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Ex-Cirielli: non è detto che il condannato ultrasettantenne eviti il carcere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GEMELLI Torquato - Presidente Dott. MOCALI Piero - Consigliere Dott. TURONE Giuliano Cesare - Consigliere Dott. CORRADINI Grazia - Consigliere Dott. URBAN Giancarlo - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da P.A., nato il ..., avverso l'ordinanza del 22/12/2005 del Tribunale di Sorveglianza di Sassari; Sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Corradini Grazia; Lette le conclusioni del P.G. Dr. Baglione Tindari che ha chiesto rigettarsi il ricorso.
OSSERVA
Con ordinanza in data 22/12/2005 il Tribunale di Sorveglianza di Sassari ha dichiarato inammissibile la istanza di detenzione domiciliare presentata da P.A. in quanto ultrasettantenne, ai sensi dell'art.7, comma 2, legge 5 dicembre 2005, n.251, che ha introdotto il comma 01 dell'art. 47 ter dell'Ordinamento Penitenziario, in relazione alla sentenza di condanna del Tribunale di Sassari irrevocabile l'8/03/2001.
Il Tribunale ha ritenuto ostativa alla concessione della misura richiesta, per il periodo di tre anni, ai sensi dell'art.58 quater, comma 2 e 3, dell'Ordinamento Penitenziario, non modificati dalla legge n. 251 del 2005, la revoca della misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale, relativamente alla stessa condanna, intervenuta ex tunc con ordinanza 22/04/2004 del Tribunale di Sorveglianza.
Ha proposto ricorso per cassazione la difesa del P. lamentando inosservanza ed erronea applicazione dell'art.58 quater dell'Ordinamento Penitenziario nonchè mancanza ed illogicità della motivazione del provvedimento impugnato, per avere il Tribunale ritenuto applicabili i divieti di concessione della detenzione domiciliare previsti dall'art. 58 quater al caso speciale della detenzione domiciliare per gli ultrasettantenni per cui i divieti erano espressamente previsti dall'art. 47 ter, comma 01 Ordinamento Penitenziario con riguardo soltanto alla recidiva ed alla dichiarazione di delinquenza abituale, professionale o per tendenza, oltre che a specifici titoli di reato.
Il Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso per il rigetto del ricorso.
La difesa del ricorrente ha fatto pervenire via fax il giorno precedente alla odierna udienza in camera di consiglio una "memoria di udienza" della quale non si può tenere conto, trattandosi di un procedimento che deve essere trattato in camera di consiglio non partecipata, ai sensi dell'art. 611 c.p.p., in previsione della quale le parti possono presentare motivi nuovi e memorie fino a quindici giorni prima dell'udienza e memorie di replica fino a cinque giorni prima.
Il ricorso è infondato.
Non è in discussione la applicabilità anche alle esecuzioni in corso al momento della entrata in vigore della legge n. 251 del 2005, che ha fra l'altro modificato l'art. 47 ter dell'Ordinamento Penitenziario (recante disposizioni in materia di detenzione domiciliare), dell'istituto introdotto dall'art.7, comma 2 della legge suddetta attraverso l'inserimento del comma 01 dell'art.47 ter, concernente la detenzione domiciliare per gli ultrasettantenni.
Il Tribunale di Sorveglianza ha infatti ritenuto applicabile anche ai procedimenti in corso la modifica dell'art. 47 ter dell'Ordinamento Penitenziario, entrata in vigore l'8 dicembre del 2005 e ciò appare pacifico poichè questa Corte, anche con decisione a Sezioni Unite, ha ripetutamente affermato il principio per cui nel procedimento di sorveglianza in corso al momento della entrata in vigore delle modifiche di istituti penitenziari si applicano le nuove disposizioni ai rapporti non ancora esaurititi, per cui cioè non sia nel frattempo intervenuta la decisione del Tribunale di Sorveglianza, trattandosi di disposizioni che non attengono alla cognizione del reato o alla irrogazione della pena, bensì a modalità esecutive della stessa; con la conseguenza che non sono norme penali sostanziali e ad esse non si riferisce il dettato di cui all'art. 2 del codice penale, nè il principio costituzionale di cui all'art. 25 Cost. (v. Cass. Sez. Un. n. 20 del 1998 Rv. 211467, nel caso Griffa; Cass. Sez. 1 n. 6297 del 17/11/1999, Rv 215217; e, più di recente, proprio con riguardo alle modifiche di cui alla leggen.25 del 2005, Cass. sez. 1 n. 2321/2006).
Sono invece in contestazione i presupposti ed i limiti del nuovo tipo di detenzione domiciliare introdotto con la legge n. 251 del 2005, poichè il ricorrente sostiene che le condizioni di applicabilità della detenzione domiciliare per gli ultrasettantenni sarebbero integralmente contenute nel comma 01, per cui tale istituto sarebbe obbligatoriamente applicabile a tutti i soggetti di età superiore ai 70 anni, purchè non condannati per alcuni reati specificamente previsti e non già dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza ovvero non già condannati con l'aggravante della recidiva, con esclusione di qualsiasi altro limite, in quanto il legislatore avrebbe introdotto una sorta di sostanziale incompatibilità con il regime carcerario per i condannati di età superiore agli anni settanta.
Ad avviso del ricorrente, il comma 01 avrebbe infatti previsto dei limiti tassativi, integranti una sorta di presunzione di pericolosità sociale dei condannati ultrasettantenni, al di fuori dei quali la detenzione domiciliare dovrebbe essere applicata in ogni caso vigendo la contraria presunzione di incompatibilità del condannato con la situazione carceraria in considerazione dell'età.
Tale tesi non è però condivisibile poichè il legislatore usa nel comma 01 la espressione "la pena può essere espiata..." con ciò facendo riferimento, al pari di quanto previsto da tutte le altre disposizioni in materia di benefici penitenziari, ad un potere discrezionale della magistratura di sorveglianza la quale deve sempre verificare la meritevolezza del condannato e la idoneità della misura a facilitarne il suo reinserimento nella società, non essendo previsto in tale materia alcun "automatismo" proprio perchè la ratio di tutte le misure alternative alla detenzione - anche quando sono ammissibili perchè rientranti negli specifici limiti previsti per ciascuna di esse - è quella di favorire il recupero del condannato e di prevenire la commissione di nuovi reati.
Tanto è vero che il legislatore, anche con riguardo alla detenzione domiciliare per gli ultrasettantenni, non ha dato vita ad un istituto ad hoc, autonomamente e globalmente disciplinato, bensì ha introdotto il comma 01 nell'art. 47 ter, lasciando quindi sottoposta anche tale misura alle modalità, alle prescrizioni ed agli interventi del servizio sociale di cui al comma 4, ai controlli di cui al comma 4 bis ed alla revoca per il caso di evasione o di incompatibilità del comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, con la prosecuzione della misura (comma 6 e segg.) e cioè alla disciplina generale dettata dall'art. 47 ter, comma 4 e segg. per tutti i tipi di detenzione domiciliare.
Ciò posto, poichè appare evidente che la detenzione domiciliare per gli ultrasettantenni è stata introdotta come una delle forme della detenzione domiciliare previste per specifiche esigenze, si deve ritenere che il legislatore non abbia voluto sottrarla neppure alle altre limitazioni di carattere generale previste dall'art. 58 quater, comma 2 e 3, dell'Ordinamento Penitenziario per tutte le ipotesi di misure alternative, fra cui il divieto di concessione per il periodo di tre anni della misura in casi di revoca di precedente misura per inidoneità del soggetto al trattamento o per comportamento incompatibile con la prosecuzione della misura.
Sarebbe invero al di fuori del sistema ed in contrasto con il principio di rieducazione della pena la previsione della possibilità per l'ultrasettantenne di usufruire di una nuova applicazione della misura immediatamente dopo la revoca della stessa, prevista dall'art. 47 ter, comma 6, o di altra misura di più vasta estensione, a causa del comportamento del condannato incompatibile con la prosecuzione della misura, quando è pacifico che tale divieto si applica a tutte le altre ipotesi di detenzione domiciliare, comprese quelle per condizioni di salute particolarmente gravi o per inabilità, sicuramente più meritevoli di attenzione di quelle degli ultrasettantenni che nell'attuale società non necessariamente sono in condizioni di salute incompatibili con la detenzione in carcere.
Al contrario proprio la ratio dell'art. 58 quater, comma 1, 2 e 3, che collega a determinati comportamenti del condannato una sorta di presunzione di pericolosità sociale dello stesso, cui è collegato il "divieto di concessione dei benefici", come recita il titolo della disposizione, dimostra che tale divieto è valido in tutti i casi di benefici penitenziari, non essendovi motivi per escludere il solo caso di detenzione domiciliare per gli ultrasettantenni.
Il ricorso deve essere pertanto respinto perchè infondato sotto tutti i profili addotti con le conseguenze di legge in punto di spese (art. 616 c.p.p.). P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 13 luglio 2006. Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2006
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