Tribunale di Pisa, in composizione monocratica,
Ordinanza 3 ottobre 2002 (con nota di Mario De Giorgio)

Il Giudice monocratico,

sulle richieste del P.M. di convalida dell’arresto di X e di Y, arrestati il 30.9.2002 per il reato ex art. 13, comma 13, D.Lgs 286/98, come modificato dalla legge 189/2002,

sentiti gli imputati ed i difensori,

ritenuto che la contravvenzione contestata sia reato istantaneo, in quanto si consuma con il rientro nel territorio nazionale; ne costituiscono conferma il dettato dell’art. 13.13 ter, che autorizza il fermo, ed il diverso contenuto dei reati previsti dall’art. 14.5, che puniscono condotte immediatamente qualificabili come permanenti,

ritenuto che l’arresto non sia avvenuto nella flagranza del reato contestato, in quanto gli imputati sono stati trovati nel comune di Alfa, in località notoriamente usata per la prostituzione, e quindi al di fuori dei reati previsti dall’art. 382 C.p.p.

non convalida

l’arresto e dispone l’immediata scarcerazione degli imputati, se non detenuti per altra causa.

Pisa, 3 ottobre 2002

Il Giudice
dott. Bargagna


Mario De Giorgio, Prime (dis)applicazioni della legge “Bossi-Fini”

L’ordinanza in commento, sebbene sintetica, appare di estremo interesse in quanto costituisce una delle prime interpretazioni giurisprudenziali delle norme introdotte dalla legge 30 luglio 2002, n. 189.

Come è noto, la legge cd. “Bossi-Fini” (pubblicata sul supplemento n. 173/1 alla G.U. del 26 agosto 2002, n. 199) ha novellato in più punti il D.Lgs. 286/98 (Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero); in particolare, per quel che interessa in questa sede, l’art. 12.1, lett. g), della legge 189/02 ha sostituito il comma 13 dell’art. 13 del T.U. introducendo due nuove figure di reato: l’una contravvenzionale, prevista dal neo-comma 13 (che punisce con l’arresto da sei mesi ad un anno lo straniero espulso che trasgredisce all’obbligo di non rientrare nel territorio dello Stato se non munito di speciale autorizzazione del Ministero dell’Interno), l’altra delittuosa, prevista dal comma 13 bis (che punisce con la reclusione da uno a quattro anni lo straniero già destinatario di un provvedimento di espulsione disposto dal giudice – ovvero già denunciato per il reato di cui al comma 13 ed espulso – che abbia fatto ugualmente reingresso sul territorio nazionale). Il quadro è stato poi completato da una norma di carattere processuale, il comma 13 ter, a tenore del quale per i reati contemplati nei commi 13 e 13 bis é sempre consentito l’arresto in flagranza dell’autore del fatto (nell’ipotesi di cui al comma 13 bis è altresì consentito il fermo); in ogni caso, il legislatore ha stabilito che nelle ipotesi de quibus si debba procedere con rito direttissimo.

Ebbene, già dopo un primo ed epidermico esame della nuova normativa emergono delle perplessità di non secondario momento.

In primo luogo, non è ben chiaro cosa intenda l’art. 13.13 per trasgressione del divieto di reingresso per lo straniero espulso e privo della speciale autorizzazione del Ministero dell’Interno. Non occorre necessariamente ispirarsi ad azzeccagarbugli di manzoniana memoria per comprendere che la dicitura si presta ad essere interpretata in due – ed opposte – versioni: può infatti trasgredire chi si limita a rientrare nel territorio nazionale, ma anche chi permane nel territorio dopo il reingresso non autorizzato. Ne consegue che, se si aderisce al primo orientamento, il reato deve considerarsi istantaneo e potrà quindi ravvisarsi nei soli casi in cui lo straniero sia colto al momento dell’effettivo (ri)transito nel territorio dello Stato; se, viceversa, si ritiene più fondato il secondo orientamento, il reato deve ritenersi permanente e si configurerà in tutti i casi in cui si accerti che lo straniero permane irregolarmente in Italia sebbene espulso in precedenza. Intuitive sono anche le conseguenze a livello applicativo; difatti in caso di arresto, se si aderisce alla tesi che considera istantanea la contravvenzione del comma 13, la relativa convalida sarà possibile solo nel caso in cui lo straniero sia colto alla frontiera mentre rientra nel territorio nazionale; aderendo, all’opposto, alla contraria opinione, lo stato di flagranza sussiste praticamente con la semplice presenza – constatata in qualunque momento – dello straniero in Italia.

In secondo luogo, i limiti di pena previsti per il reato p. e p. dall’art. 13.13 non consentono di applicare – almeno così sembra prima facie – misure cautelari, anche perché, in caso di condanna, l’ultima parte del comma 13 prevede che lo straniero sia “nuovamente espulso con accompagnamento immediato alla frontiera” (cfr., altresì, l’art. 13.3, che ha introdotto il generale principio dell’immediata esecutività del decreto amministrativo di espulsione).

In terzo luogo, nel caso in cui si ritenesse che i reati di cui all’art. 13, commi 13 e 13 bis, siano istantanei (e quindi configurabili solo a carico di chi viene colto nell’atto di rientrare  nel territorio dello Stato), sembra delinearsi un’area di impunità per lo straniero che rimane clandestinamente in Italia dopo essere stato espulso; difatti, i “reati di permanenza” previsti dall’art. 14, commi 5 ter e 5 quater, del novellato D.Lgs. 286/98 si riferiscono alle sole violazioni dell’ordine del questore di lasciare il territorio nazionale nelle ipotesi contemplate dal comma 5 bis (vale a dire nei casi in cui non sia stato possibile trattenere lo straniero nel centro di permanenza temporaneo ovvero quando siano trascorsi i termini di permanenza senza aver eseguito l’espulsione o il respingimento). Pertanto, se ne deve dedurre che lo straniero che non sia stato ospite di un centro di permanenza temporaneo e che rientra – sebbene espulso – nel territorio nazionale (senza essere arrestato in flagranza al passaggio della frontiera) di fatto non commette alcun reato: una conclusione che, invero, non sembra essere perfettamente in linea con le intenzioni del legislatore (per comprendere le quali, ad ogni modo, più che esaminare i lavori parlamentari, appare preferibile rileggere qualche quotidiano del periodo estivo).

Dinanzi a tali delicate questioni giuridiche si è trovato il Tribunale monocratico di Pisa, chiamato a giudicare due clandestini sudamericani - colti ad esercitare il meretricio lungo le strade della provincia - ai quali il Pubblico Ministero aveva contestato la violazione dell’art. 13, comma 13, del novellato T.U. 286/98. 

In particolare, la Pubblica Accusa aveva chiesto di convalidare l’arresto dei prevenuti, ritenendo ravvisabile nel caso di specie lo stato di flagranza (anche sulla base di un confronto con la giurisprudenza formatasi sull’art. 2 della legge 1423/56), nonché di applicare la misura cautelare della custodia in carcere, in quanto i limiti di pena previsti dall’art. 280 C.p.p. potevano essere derogati in virtù del disposto di cui all’art. 391.5 C.p.p., ovvero, in subordine, in virtù dell’art. 224 delle disposizione di attuazione del codice di rito.

Per contro la difesa si opponeva alla convalida ritenendo che il reato contestato non avesse natura permanente e non sussistendo quindi lo stato di flagranza prodromico all’arresto; a supporto di tale tesi, si evidenziava il tenore letterale della norma in questione (“lo straniero espulso non può rientrare nel territorio …”), nonché la palese differenza con i reati di cui all’art. 14 del T.U., evidentemente permanenti. Quanto alle misure cautelari, si esponeva come il limite massimo di pena previsto dalla norma fosse ampiamente inferiore a quello previsto dall’art. 280 C.p.p.; inoltre, non appariva invocabile né l’art. 391 C.p.p. (relativo pur sempre a delitti e non a contravvenzioni), né l’art. 224 disp. att. C.p.p., norma (peraltro abrogata) che consentiva di continuare ad applicare l’art. 152 del TULPS anche dopo l’entrata in vigore del nuovo codice e che pertanto (attesa la sua natura transitoria e di coordinamento) non può essere invocata con riferimento al nuovo Testo Unico.

Il giudice decideva quindi di non convalidare l’arresto per i motivi esposti nell’ordinanza in commento; nessuna decisione veniva adottata, viceversa, in relazione alle richieste misure cautelari (sul punto, si rammenti comunque come secondo un consolidato orientamento di legittimità – cfr. Cass. Pen., VI, 29.1.1990, De Pasquale, Cass. Pen., 12.3.1990, Ambrosacchia – un’eventuale nullità della fase della convalida non si riverbera sulla misura cautelare all’esito di essa emanata).

Per la cronaca, il processo veniva definito con rito abbreviato e si concludeva – coerentemente con le premesse poste a base dell’ordinanza concernente la convalida – con l’assoluzione degli imputati (per le motivazioni della sentenza occorrerà attendere la fine del mese).

Quanto ai clandestini, i militari che ne avevano operato l’arresto stavano valutando l’opportunità di condurli in questura perché venisse disposta nei loro confronti l’espulsione in via amministrativa …

avv. Mario De Giorgio - Pisa - Ottobre 2002

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