Tribunale di Roma, 5a Sezione Penale, in composizone collegiale, Ordinanza 1° luglio 2003
TRIBUNALE
DI ROMA
5^ SEZIONE PENALE
R.G. 783/2001
Il Tribunale in composizione collegiale, costituito dai magistrati:
dott. Mario
Bresciano - presidente
dott. Gennaro Francione - giudice
dott. Laura Scalia - giudice
v. gli atti
del procedimento penale a carico di:
Tizio, Caio, Sempronio, Mevio
Imputati
Tizio: a) artt.
81, 110, 319 CP; b) art. 81, 476 e 482 cp; c) art. 48, 81, 479 cp; d) artt.
81, 110, 314, 61 n. 2 cp; e) artt. 81, 624, 625 n. 7, 61 nn. 2 e 9 c.p. Fatti
commessi in Roma fino al tutto il 1996.
Caio: f) art. 81, 110, 319 cp; In Roma fino al settembre 1996;
Sempronio: i) art. 321 cp in relazione all´art. 319 cp; In Roma, nel novembre
1996;
Mevio: o) art. 321 in relazione all´art. 319 c.p.; In Roma nel gennaio
1996;
premesso in fatto che:
Gli odierni
imputati sono stati rinviati a giudizio, dopo l´udienza preliminare, per
rispondere dei reati sopra indicati e meglio descritti nei capi d´imputazione.
Vi è stata costituzione di parte civile.
Il processo era oggi fissato per la sola discussione.
All´odierno dibattimento l´imputato, Tizio tramite difensore munito
di procura speciale, ha chiesto la sospensione del processo ai sensi dell´art.
5, comma 2, della legge 12 giugno 2003, n. 134;
i difensori degli altri imputati, privi di procura speciale, hanno chiesto ugualmente
la sospensione del processo ai sensi della norma citata;
considerato in diritto che:
1. L´art. 5, della legge 12 giugno 2003, n. 134, stabilisce che:
1. L'imputato, o il suo difensore munito di procura speciale, e il pubblico
ministero, nella prima udienza utile successiva alla data di entrata in vigore
della presente legge, in cui sia prevista la loro partecipazione, possono formulare
la richiesta di cui all'articolo 444 del codice di procedura penale, come modificato
dalla presente legge, anche nei processi penali in corso di dibattimento nei
quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, risulti decorso
il termine previsto dall'articolo 446, comma 1, del codice di procedura penale,
e ciò anche quando sia già stata presentata tale richiesta, ma
vi sia stato il dissenso da parte del pubblico ministero o la richiesta sia
stata rigettata da parte del giudice, e sempre che la nuova richiesta non costituisca
mera riproposizione della precedente.
2. Su richiesta dell'imputato il dibattimento è sospeso per un periodo
non inferiore a quarantacinque giorni per valutare l'opportunità della
richiesta e durante tale periodo sono sospesi i termini di prescrizione e di
custodia cautelare.
3. Le disposizioni dell'articolo 4 si applicano anche ai procedimenti in corso.
Per tali procedimenti la Corte di cassazione può applicare direttamente
le sanzioni sostitutive."
Questo Tribunale dubita della legittimità costituzionale della norma
per contrasto con gli artt. 3 e 111 della Costituzione.
La norma non appare ragionevole sotto diversi profili in particolare:
a) in relazione al disposto del comma 1, che consente di formulare la richiesta
anche oltre il termine fissato dall´art. 446, comma 1, CPP;
b) in relazione al disposto del comma 2, che impone, su richiesta dell´imputato,
una sospensione di 45 giorni, fissando il termine di decorrenza dalla prima
udienza utile successiva alla data di pubblicazione;
c) in relazione al disposto del comma 3 che dispone applicarsi le disposizioni
dell´art. 4 della medesima legge anche ai processi in corso;
2. In primo luogo, in relazione al contrasto con il principio di ragionevolezza
di cui all´art. 3 Cost. si osserva che l´istituto della pena concordata
è stato introdotto nel codice di rito vigente per determinare un effetto
deflattivo del procedimento penale. In sostanza si è concesso alle parti
di concordare la pena per evitare i costi in termini di tempo, di risorse umane
e finanziarie determinate dalla complessità dell´udienza preliminare
o del dibattimento; in cambio di tale risparmio, l´imputato gode di uno
sconto di un terzo della pena.
Tale principio è stato affermato anche dalla Corte costituzionale con
sentenza n. 129 del 1993, laddove afferma, con riferimento ai riti speciali,
che "l´interesse dell´imputato a beneficiare dei vantaggi conseguenti
a tali giudizi in tanto rileva, in quanto egli rinunzia al dibattimento e venga
perciò effettivamente adottata una sequenza procedimentale che consenta
di raggiungere l´obiettivo di una rapida definizione del processo".
Il carattere premiale del rito previsto dall´art. 444 cpp è stato
ancora confermato dall´ordinanza n. 172 del 1998 di codesta Corte.
Ne consegue che lo sbarramento previsto dall´art. 446 comma 1 CPP per
l´introduzione del rito ha una sua logica ferrea ed ineludibile, altrimenti
verrebbe meno il principio stesso su cui si fonda il rito premiale.
Il legislatore, con la novella del 2003, avrebbe dovuto consentire di presentare
la richiesta lasciando inalterato il limite di cui all´art. 446, comma
1, CPP. Invece non ha operato neppure una distinzione fra i processi per i quali
è stato aperto il dibattimento, ma non è stata compiuta alcuna
attività istruttoria e processi per i quali l´istruttoria è
già avanzata o addirittura è stato dichiarato chiuso il dibattimento
e si è in fase di discussione.
Consentire la riduzione della pena anche a chi non ha fatto risparmiare alcuna
risorsa allo Stato e ai cittadini, dopo che è stata celebrata l´udienza
preliminare o il dibattimento è stato celebrato ed è stato addirittura
dichiarato chiuso ed è addirittura in corso la discussione, non appare
ragionevole e contrasta con i principi che sottendono l´istituto dell´applicazione
della pena concordata.
3. Si ravvisa l´ulteriore contrasto con l´art. 111 Cost. oltre che,
sotto diverso profilo, con l´art. 3 Cost. Quest´ultimo, nella parte
relativa alla ragionevole durata del processo, è di recente introduzione
e trae il suo fondamento nei principi enunciati dalla Convenzione per la salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata dalla
l. 4 agosto 1955, n. 848.
Appare opportuna qualche riflessione sull´interpretazione dell´art.
111 Cost. e sugli interessi che esso tutela. Occorre, cioè, chiarire
se il principio della ragionevole durata del processo debba essere riferito
solo all´interesse di ogni singolo imputato - anche nel caso si tratti
di processo con più imputati - oppure si riferisca anche a tutte le altre
parti processuali, oppure anche agli interessi dello Stato e dei cittadini in
generale. E´ ovvio che se la speditezza processuale va intesa con riferimento
al singolo imputato il quale, a seconda dei casi, ha interesse ad un processo
più lungo nella speranza della prescrizione del reato o più breve,
attraverso riti alternativi, prescindendo dagli interessi delle altre parti
di quel medesimo processo e anche da interessi superiori della cittadinanza
a vedere celebrati tutti i processi con sollecitudine, la richiesta di rito
alternativo effettuata anche in corso di un processo in cui l´istruttoria
dibattimentale sia già iniziata o addirittura terminata, non incontrerà
ostacoli nell´art. 111 della Cost. Se, invece, l´interpretazione
della ragionevole durata va commisurata anche ad altri interessi, è necessario
svolgere alcune considerazioni.
In primo luogo si osserva che nell´attuale sistema i poteri decisori del
giudice sono stati ampiamente ridotti in favore di quelli delle parti. Ogni
volta che sia disposta la rinnovazione del dibattimento, l´istruttoria
dibattimentale deve ricominciare da capo, salvo nel caso in cui le parti prestino
il consenso alla lettura. Nel caso, perciò, di un processo con più
imputati, di cui solo uno chieda la sospensione del processo, ai sensi dell´art.
5 comma 2 della legge 134/2003, e successivamente chieda l´applicazione
della pena, il giudice deve, innanzitutto, stabilire se proseguire il processo
nei confronti dei coimputati, effettuando uno stralcio della posizione del richiedente,
che potrebbe rivelarsi poi inutile, con dispendio di energie e di attività
processuali; se, poi, anziché sospendere il processo anche nei confronti
dei coimputati, lo rinvia in attesa del decorso dei 45 giorni prescritti e all´udienza
successiva l`interessato richiede l´applicazione della pena, l´accoglimento
dell´istanza renderebbe il giudice incompatibile a giudicare gli altri
coimputati; il rigetto della richiesta lo renderebbe ugualmente incompatibile
a giudicare l´imputato; in entrambi i casi il processo dovrebbe iniziare
ex novo innanzi ad altro giudice, con rinnovazione dell´istruttoria dibattimentale.
In tal caso non vi sarebbe speditezza processuale né per l´interessato
né per i coimputati, ma, anzi una dilatazione dei tempi della decisione
(tra l´altro già maturi perché l´istruttoria era esaurita);
con la conseguenza che ad una decisione con rito ordinario ormai certa nel tempo,
si sostituisce un´attività interlocutoria di sospensione che potrebbe
concludersi con il rigetto della richiesta di applicazione della pena e con
la necessità di celebrare ex novo il processo con rito ordinario.
Questo tribunale non ignora che la Corte, con sentenza n. 266 del 1992, ha affermato
che "l´applicazione della pena concordata con il pubblico ministero
da uno solo degli imputati di concorso nel medesimo reato costituisce un procedimento
congegnato come pattuizione tra imputato richiedente e parte pubblica, in ordine
al quale è previsto un controllo giurisdizionale che non include però
la valutazione delle posizioni dei coimputati". La questione, tuttavia,
era stata esaminata solo con riferimento all´art. 3 della Costituzione
ed inoltre, era afferente ad una disposizione ordinaria e non all´introduzione
di una norma transitoria, come quella oggi denunciata, che mira ad applicare
l´istituto a tutti i procedimenti in corso, anche se in fase dibattimentale.
Sicché è questione nuova e diversa. Inoltre la sentenza citata
era antecedente alla riforma dell´art. 111 della Costituzione.
4. Si osserva, inoltre che, nel caso di applicazione della pena, la parte civile
costituita vedrebbe crollare le proprie legittime aspettative, dovendo ricominciare
il processo ex novo sia nei confronti dei coimputati innanzi ad altro giudice
sia separatamente - in sede civile - nei confronti di colui che è stato
ammesso al "patteggiamento". E´ vero che la Corte ha affrontato
il problema relativo all´esclusione della parte civile nel rito de quo
(v. sent. N. 443/1990), ma è pur vero che si trattava di decisioni che
si riferivano al sistema "ordinario" di applicazione della pena e
non di norma transitoria, come quella in esame che interviene a disciplinare
un giudizio in corso in cui la parte civile sta già esercitando il proprio
diritto con una legittima aspettativa di rapida e normale decisione. Sicché
anche sotto tale aspetto la frustrazione dei diritti della parte civile e della
ragionevole durata - anche per lei - del processo finisce con il violare i principi
di ragionevolezza e di giusto processo di ragionevole durata stabiliti dagli
artt. 3 e 111 della Costituzione.
5. Questo Tribunale ritiene che l´interpretazione estensiva dell´art.
111 Cost. sia maggiormente fondata anche alla luce della produzione legislativa
che ha fatto seguito alla modifica della norma costituzionale. E´ noto,
infatti, che l´Italia è stata più volte condannata dalla
Corte europea per l´eccessiva durata dei processi. La condanna prescinde
da eventuali responsabilità dei giudici, ma si fonda sul principio che
ciascun paese deve dotarsi di leggi processuali che consentano una rapida definizione
dei processi. Già da molti anni vi sono paesi, come la Danimarca e l´Olanda,
che sono in grado di definire la maggior parte dei processi in primo grado nell´arco
di tre mesi, esaurendo l´appello nel successivo trimestre. Ciò
è dovuto ad una semplificazione soprattutto del sistema delle notificazioni,
all´esistenza di maggiori obblighi di diligenza delle parti processuali,
ivi compresi gli imputati. E´ chiaro che in sistemi siffatti la sospensione
di un processo anche solo per 45 giorni, ossia oltre un terzo del tempo complessivo
di definizione, sarebbe inaccettabile.
Per ovviare alle condanne in sede europea in Italia è stata introdotta
la normativa statale (l. 24 marzo 2001, n. 89) che consente alle parti un´equa
riparazione allorché il processo abbia avuto una durata eccessiva, indipendentemente
dalle ragioni che l´abbiano determinata. L´equa riparazione non
spetta solo all´imputato, ma anche alla parte civile.
Da ciò si evince che la ragionevole durata del processo non è
un diritto solo dell´imputato, ma anche delle altre parti processuali,
ivi compresa la parte civile, ed assurge, quindi a principio generale.
Assume rilievo, nel sistema, ad esempio, l´art. 477 C.P.P. che impone
tempi rapidissimi per la definizione del dibattimento, stabilendo che il rinvio
del processo dev´essere effettuato al giorno successivo e che il processo
può essere sospeso solo per ragioni "di assoluta necessità"
e "per un termine massimo di dieci giorni", computate tutte le dilazioni.
Si rileva, inoltre, che nel caso di giudizio immediato, è previsto il
termine di 15 giorni per la richiesta di pena concordata, ossia un tempo che
è esattamente un terzo di quello oggi previsto dalla novella, pur vertendosi
in materia analoga.
Se tale assunto è corretto, deve ritenersi che non corrisponde ai parametri
costituzionali di ragionevolezza (art.3 Cost). e di ragionevole durata (art.
111 Cost.) la norma che consente di sospendere il processo per 45 giorni e di
richiedere l´applicazione della pena anche nei processi in corso.
6. Come s´è prima precisato, l´art. 5, comma 2, della legge
12 giugno 2003, n. 134, stabilisce che : "Su richiesta dell´imputato
il dibattimento è sospeso per un periodo non inferiore a quarantacinque
giorni per valutare l´opportunità della richiesta e durante tale
periodo sono sospesi i termini di prescrizione e di custodia cautelare".
Premesso che la disposizione s´applica a tutti i processi in corso, perciò
perfino ai processi per in fase di discussione, si rileva che non appare ragionevole
la concessione di un termine decorrente dalla prima udienza utile. Sotto tale
profilo si osserva che ogni cittadino è tenuto a conoscere le leggi pubblicate.
Pertanto ogni imputato è stato posto in grado, nel momento in cui la
legge in esame è stata pubblicata, di valutare l´opportunità
di avvalersi della pena concordata. A maggior conforto di tale assunto si rileva
che ogni imputato è assistito da un difensore, sicché ha avuto
modo di consultarsi con lo stesso per valutare l´opportunità di
avvalersi della pena concordata. La concessione di un termine di durata notevole,
(ossia ben quarantacinque giorni), in rapporto ai parametri sopra esposti, decorrente
dalla prima udienza anziché dalla vigenza della legge, appare irragionevole.
Tale irragionevolezza appare di tutta evidenza allorché la fase istruttoria
sia esaurita o il processo sia addirittura in fase di discussione, e, quindi,
l´imputato ha potuto valutare tutto il materiale probatorio e rendersi
conto della convenienza eventuale di concordare la pena.
Una volta accertato che il rapporto esistente tra imputato e difensore consente
ad entrambi di valutare momento per momento le opportunità di scelte
processuali e che, dunque, non v´è lesione del diritto di difesa
ammettere che l´imputato, alla prima udienza utile, debba dichiarare se
intende "patteggiare" o no, anziché chiedere un lungo termine
di riflessione, deve ritenersi che la sospensione obbligatoria per 45 giorni
incida sulla ragionevole durata del processo. Nel bilanciamento tra l´interesse
dell´imputato e l´interesse generale ad una durata ragionevole -
posto che nessun danno deriva all´imputato nel dichiarazione alla prima
udienza utile se intende concordare la pena - sembra dover prevalere la ragionevole
durata del processo.
7. Il Tribunale prospetta il dubbio di legittimità, per contrasto con
gli artt. 3 e 111 della Costituzione, anche dell´art. 1 della legge 12
giugno 2003, n. 134, il quale stabilisce quanto segue:
"Il comma 1 dell'articolo 444 del codice di procedura penale è sostituito
dai seguenti:
«1. L'imputato e il pubblico ministero possono chiedere al giudice l'applicazione,
nella specie e nella misura indicata, di una sanzione sostitutiva o di una pena
pecuniaria, diminuita fino a un terzo, ovvero di una pena detentiva quando questa,
tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo, non supera cinque
anni soli o congiunti a pena pecuniaria.
1-bis. Sono esclusi dall'applicazione del comma 1 i procedimenti per i delitti
di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, nonché quelli contro
coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali e per
tendenza, o recidivi ai sensi dell'articolo 99, quarto comma, del codice penale,
qualora la pena superi due anni soli o congiunti a pena pecuniaria».
Con la norma in esame si sottrae al giudizio di cognizione piena la maggioranza
assoluta dei reati, molti dei quali di notevole gravità, trasformando
di fatto il rito speciale di applicazione della pena in un rito generalizzato,
in violazione dei principi costituzionali di ragionevolezza e di formazione
della prova in contraddittorio di cui agli artt. 3 e 111 della Cost., già
consacrati nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell´uomo.
L'art. 6, primo comma, primo periodo della l. 4 agosto 1955, n. 848, di ratifica
della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali, stabilisce che: "Ogni persona ha diritto che la sua causa
sia esaminata imparzialmente, pubblicamente e in un tempo ragionevole, da parte
di un tribunale indipendente ed imparziale, costituito dalla legge, che deciderà
sia in ordine alle controversie sui suoi diritti ed obbligazioni di natura civile,
sia sul fondamento di ogni accusa in materia penale elevata contro di lei".
Il terzo comma del medesimo articolo, in particolare alla lettera d), sancisce
"il diritto di interrogare o fare interrogare i testimoni a carico ed ottenere
la citazione e l´interrogatorio dei testimoni a discarico a pari condizioni
dei testimoni a carico". In sostanza l´articolo citato sancisce il
principio del contraddittorio nel processo, poi recepito dall´art. 111,
commi 1, 2 e 4 della Cost. come novellato nel 1999. In altri termini il principio
che regola l´accertamento della responsabilità penale è
fondato su di un giusto processo che preveda una fase di cognizione piena con
un contraddittorio che ponga le parti "in condizioni di parità",
come espressamente stabilito dal comma 2° della norma costituzionale in
esame. Né sembra ragionevole ritenere che il principio generale possa
essere derogato dal comma 5 dell´art. 111, laddove afferma che "La
legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio
per consenso dell´imputato" e ciò per due ragioni.
In primo luogo perché la modifica dell´art. 444 CPP consente per
un elevatissimo numero di reati, in sostanza la maggioranza, di concordare la
pena, così introducendo di fatto il principio generale che la responsabilità
penale non va accertata - infatti la sentenza cosiddetta di patteggiamento non
è sentenza di condanna, ma solo a questa equiparata sotto alcuni aspetti
- mentre soltanto per un ristretto numero di reati si perviene ad un accertamento
di responsabilità con cognizione piena.
In secondo luogo la deroga stabilita dal quinto comma dell´art. 111 non
sembra possa riferirsi ad una sentenza di applicazione di pena, ma solo intendersi
come rinuncia alla formazione della prova in contraddittorio, in un regolare
processo di cognizione, quando l´imputato vi consenta. Tale interpretazione
è fondata sulla circostanza che altrimenti il comma quinto dell´art.
111 si porrebbe in contrasto con il comma secondo del medesimo articolo, laddove
stabilisce dapprima il principio secondo cui il contraddittorio tra le parti
è la regola generale a fondamento del processo e poi stabilisce che le
parti debbono essere in condizioni di parità.
A tal riguardo la sentenza di codesta Corte n. 129 del 1993 già affermava
che il nostro sistema processuale è "imperniato sulla formazione
della prova in dibattimento."
8. A ciò si aggiunge che la Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell´uomo, stabilisce che il processo debba essere celebrato "pubblicamente".
La pubblicità del processo è anche un carattere essenziale di
uno stato democratico ed è garanzia di uguaglianza dei cittadini di fronte
alla legge.
L´applicazione della pena avviene in camera di consiglio.
Se, dunque, per un numero ridotto di reati e, in particolare per quelli di minore
gravità può avere una sua logica il procedimento previsto dall´art.
444 CPP, che non prevede la pubblicità dell´udienza e un accertamento
pieno di responsabilità, trasformare quest´ultimo nel procedimento
di più vasta applicazione, riducendo il rito ordinario di cognizione
piena ad ipotesi minoritaria e relativa solo a reati di massima gravità,
e limitando fortemente i casi in cui il processo è pubblico sembra contrastare
con il principio di ragionevolezza e con principio che il processo è
condotto in contraddittorio e con formazione della prova in dibattimento mediante
un "giusto processo" e con pari dignità di tutte le parti (artt.
3 e 111 Cost.).
Reati con pena edittale molto elevata, come il tentato omicidio, la rapina aggravata
o la violenza sessuale aggravata, con il giudizio di comparazione con le attenuanti
e la riduzione prevista per il rito prescelto possono essere definiti con una
sentenza che non è di condanna, ma solo equiparata a questa, con estromissione
della parte civile e ponendo la parte offesa ai margini del processo che pur
la vede vittima.
9. Le eccezioni oggi proposte sono rilevanti per le seguenti ragioni:
A) E´ stata richiesta dal difensore, munito di procura speciale, di uno
solo degli imputati la sospensione del processo ai sensi dell´art. 5,
comma 2, della legge 12 giugno 2003, n. 134; i difensori di altri imputati,
pur privi di procura speciale, hanno chiesto ugualmente la sospensione, sicché
questo giudice non avrebbe alcun potere discrezionale in ordine alla richiesta.
B) Il dibattimento è stato chiuso e per l´udienza era prevista
solo la discussione delle parti, dopo un´istruttoria dibattimentale molto
impegnativa.
C) Vi è parte civile già costituita.
D) La norma che prevede la sospensione obbligatoria è strettamente correlata
alla facoltà di richiedere la pena concordata disciplinata dalla norma
transitoria. Sicché appare attualmente rilevante anche l´eccezione
che concerne l´estensione ai processi in corso della facoltà di
richiedere l´applicazione della pena. Ne consegue che, ove si ritenesse
l´irrazionalità dell´impianto normativo almeno con riguardo
alla disposizione transitoria di
cui all´art. 5. comma, 1, resterebbe addirittura assorbita la questione
relativa al termine di sospensione. L'eccezione non è manifestamente
infondata per le ragioni sopra esposte.
P.Q.M.
V. la legge
Cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e l'art. 23 della Legge 11 marzo 1953 n. 87;
ritenuta non manifestamente infondata e rilevante ai fini del presente giudizio
la questione di legittimità costituzionale dell´art. 1, comma 1,
e dell´art. 5, commi 1 e 2, della legge 12 giugno 2003, n. 134 per contrasto
con gli artt. 3 e 111 della Costituzione nei limiti e nei termini di cui in
motivazione;
sospende il giudizio in corso;
ordina la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale;
dispone che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio
dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
Roma, 1 luglio 2003
Il Presidente