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Penale.it - Leonardo Tamborini, La radunata non è una riunione: osservazioni sul reato di “radunata sediziosa” (art. 655 c.p.)

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Leonardo Tamborini, La radunata non è una riunione: osservazioni sul reato di “radunata sediziosa” (art. 655 c.p.)
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1.   L’art. 655 c.p. sotto la rubrica “radunata sediziosa” punisce con l’arresto fino a un anno “chiunque fa parte di una radunata sediziosa di dieci o più persone”. Il reato di radunata sediziosa, a settantasei anni dalla sua introduzione e a dispetto del suono antiquato della sua rubrica, gode ancora di buona salute. Non valgono a minarla né i reiterati progetti che vogliono abolirlo[1] né il sovrapporsi di letture tutte, come questa, riduttive. La norma, infatti, sa troppo di regime totalitario, è abbastanza vaga da consentire interpretazioni incerte ed è di scarsa utilità pratica: quando la radunata non è accompagnata da azioni violente ha poco senso punirla; se è accompagnata da azioni violente, invece, è inutile, in considerazione delle pene ben più gravi previste per tali azioni.[2] In definitiva, il reato appare una poco conveniente scorciatoia per superare il problema della individuazione della responsabilità penale nei reati di folla.[3]

L’antipatia della dottrina e le minacce di abolizione (bipartisan) non frenano la giurisdizione che, sollecitata dalle questure e rassicurata – come si dirà – dalla Corte Costituzionale, continua a dare applicazione all’art. 655 c.p. (forse più ora che sotto il regime che l’ha partorito). La vitalità del popolo di Seattle, dei centri sociali, dei comitati dei mille No, che manifestano con comportamenti collettivi non sempre gandhiani, non lascia prevedere che il reato di radunata sediziosa possa scomparire per desuetudine, come è accaduto alla sfida a duello prima che venisse – ormai inutilmente – abolita dalla legge 205/1999 sulla depenalizzazione dei reati minori.

 

2.   Le decisioni ruotano intorno a quello che è ritenuto l’unico punto dolente: la nozione di sedizioso.[4] Il punto è la vaghezza del termine, in attrito con il principio di tipicità, che è necessaria conseguenza del fondamentale (e costituzionale) principio di legalità. La questione della compatibilità con questi principi del reato di radunata sediziosa è stata risolta affermativamente dalla Corte Costituzionale che, con la sent. 15/1973 interpretativa di rigetto, ha dichiarato la legittimità della norma a patto di restringere il significato di sedizioso. Il Giudice delle leggi, dunque, ha deciso di salvare la norma sacrificando un’altra volta l’equivalenza tra senso giuridico e senso comune, che pure dovrebbe essere intesa – al pari del principio di tipicità – come indefettibile conseguenza del principio di legalità: dal cittadino è già molto pretendere che conosca bene la lingua italiana, non si può chiedergli anche di essere un fine giurista.[5] La separazione dell’accezione normativa da quella comune è consapevole, come rivela l’espressione: “atteggiamento sedizioso penalmente rilevante è...”, che sancisce il distacco. Secondo la Consulta la sedizione in senso giuridico-penale indica “ribellione, ostilità, eccitazione al sovvertimento delle pubbliche istituzioni” un atto che deve essere “in concreto idoneo a produrre un evento pericoloso per l’ordine pubblico” e cioè molte cose in più rispetto al senso comune. Che evoca semplicemente ribellione, tumulto, sommossa.

La concentrazione tematica dei contributi finora ricordati, completamente sbilanciati sull’attributo sedizioso, ha oscurato l’altro essenziale elemento normativo: la radunata. La cui interpretazione è meno ovvia di quanto questi contributi portino a pensare. Basta leggere la norma immediatamente precedente, l’art. 654, o gli artt. 266, 339, 385, 609-octies e 628 c.p.,[6] che puniscono vari tipi di riunione – e non radunata – per rendersi conto che l’impiego del meno diffuso termine radunata non può essere casuale o dettato da un vezzo stilistico dell’epoca: è evidente che la legge appositamente usa questa specifica espressione in luogo di altre più generiche che pure fanno parte del suo vocabolario, come dimostrano proprio queste altre norme citate.

Il termine radunata deriva dal linguaggio militare e, nell’accezione tecnica, indica uno “schieramento strategico delle unità militari dopo la mobilitazione, con cui si dà inizio alle operazioni belliche” (De Mauro, www.demauroparavia.it). Che il legislatore abbia utilizzato la parola radunata sinonimo di riunione (accezione comune) è da escludere: tutte le volte in cui si è inteso parlare di riunione nel codice ha scritto riunione. Non c’è altra spiegazione dell’uso inconsueto e isolato dell’altro termine che non sia la precisa intenzione di usarlo in senso tecnico e cioè militare. Del resto, non sorprende che questo significato potesse essere ben presente nella mente del legislatore del 1930, tenuto conto che all’epoca era particolare l’attenzione per tutte le possibili violazioni del monopolio pubblico delle azioni belliche, anche nelle forme puramente esteriori (vedi il reato, tuttora in vigore, della passeggiata in forma militare previsto dall’art. 29 del r.d. 773/1931, T.U. di pubblica sicurezza).

La radunata non è, dunque, una semplice riunione di persone ma una riunione strategica, paramilitare, preordinata a un attacco o – almeno nel nostro caso – al compimento di atti sediziosi. Il requisito implicito della preordinazione, peraltro, trova riscontro anche nei più diffusi commenti al codice penale per i quali la radunata è più di una riunione ed esattamente “la riunione di più persone nello stesso luogo avente lo scopo di creare pubblico disordine e, dunque, di mettere in pericolo l’ordine pubblico” (per tutti, www.simone.it).

 

3.   La lettura ora proposta dell’art. 655 c.p. non spiega come l’esegesi di radunata possa essere stata così trascurata fino ad oggi. Al punto che il pretore di Milano nella sent. del 28/1/1995[7] riconosce che la riunione non era preordinata a compiere alcun atto sedizioso e tuttavia conclude affermando la sussistenza del reato accontentandosi che simili atti siano stati compiuti comunque (fuori programma e sporadicamente). L’unico punto trattato in diritto è, ovviamente, la nozione di sedizioso, per la quale viene riprodotta l’interpretazione data nel 1973 dalla Corte Costituzionale. Il giudice, una volta riconosciuta la natura sediziosa delle condotte, dà per scontato che la folla dalla quale sono iniziate sia, per ciò solo, una radunata. Quel giudice così motiva: “pur riconoscendo che la radunata era iniziata in un clima di relativa tranquillità, come numerosi testi sia del Pm che della difesa hanno dichiarato, e abbia cercato di mantenersi fedele ad una regia prestabilita tra gli esponenti del centro sociale e della questura, tuttavia in certi momenti la situazione è sfuggita di mano e ha posto concretamente in pericolo l’ordine pubblico e la pubblica incolumità. [...] secondo la dichiarazione del teste P. [teste dell’accusa, n.d.s.] «era un corteo che a dire dei portavoce avrebbe dovuto essere assolutamente pacifico, si trattava solo di spostarsi simbolicamente per entrare in questa nuova sede»”. Una riunione inizialmente pacifica e come tale programmata dagli organizzatori che, solo in certi momenti, sfugge di mano non sembra integrare la nozione di radunata sanzionata dall’art. 655 c.p. (ferma restando ovviamente l’eventuale responsabilità per le condotte tenute in quei certi momenti).

Le osservazioni che precedono, infatti, portano a concludere che non ogni disordine creato da una folla è una radunata sediziosa ma che una riunione di persone può dirsi una radunata solo se è predisposta e preordinata al compimento di atti violenti. Una lettura che, senz’altro, migliorerebbe i rapporti – sempre tesi – tra reato e principi costituzionali e toglierebbe il sospetto che questa norma possa servire ancora per criminalizzare il dissenso.

 

Leonardo Tamborini, magistrato - giugno 2006

(riproduzione riservata)



[1] L’abolizione è prevista dal disegno di legge 3173 Senato XIII legislatura d'iniziativa dei senatori Scopelliti e Pera del 25/3/1998 “Norme in materia di libertà di opinione”, nella cui relazione il reato di radunata sediziosa è ricompreso tra le “norme che si sono sempre prestate ad una funzione di controllo ideologico, in sostanziale violazione del principio della libertà di espressione e in netto contrasto con il ruolo riservato alle minoranze ed opposizioni non conformiste nella prassi democratica della manifestazione del pensiero”; anche il progetto di riforma elaborato dalla Commissione Grosso (istituita con d.m. 1/10/1998) non lascia spazio a norme come l’art. 655 c.p., descritte come “modelli di anticipazione non controllata dell'intervento penale, ... reati sganciati dalla prospettiva della offesa degli interessi”, inseriti in un codice che “colpisce indiscriminatamente opinioni ed associazioni (dissenzienti)”.

[2] Secondo l’interpretazione della Corte Costituzionale, accolta anche dalla giurisdizione ordinaria (vedi Cass. in nota 4), la radunata sediziosa è un reato di pericolo concreto (vedi § 2) che, come tale, non richiede il verificarsi di un evento oggettivo.

[3] L’intenzione è resa palese dall’inciso (la cui effettiva portata, ma non proposito, è difficilmente decifrabile) che segue immediatamente la fattispecie: “è punito, per il solo fatto della partecipazione, ...”.

[4] Come in Cass., sez. I, 25/10/1994, Lunardini.

[5] L’equivalenza tra senso comune e senso giuridico delle parole usate dal legislatore è formalizzato come primo criterio ermeneutico dall’art. 12 delle preleggi: “Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”.

[6] L’art. 266 (istigazione di militari a disobbedire alle leggi) parla di riunione non privata; l’art. 339 prevede per i reati di violenza e resistenza a pubblico ufficiale o a corpo politico, giudiziario o amministrativo l’aggravante di avere agito in più persone riunite; la stessa espressione è ripetuta per l’aggravante del reato di evasione (art. 385) e di rapina (art. 628) e per la violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies).

[7] La sentenza, non pubblicata, riguarda fatti accaduti in occasione dello sgombero di un centro sociale; tra l’altro, i fatti sono contestuali a un’operazione che le forze dell’ordine hanno compiuto, evidentemente, a sorpresa: si deve essere trattato, quindi, di condotte improvvisate o, quantomeno, non preordinate.

 
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