevedesse   la modifica dei termini speciali come indipendente dall'adeguamento   del   termine generale,   e   non   correlata   a quest'ultimo, potrebbe ritenersi legittimo l'uso parziale del potere di delega per la sola modifica del temine speciale senza quella del termine generale. In questo caso, però, è evidente - stante il tenore letterale della disposizione - che la condizione della abrogazione del regime di proroga doveva ritenersi posta in relazione sia alla modifica del termine generale sia a quella dei termini speciali.
Non è infine chiaro cosa intenda la tesi in esame quando parla di "inottemperanza   parziale   alla delega". Se,   invero,   vi   è inottemperanza della delega, sia essa totale o parziale, vi è comunque violazione dell'art. 76 Cost. In realtà, con riferimento alla L. n. 399 del 1978, art. 3, comma 3, n. 3, si può semmai parlare di esercizio parziale della delega, perché il legislatore delegato non ha apportato tutte le modifiche autorizzate dalla legge di delegazione. Ma il fatto che la delega sia stata esercitata parzialmente non consente di non rispettarne comunque i principi e criteri direttivi e le condizioni da essa poste all'esercizio del potere delegato.
Nella specie, come rilevato, la norma di delega aveva condizionato sia l'adeguamento del termine generale sia la modifica dei termini speciali alla contestuale abrogazione del regime di proroga. Se quindi dovesse ritenersi che non vi sia stata abrogazione, dovrebbe sollevarsi questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 76 Cost., del D.Lgs. n. 19 del 1979 nella parte in cui ha modificato la L. n. 633 del 1941, art. 32, portando da 30 a 50 anni il termine di protezione per le opere cinematografiche, senza rispettare la condizione della contestuale abrogazione del regime di proroga cui tale modifica era condizionata.
10.4. Ritiene però il collegio che al D.Lgs. n. 19 del 1979 possa, e quindi debba, darsi una interpretazione adeguatrice, che elimini il suddetto profilo di illegittimità costituzionale, ed in particolare una interpretazione nel senso che, con la sua entrata in vigore, anche in mancanza di una specifica disposizione di abrogazione espressa, si è comunque verificata l'abrogazione del D.Lgs.Lgt. n. 440 del 1945 (e di tutte le altre norme speciali che in ipotesi prevedessero proroghe o sospensioni o estensioni della durata del termine di protezione per le opere cinematografiche).
Innanzitutto, invero, interpretando il D.Lgs. n. 19 del 1979 nel suo complesso ed alla stregua della volontà e dei principi fissati dal legislatore delegante nonché di una esegesi adeguatrice, può ritenersi   che, per quanto concerne le opere cinematografiche, l'aumento da 30 a 50 anni della durata della loro protezione sia incompatibile, secondo l'espressa volontà manifestata dalla legge di delegazione, con il permanere in vigore del regime di proroga concesso dal D.Lgs.Lgt. n. 440 del 1945 (e di tutte le  altre eventuali proroghe o sospensioni) e ne abbia quindi automaticamente determinato l'abrogazione tacita.
In ogni caso, potrebbe anche ritenersi che si sia verificata una abrogazione per nuova regolamentazione della materia, che, come è noto, si verifica in presenza di una presunzione iuris et de iure di incompatibilità delle norme complessivamente ricavabili dalla fonte precedente   con quelle complessivamente ricavabili dalla   fonte successiva,   specie quando la determinazione   sull'identità   e totalità della "materia" dipenda anche da una qualche qualificazione risultante dalla legge successiva. Può invero ritenersi che la norma di delegazione, col prevedere l'abrogazione del regime di proroga contestualmente alla modifica del termine generale o speciale di durata della protezione, abbia anche stabilito che, nell'ambito in cui sarebbero poi intervenute le modifiche, la disciplina del decreto delegato avrebbe avuto la natura di nuova disciplina della materia abrogativa delle norme anteriori. Con la conseguenza che le modifiche apportate dal D.Lgs. n. 19 del 1979 al termine di durata della protezione delle opere cinematografiche, hanno determinato anche la automatica abrogazione di tutte le norme speciali precedentemente in vigore nel medesimo ambito di disciplina.
E' appena il caso di ricordare che solo una siffatta interpretazione può consentire di non sollevare la su indicata questione di legittimità costituzionale.
11. La seconda questione che si pone in ordine al D.Lgs. n. 19 del 1979 è stabilire se l'aumento da 30 a 50 anni della durata di protezione delle opere cinematografiche da esso disposto si applichi o meno anche alle opere già cadute in pubblico dominio al momento della sua entrata in vigore.
E difatti, se il nuovo termine di durata di 50 anni non può comunque applicarsi alle opere già cadute in pubblico dominio, esso non sarebbe in nessun caso applicabile nella specie, anche qualora il medesimo D.Lgs. n. 19 del 1979 non avesse abrogato il regime di proroga di sei anni stabilito dal D.Lgs.Lgt. n. 440 del 1945.
11.1. Una parte della giurisprudenza civile di merito (cfr. Trib. Roma, 17 febbraio 1995, n. 2900, cit.) ha ritenuto che il nuovo termine si applichi anche alle opere già cadute in pubblico dominio, e ciò perché: a) dovrebbe trovare applicazione la L. n. 633 del 1941, art. 199, che non è stata abrogata ma solo modificata dal D.P.R. n. 19 del 1979; b) la L. n. 633 del 1941, e quindi anche l'art. 32 nel testo modificato, trova applicazione a tutte le opere cinematografiche prodotte sia prima che dopo l'entrata in vigore della legge medesima, mentre i rapporti intertemporali vanno regolati con riferimento alla normativa vigente all'atto della loro nascita, nel senso che i rapporti nati prima della modifica dell'art. 32 trovano la disciplina nel testo originario, mentre i rapporti sorti successivamente all'entrata in vigore del D.P.R. n. 19 del 1979 restano regolati sulla base del nuovo testo dell'art. 32; c) il diritto di sfruttamento dell'opera cinematografica alla scadenza del termine cade in pubblico dominio nel senso che l'opera può essere legittimamente sfruttata da chiunque, mentre l'originario titolare perde solo il diritto di utilizzarla in esclusiva, ma non il diritto di sfruttamento economico della stessa. Si realizzerebbe così una sorta di situazione di "quiescenza", paragonabile a quella della nuda proprietà dopo la concessione dell'usufrutto, e perciò nulla osta che, qualora il legislatore ritenga di aumentare il periodo di tutela integrale del diritto in esame, lo stesso riacquisti la   sua originaria ampiezza ed assolutezza, posto che alla compressione della originaria   sfera del diritto  del titolare non si contrappone l'acquisto di analogo diritto da parte di chicchessia; d) non vi sarebbe una attribuzione di effetti retroattivi al D.P.R. n. 19 del 1979, atteso che anche con riguardo alla L. n. 633 del 1941, art. 199, era  stato ritenuto che questa non aveva derogato alla regola della irretroattività, perché l'estensione alle opere pubblicate prima del 18 dicembre 1942 della protezione accordata a quelle pubblicate dopo, significava dichiarare idonei i fatti precedenti a produrre effetti diversi da quelli previsti dalla legge anteriore e non già che tali effetti si possano produrre anche in relazione ad una situazione giuridica già esauritasi; e) vi era in tal senso anche un principio dell'ordinamento comunitario ricavabile dalla direttiva 93/98 CEE del Consiglio del 29 ottobre 1993, concernente l'armonizzazione della durata di protezione del diritto di autore, laddove afferma l'opportunità che gli Stati membri possano prevedere che in determinate circostanze i diritti in questione, ripristinati conformemente alla direttiva medesima, non possano dar luogo a pagamento da parte di persone che in buona fede avevano intrapreso lo sfruttamento delle opere cadute in pubblico dominio; f) una diversa interpretazione comporterebbe una parziale elusione della finalità di uniformare il trattamento di tutte le opere cinematografiche, perseguito dal legislatore con il D.P.R. n. 19 del 1979.
11.2. Si tratta però di argomentazioni non  decisive, perché irrilevanti o erronee.
Per quanto riguarda il motivo sub a), può osservarsi che il richiamo alla L. n. 633 del 1941, art. 199 è irrilevante, perché esso altro non dice se non che le disposizioni della legge stessa si applicano anche alle opere pubblicate prima della sua entrata in vigore, ma non anche   alle opere cadute in pubblico dominio anteriormente   o successivamente a tale data (a meno di non voler ipotizzare che per effetto del detto art. 199 fosse stata ripristinata la protezione di opere cadute in pubblico dominio anche da secoli). L'art. 199, quindi, non incide sulla soluzione del problema in esame, né di per sé può comportare che alle modifiche introdotte dal D.P.R. n. 19 del 1979 debba darsi efficacia retroattiva, incidente sulle opere già cadute in pubblico dominio.
Il motivo sub b) è, a ben vedere, di non agevole comprensione perché non si intende quale rilevanza abbia, per la soluzione del problema in esame, il fatto che i rapporti intertemporali vanno regolati con riferimento alla normativa vigente all'atto della loro nascita. Se così è, dovrebbe appunto dedursene che i film in oggetto, essendo stati prodotti prima della modifica dell'art. 32, dovrebbero continuare ad essere regolati dal testo originario. Per quanto concerne il richiamo alla L. n. 633 del 1941, art. 199 della, deve ribadirsi che l'unica interpretazione corretta che ad esso possa darsi è nel senso che esso stabilisce solo che alle opere pubblicate prima del 18 dicembre 1942 si applicano le norme poste dalla L. n. 633 del 1941, ma non anche le norme successivamente poste da fonti diverse, il cui ambito di applicazione è regolato dalla fonte che le ha poste.
Il motivo sub c) è non condivisibile, oltre che irrilevante. A parte invero il dubbio paragone con la nuda proprietà e la cessione di usufrutto, è inesatto affermare che con la caduta in pubblico dominio dell'opera vi sarebbe solo una limitazione del diritto di sfruttamento da parte del proprietario senza l'acquisizione di analogo diritto da parte di chicchessia. Con la caduta in pubblico dominio dell'opera, infatti, sorge automaticamente in capo a tutti i consociati il diritto di sfruttamento economico della stessa, sicché ognuno acquista il diritto di sfruttarla come meglio crede, diritto che peraltro trova anche un fondamento costituzionale nel principio di libertà di iniziativa economica di cui all'art. 41 Cost. nonché nell'interesse pubblico di consentire, dopo un determinato periodo di tempo, una divulgazione delle opere anche nel caso in cui gli eredi del titolare dei diritti non intendessero, per i più diversi motivi, riprodurle e distribuirle. Dal fatto che l'originale titolare del diritto di esclusiva abbia, al pari di tutti gli altri consociati, il diritto di continuare ad utilizzare l'opera in una posizione di libera concorrenza e non più in esclusiva, non può farsi derivare la conseguenza che, qualora il legislatore aumenti il termine di durata  di protezione del diritto, rinasca automaticamente quel diritto esclusivo di sfruttamento che ormai si era già esaurito e contemporaneamente siano automaticamente caducati i diritti   di sfruttamento economico ormai già sorti in capo a tutti gli altri soggetti. Potrà eventualmente il legislatore prevedere un effetto siffatto, se non contrastante con norme o principi costituzionali, nei confronti delle opere già cadute in pubblico dominio, ma esso dovrà appunto essere esplicitamente previsto dal legislatore e non può essere automaticamente presunto solo in conseguenza dell'aumento dei termini di durata della protezione.
Il motivo sub d) è inconferente perché nel caso in esame non si tratterebbe di dichiarare i fatti precedenti idonei a produrre effetti diversi da quelli previsti dalla legge anteriore, bensì proprio di dichiarare che gli effetti previsti dalla nuova disciplina si devono produrre anche in relazione a situazioni giuridiche già esaurite, come quelle derivanti dalla caduta in pubblico dominio delle opere cinematografiche. D'altra parte, non si vede come la caduta   in   pubblico dominio di un film possa non comportare l'esaurimento   della situazione giuridica relativa   al   diritto esclusivo di sfruttamento da parte del produttore con la nascita di nuove situazioni giuridiche costituite dal diritto di sfruttamento economico da parte di tutti i consociati; così come non si vede come possa ritenersi che non abbia effetto retroattivo una disciplina che trovi applicazione a situazioni già esaurite prima del momento della sua entrata in vigore. Il richiamo a quanto ritenuto in relazione all'art. 199 cit. sembra quindi del tutto inconferente.
Per quanto riguarda il motivo sub e) è sufficiente osservare, a parte ogni altra considerazione, che i principi ricavabili da una direttiva comunitaria del 1993 non possono ovviamente valere ai fini dell'interpretazione di un D.Lgs. n. 19 del 1979. In ogni modo, va anche ricordato che dalla direttiva 93/98/CEE del Consiglio sembrano ricavarsi semmai principi di segno opposto, dal momento che nel n. 27 delle premesse della direttiva si precisa "che i diritti acquisiti e le   lecite   aspettative   dei terzi sono   tutelati   nell'ambito dell'ordinamento giuridico comunitario; che è opportuno che gli Stati membri possano segnatamente prevedere che in determinate circostanze i diritti d'autore e i diritti connessi ripristinati conformemente alla presente direttiva non possano dar luogo a pagamenti da parte di persone che avevano intrapreso in buona fede lo sfruttamento delle opere nel momento in cui dette opere erano di dominio pubblico", mentre nell'art. 10, comma 3, si specifica che "la presente direttiva lascia impregiudicata l'utilizzazione in qualsiasi forma, effettuata anteriormente alla data" in cui alla stessa è data attuazione dagli Stati membri, i quali "adottano le misure necessarie al fine di proteggere segnatamente i diritti acquisiti dei terzi". E' irrilevante infine anche il motivo sub f). Infatti, da un lato, la finalità del legislatore delegante e del legislatore delegato non era   quella di uniformare il trattamento di tutte   le   opere cinematografiche presenti e passate, ivi comprese quelle già cadute in pubblico dominio, bensì quella di modificare il termine speciale di protezione di tali opere ancora oggetto di protezione adeguandolo a quello previsto dalla convenzione di Berna nel testo del 1971.
Questa finalità, quindi, non può comportare di per sè l'effetto retroattivo delle nuove norme anche sulle opere già cadute in pubblico dominio.
11.3. Mentre quindi non sono decisive le argomentazioni portate a sostegno della tesi dell'applicazione dei nuovi termini stabiliti dal D.P.R. n. 19 del 1979 anche alle opere cinematografiche già cadute in pubblico dominio, a favore della tesi contraria militano altre considerazioni.
Invero, va considerato che il principio di irretroattività delle leggi di cui all'art. 11 preleggi, se non ha valore di principio costituzionale,   ha   tuttavia   valore   di   principio    generale dell'ordinamento giuridico e quindi opera come fondamentale criterio di interpretazione delle norme giuridiche. Pertanto, in difetto di specifiche disposizioni in senso contrario o di una specifica volontà contraria del legislatore, una nuova disciplina deve essere normalmente   interpretata nel senso che   non   abbia   efficacia retroattiva. Ora, né dalla Legge di Delegazione n. 399/1978, né dal D.Lgs. n. 19 del 1979 si ricava una qualsiasi norma nel senso che i nuovi termini di durata della protezione delle opere cinematografiche debbano applicarsi anche alle opere già in precedenza cadute in pubblico dominio.
Inoltre,   allorché   il legislatore ha voluto   dare   efficacia retroattiva ai nuovi termini di durata della protezione ed in particolare ha voluto estenderli alle opere già cadute in pubblico dominio,   lo   ha espressamente previsto, ponendo altresì   una disciplina transitoria in ordine ai contratti stipulati ed ai rapporti sorti in relazione al lecito esercizio del diritto di sfruttamento dell'opera caduta in pubblico dominio da parte di soggetti diversi dall'originario titolare.
Così, già la L. 22 aprile 1941, n. 633, pose con l'art. 199 una specifica disposizione che stabiliva l'applicazione della legge stessa alle opere pubblicate anche prima dell'entrata in vigore della legge medesima (non cadute già in pubblico dominio), in tal modo intendendo che, altrimenti, la nuova disciplina si sarebbe applicata solo alle opere pubblicate successivamente.
Il D.Lgs.Lgt. n. 440 del 1945, poi, pur prevedendo che la proroga di sei anni della durata della protezione si applicava a tutte le opere già pubblicate ma non a quelle già cadute in pubblico dominio, dettava poi una specifica disciplina sui limiti e le condizioni alle quali   era   subordinata l'estensione della maggiore durata   di protezione a favore degli autori e dei loro eredi, in particolare per l'ipotesi che fossero già avvenute cessioni assolute a terzi dei diritti di autore.
La L. 6 febbraio 1996, n. 52, art. 17, infine, ha espressamente previsto, al comma 2, che il nuovo termine di 70 anni di durata della protezione dei diritti di autore si applica anche alle opere già cadute in pubblico dominio sulla base delle leggi previgenti, stabilendo contemporaneamente, però, con i commi successivi, proprio in relazione a tale prevista efficacia retroattiva, norme specifiche per disciplinare i casi di avvenuta cessione dei diritti e lasciando comunque pienamente salvi ed impregiudicati gli atti e contratti fatti   o   stipulati anteriormente ed i diritti   legittimamente acquistati da terzi. In particolare, per le opere già cadute in pubblico dominio, sono state fatte salve la distribuzione e la riproduzione delle edizioni, limitatamente alla composizione grafica ed alla veste editoriale con le quali la pubblicazione è avvenuta, effettuate da coloro che le avevano già intraprese, stabilendo che tale distribuzione e riproduzione, consentite senza corrispettivi, si estendono anche agli aggiornamenti futuri che la natura delle opere richiede. Inoltre, il comma 5, nel concedere una delega   per l'attuazione della direttiva 93/98/CEE del Consiglio, fissa anche degli   specifici principi e criteri direttivi   per   le   opere cinematografiche ed assimilate, in considerazione del   notevole prolungamento del termine di durata di protezione.
Dunque, qualora il legislatore ha voluto che un prolungamento dei termini di protezione si estendesse retroattivamente alle opere già cadute in pubblico dominio, non solo lo ha espressamente stabilito, ma ha altresì disposto specifiche norme a salvaguardia di coloro che avevano   già   esercitato il diritto alla libera utilizzazione economica delle opere stesse.
In mancanza di qualsiasi indicazione nella Legge di Delegazione n. 399/1978 e nel D.Lgs. n. 19 del 1979 da cui possa desumersi una volontà del legislatore di estendere i nuovi termini alle opere già di pubblico dominio e di incidere sui diritti di libera utilizzazione già acquistati ed esercitati da terzi, deve quindi ritenersi, anche in   applicazione   del   principio generale   dell'ordinamento   di irretroattività della legge, che l'estensione da 30 a 50 anni del termine di protezione per le opere cinematografiche operata dal D.Lgs. n. 19 del 1979 non riguardi i film che erano in precedenza già caduti in pubblico dominio.
12.1. Va, a questo punto, esaminata una ulteriore questione.
La Corte d'appello, invero, ha anche acriticamente seguito - in relazione al solo film "I tre porcellini" - la tesi secondo cui le opere cinematografiche di animazione aventi ad oggetto personaggi dei cartoni animati godrebbero di una doppia protezione, perché a quella fissata dalla legge per l'opera filmica nel suo complesso si cumulerebbe quella stabilita per i disegni con i quali sono state realizzate, con la conseguenza che, finché dura la protezione per i disegni dei personaggi, non potrebbe determinarsi la caduta in pubblico dominio nemmeno dei film che li utilizzano.
A sostegno di questa tesi la Corte d'appello si è limitata ad addurre l'argomentazione della "peculiarità delle opere a cartoni animati, nella cui ideazione e realizzazione acquista una rilevanza determinante l'autore dei disegni effigianti i personaggi da lui creati e quindi messi in sequenza e movimentati attraverso un procedimento particolare". Questa argomentazione appare, però, del tutto inconferente perché la legge sul diritto di autore è chiara nell'attribuire    il    diritto    di    utilizzazione    dell'opera cinematografica    al    produttore   per   la    durata    prevista, indipendentemente dalla rilevanza, determinante o meno, che nella ideazione e realizzazione dell'opera possano aver avuto il regista, o l'autore della musica o del soggetto o della sceneggiatura, o, quindi, anche il creatore dei personaggi e l'autore dei disegni che vengono animati.
A favore della tesi della duplice tutela, parte della giurisprudenza di merito (cfr. Pret. Roma, 11 settembre 1992, S.r.l. Cinepatrizia c. Buena Vista Home Video e SIAE) ha anche addotto l'argomento che il considerare i cartoni animati esclusivamente come opere filmiche "porterebbe alla illogica conseguenza di consentire la riproduzione dei disegni animati laddove non sarebbe tuttavia consentita la riproduzione dei disegni in sé: ne conseguirebbe, ad esempio, che andrebbe ritenuta illecita la riproduzione dei personaggi   sul frontespizio della cassetta e su ogni altro veicolo pubblicitario dei film mentre sarebbe poi lecita la riproduzione dei disegni stessi... in movimento".
Anche questa argomentazione è però inconferente. In primo luogo, perché non sembra affatto che le conseguenze della tesi contraria siano   assurde,   non apparendo invero strano o   anormale   che l'utilizzazione   dell'opera cinematografica in   sé   (anche   se realizzata mediante disegni animati) abbia la sua propria e specifica protezione, mentre l'eventuale ulteriore e diversa utilizzazione dei disegni in se stessi abbia una diversa protezione, non solo per il soggetto al quale è concessa (l'autore del disegno e non il produttore del cartone animato) ma anche per il termine di durata. Del resto, è del tutto normale che il diritto di utilizzazione della musica, del soggetto o di qualsiasi altro elemento impiegato per la realizzazione di un film sia diverso (per oggetto, per soggetto e per durata) dalla utilizzazione dell'opera cinematografica. Né, infine, è esatto dire che sarebbe illecita una ulteriore utilizzazione dei disegni dei personaggi mentre sarebbe lecita la "riproduzione dei disegni in movimento". E' invero evidente che ciò che è lecita è solo la riproduzione di quel determinato film che abbia utilizzato quei cartoni animati e che sia già caduto in pubblico dominio, mentre non sarebbe lecita (fino alla loro caduta in pubblico dominio) la riproduzione degli stessi disegni e personaggi per realizzare un diverso cartone animato o per qualsiasi altro fine.
In   secondo luogo, anche se fossero effettivamente assurde le conseguenze della diversificazione della protezione del film rispetto a quella dei disegni, ciò non potrebbe comunque giustificare una inammissibile applicazione analogica della norma penale. A ben vedere, infatti, le parti civili, nel prospettare la necessità di una durata omogenea del diritto del produttore alla utilizzazione del film e del diritto dell'autore alla utilizzazione dei disegni, lamentano, in sostanza, l'esistenza nella disciplina di una lacuna, e precisamente di una c.d. "lacuna ideologica" (intendendosi per tale non già la mancanza di una norma, bensì la mancanza di una norma che dia al caso una soluzione soddisfacente, ossia di una norma giusta, o, in altre parole, di una norma che si vorrebbe che ci fosse, e invece non c'è) e non già di una "lacuna reale" (peraltro inconcepibile   in   materia   penale). Di   conseguenza,   ritenuta l'esistenza   della   lacuna in considerazione   della   ipotizzata necessità di tutelare allo stesso modo degli altri disegni anche i disegni utilizzati per realizzare il cartone animato, si ritiene anche di poter fare ricorso alla analogia per estendere la norma dal caso   previsto al caso non previsto, in virtù della pretesa somiglianza tra i due. Sennonché nella specie l'analogia non solo non   è   ammissibile trattandosi di estendere in malam partem l'applicazione di una norma penale, ma non è nemmeno praticabile mancando la eadem ratio, sia per il diverso oggetto della tutela (film come opera unitariamente considerata e disegni ulteriormente utilizzabili) sia per la diversità dei soggetti cui la tutela è accordata (produttore del film ed autore dei disegni).
12.2. In ogni modo - come esattamente sostiene il ricorrente - la tesi della duplicità di tutela non trova fondamento in alcun dato normativo, in assenza del quale (e stante il divieto di analogia) non potrebbe comunque estendersi all'opera cinematografica la tutela prevista per i disegni. La tesi, inoltre, confonde palesemente la tutela dei disegni, quali singoli elementi di fantasia, con quella del   risultato   finale   di una loro specifica   e   determinata utilizzazione, costituito dalla nuova opera in cui essi   sono confluiti. I   disegni, infatti, in quanto opere   dell'ingegno appartenenti ad una autonoma categoria, godono della protezione riservata al loro autore, ma, qualora siano stati riversati nella rappresentazione di immagini in movimento, concorrono a dar luogo alla costituzione di una opera dell'ingegno autonoma e diversa, che la legge individua e protegge come tale, attribuendo il diritto ad un diverso soggetto e con diversi termini di protezione.
Le opere dell'arte del disegno e delle arti figurative similari, invero, sono protette dall'art. 2, comma 1, n. 4), della legge sul diritto di autore, mentre le opere dell'arte cinematografica sono indicate e tutelate al successivo n. 6) del medesimo articolo.
La durata del diritto di protezione, per le prime, è fissato dalla L. n. 633 del 1941, art. 25 ("I diritti di utilizzazione economica dell'opera durano tutta la vita dell'autore e sino al termine del cinquantesimo anno solare dopo la sua morte", termine elevato a 70 anni dalla L. 6 febbraio 1996, n. 52, art. 17, comma 1), mentre per le seconde dalla citata Legge, art. 32 (ed ora dall'art. 78 ter, comma 2).
L'esercizio dei diritti di utilizzazione economica delle opere cinematografiche spetta al produttore (artt. 45 e 78 ter), mentre ai coautori compete soltanto un equo compenso (artt. 46 e 46 bis).
Non possono quindi esservi dubbi che una volta "animato", ossia utilizzato    nella   diversa   forma   espressiva   del   linguaggio cinematografico,   il   disegno costituisce parte   integrante   ed inscindibile di una nuova e diversa opera dell'ingegno, autonomamente e diversamente tutelata, in maniera del tutto indipendente da quelle che sono le sorti del disegno medesimo.
Il diritto di utilizzazione della nuova opera dell'ingegno costituita dal cartone animato, pertanto, spetterà al produttore del film ed avrà la durata prevista per le opere cinematografiche. La tutela di ogni diversa ed ulteriore utilizzazione dei disegni spetterà invece al loro autore, ed avrà la durata prevista per le opere delle arti figurative.
Il decorso del primo termine, quindi, ha nella specie determinato la caduta in pubblico dominio dell'opera cinematografica, anche se non era ancora caduto in pubblico dominio il diritto sui disegni.
12.3. Conferma della mancanza di fondamento normativo della tesi della duplice tutela dei cartoni animati, può rinvenirsi anche nel fatto che solo con il D.Lgs. n. 154 del 1997, art. 3 (che ha sostituito il testo della L. n. 633 del 1941, art. 32) la durata dei diritti di utilizzazione economica dell'opera cinematografica è stata   portata al settantesimo anno dopo la morte dell'ultimo sopravvissuto tra il regista, l'autore della sceneggiatura e del dialogo, e l'autore della musica specificamente creata per essere utilizzata   del   film. Ed infatti,   se   già   prima   l'opera cinematografica non fosse potuta cadere in pubblico dominio finché perduravano i diritti dei diversi coautori sulle loro rispettive opere,   non vi sarebbe stato bisogno di introdurre la   nuova disposizione.
In ogni modo, come già rilevato -  impregiudicate restando la questione se il nuovo testo dell'art. 32 si applichi anche ai diritti di utilizzazione economica del produttore (o se per questi invece valgano ora solo i termini di cui all'art. 78 ter, comma 2) e la questione se detto nuovo testo riguardi anche l'autore del disegno qualora si tratti di cartone animato - la disposizione in esame non può comunque trovare applicazione nella specie, trattandosi di fatti antecedenti alla sua entrata in vigore.
12.4. La tesi della duplice tutela non solo mancava di qualsiasi base normativa, ma nemmeno avrebbe potuto fondarsi su una applicazione analogica di altre norme, sia per il divieto di analogia in materia penale   sia per la mancanza delle condizioni di utilizzazione dell'argumentum a simili, data la evidente diversità di ratio legis fra le norme sulla tutela dell'opera cinematografica e quelle sulla tutela dei disegni.
Esattamente, poi, il ricorrente mette in rilievo che, semmai, le altre norme che tutelano casi che potrebbero ritenersi analoghi, li disciplinano in maniera opposta a quella prospettata nella sentenza impugnata.
Ed infatti, l'art. 3 della legge sul diritto di autore chiarisce che "Le opere collettive, costituite dalla riunione di opere o di parti di opere, che hanno carattere di creazione autonoma, come risultato della scelta e del coordinamento ad un determinato fine letterario, scientifico, didattico, religioso, politico od artistico, quali le enciclopedie, i dizionari, le antologie, le riviste e i giornali, sono   protette come opere originali, indipendentemente e senza pregiudizio dei diritti di autore sulle opere o sulle parti di opere di cui sono composte".
Egualmente, il successivo art. 4 statuisce che "le elaborazioni di carattere creativo dell'opera stessa, quali le... trasformazioni da una in una altra forma artistica..." sono autonomamente protette "senza pregiudizio dei diritti esistenti sull'opera originaria".
Secondo la ricostruzione seguita nella sentenza impugnata, invece, il film a cartoni animati sarebbe una peculiare opera collettiva, non disciplinata    direttamente   dalla   legge,   che,    pur    avendo caratteristiche   di creazione autonoma e pur   derivando   dalla elaborazione e dalla trasformazione di una autonoma forma artistica in un'altra (il disegno che acquista animazione), contrariamente a quanto previsto nei casi analoghi, godrebbe di una duplice tutela: una come opera filmica in quanto tale; un'altra, diversa, che le deriverebbe dalla particolarità degli elementi da cui è composta.
12.5. Le parti civili, con la loro memoria, hanno contestato le argomentazioni del ricorrente - che qui si sono condivise   - osservando che il richiamato L. n. 633 del 1941, art. 3, direbbe esattamente l'opposto, e cioè che le opere collettive sono protette autonomamente come opere originali, "senza pregiudizio" dei diritti spettanti all'autore delle opere di cui costituiscono elaborazione creativa. Il che confermerebbe che i cartoni animati godrebbero di una duplice tutela: quella accordata dalla L. n. 633 del 1941, art. 32, come opere cinematografiche al titolare dei relativi diritti di sfruttamento, "senza pregiudizio" di quella spettante in   base all'art. 25 all'autore dei disegni con cui furono realizzate.
Questo assunto non è condivisibile. E' infatti evidente che il legislatore, laddove con gli artt. 3 e 4 cit., ha attribuito alle opere collettive ed alle elaborazioni di carattere creativo di una opera preesistente il carattere di una nuova, originale ed autonoma creazione, autonomamente protetta rispetto alle opere originarie, ha appunto voluto ribadire la novità e l'autonomia della nuova opera e della nuova elaborazione, a cui viene data una nuova e distinta protezione (con le sue specifiche caratteristiche) rispetto alle opere preesistenti, mentre con l'espressione "senza pregiudizio" dei diritti spettanti sulle opere o parti di opere originarie ha voluto solo confermare che i titolari di queste ultime conservano i loro diritti sulle ulteriori utilizzazioni delle opere originarie, senza però acquistare un diritto anche sulla nuova opera (qualificata come originale). Il che è appunto quanto si verifica anche nel caso di cartoni animati, come dianzi rilevato. Il produttore della nuova opera originale costituita dal cartone animato acquista il diritto sulla stessa, e ciò senza pregiudizio dei diritti dell'autore dei disegni (o della musica, o del soggetto, e così via), che continua ad avere il diritto per qualsiasi diversa ed ulteriore utilizzazione dei disegni stessi (o della musica, o del soggetto, ecc.) senza per ciò solo che alla protezione specificamente prevista per il film in sé si aggiunga anche quella prevista per ulteriori utilizzazione degli elementi con cui è stato realizzato.
D'altra parte, anche in applicazione dei principi fissati dalla L. n. 633 del 1941, artt. 3 e 4, gli artt. 45 e 46, hanno dettato una particolare   e specifica disciplina, attese le loro   peculiari caratteristiche, per le opere cinematografiche stabilendo che il diritto di utilizzazione economica spetta al produttore, che esso ha ad oggetto lo sfruttamento cinematografico dell'opera prodotta e che è nettamente distinto dai diritti degli autori del soggetto, della sceneggiatura, della musica, delle parole, dei disegni, e così via, i quali hanno diritto solo a dei compensi nei casi indicati e comunque conservano il loro diritto su qualsiasi ulteriore   e differente utilizzazione delle loro specifiche opere originali.
E difatti, la L. n. 633 del 1941, art. 49, dispone espressamente che "gli   autori   delle   parti letterarie   o   musicali   dell'opera cinematografica    possono   riprodurle   o   comunque    utilizzarle separatamente, purché non ne risulti pregiudizio ai diritti di utilizzazione il cui esercizio spetta al produttore".
13. Per   quanto concerne la durata della protezione, poiché all'imputato è stata contestata solo la utilizzazione dei cartoni animati e non anche una ulteriore e diversa utilizzazione dei disegni rappresentanti i personaggi dei cartoni stessi, la disposizione da applicare era soltanto quella di cui alla L. n. 633 del 1941,  art. 32, e non anche quella di cui all'art. 25, come erroneamente ritenuto dalla sentenza impugnata. Quest'ultima, invero, si applica ai soli disegni, quali distinte opere dell'ingegno, e dunque a qualsiasi eventuale ulteriore e differente utilizzazione degli stessi; la prima, invece, si applica al film in cui tali disegni sono confluiti, per creare una nuova e diversa opera a carattere originale.
E' dunque irrilevante la circostanza che, all'epoca dei fatti contestati, non fosse ancora trascorso il periodo di 50 (ora 70) anni dalla morte di Walt Disney, autore dei disegni animati e creatore dei personaggi (deceduto, come è noto, il 15.12.1966).
14. In conclusione, devono essere affermati i seguenti principi di diritto:
a) nel caso in cui i diritti di utilizzazione economica di una opera cinematografica spettino ad un produttore di cittadinanza di uno Stato vincitore della seconda guerra mondiale, al termine ordinario di durata della protezione del diritto (fissato in trenta anni dalla prima proiezione dalla L. n. 633 del 1941, art. 32) andava aggiunto (fino all'entrata in vigore del D.P.R. n. 19 del 1979) esclusivamente il periodo di proroga di sei anni concesso dal D.Lgs.Lgt. 20 luglio 1945, n. 440, art. 1, e non anche un ulteriore periodo di proroga o di sospensione di 5 anni, 10 mesi ed 8 giorni previsto dal paragrafo 15 del trattato di pace di Parigi con le potenze alleate, atteso che, anche alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, deve ritenersi che, con l'ordine di esecuzione del trattato contenuto nel D.L.S.C.P.S. 28 novembre 1947, n. 1430, art. 1, sia stata introdotta nell'ordinamento interno una norma che parifica, quanto alla    durata    del   diritto   di   utilizzazione   delle    opere cinematografiche, ai cittadini italiani i cittadini delle potenze alleate e vincitrici;
b) la proroga di sei anni dell'originario termine di 30 anni della durata di protezione del diritto di utilizzazione economica di una opera cinematografica, concessa dal D.Lgs.Lgt. 20 luglio 1945, n. 440, art. 1, così come ogni altra eventuale proroga o estensione della durata del detto termine in considerazione del tempo di guerra, sono state assorbite ed abrogate in seguito all'aumento (da 30 a 50 anni) del termine di durata della protezione ad opera del D.Lgs. 8 gennaio 1979, n. 19, art. 3, modificativo della L. n. 633 del 1941, art. 32, sul diritto d'autore;
c) l'aumento (da 30 a 50 anni) del termine di durata di protezione del diritto di utilizzazione economica di una opera cinematografica fissato dal D.Lgs. 8 gennaio 1979, n. 19, art. 3, modificativo della L. n. 633 del 1941, art. 32, sul diritto d'autore, non trova applicazione per le opere cinematografiche che erano già cadute in pubblico dominio alla data di entrata in vigore del decreto stesso;
d) nel caso di opera cinematografica costituita da cartoni animati, al diritto di utilizzazione economica spettante al produttore si applica la tutela prevista per le opere cinematografiche con i relativi termini di durata, alla quale non si aggiunge l'ulteriore tutela   prevista   per l'autore dei disegni impiegati   per   la realizzazione del cartone animato con i relativi termini di durata, la quale trova applicazione solo per le ulteriori, diverse ad autonome utilizzazioni dei disegni stessi.
15. Dalle sentenze di merito risulta che i cortometraggi contenuti nella cassetta prodotta dal ricorrente con il titolo "I   tre porcellini" furono proiettati per la prima volta nel 1933 e che il film di animazione "Biancaneve ed i sette nani" fu proiettato per la prima volta in Italia nella versione italiana nel febbraio 1939. Alla luce dei principi di diritto dianzi fissati, deve quindi ritenersi che i cartoni animati in questione erano già caduti in pubblico dominio rispettivamente nel 1969 e nel 1975 (alla scadenza del termine di 36 anni dalla prima proiezione in pubblico), e che non abbiano perso la qualità di opere cadute in pubblico dominio per effetto dell'aumento della durata del termine di protezione stabilito dal D.P.R. 8 gennaio 1979, n. 19, art. 3, modificativo della L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 32.
In ogni caso, quand'anche il detto aumento del termine  potesse applicarsi   anche alle opere già cadute in pubblico   dominio all'entrata in vigore del D.P.R. n. 19 del 1979, poiché con quest'ultimo Decreto Legislativo furono assorbite ed abrogate tutte le precedenti proroghe ed estensioni della durata del termine di protezione concesse in relazione alla durata della seconda guerra mondiale, i cartoni animati in questione sarebbero comunque caduti in pubblico dominio rispettivamente nel 1983 e nel 1989, ossia in una epoca anteriore a quella dei fatti contestati con il capo di imputazione.
Per le ragioni già indicate nei punti 7.8 e 7.11, nel caso in esame non può trovare applicazione i D.Lgs. n. 52 del 1996, art. 17 del (che ha portato a 70 anni il termine di protezione anche per le opere già cadute in pubblico dominio), dato che i fatti di cui al presente processo si sono verificati in precedenza (dal 1992 al 1994), quando le opere erano in regime di pubblico dominio e l'imputato aveva il pieno diritto di riprodurle e sfruttarle economicamente. Per le stesse ragioni non può trovare applicazione il nuovo testo della L. n. 633 del 1941, art. 32, introdotto dal D.Lgs. n. 154 del 1997, art. 3. In ogni caso, poiché nella specie non si tratta di esercizio del diritto allo sfruttamento cinematografico dell'opera prodotta ma di altri diritti del produttore disciplinati dalla L. n. 633 del 1941, art. 78 ter, dovrebbe ritenersi che il termine di durata sia quello di 50 anni dalla prima proiezione fissato dal medesimo art. 78 ter, comma 2.
Di conseguenza, la condotta contestata al ricorrente con il capo di imputazione, consistendo nel legittimo esercizio di un diritto lecitamente acquistato con la caduta dell'opera in pubblico dominio, non può considerarsi abusiva.
La sentenza impugnata deve dunque essere annullata perché il fatto non sussiste.
Tutti gli altri motivi di ricorso restano assorbiti.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 27 giugno 2007.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2007.
 
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