Tribunale di Milano, Sezione II Penale, in composizione collegiale,
Ordinanza 12 novembre 2001

N 2928/99 RG trib.

Il TRIBUNALE DI MILANO
Sez. 2^ pen.

Composto dai magistrati

dott. Vincenzo Perozziello
dott. Marilena Chessa
dott. Guido Zucchetti

deliberando in camera di consiglio, ha pronunciato

ORDINANZA

in ordine alle istanze difensive presentate all'udienza 22.10.2001 rivolte ad ottenere dichiarazione di inutilizzabilità degli atti acquisiti al fascicolo dibattimentale a seguito di attività rogatoriale nonché delle dichiarazioni, pure acquisite, aventi ad oggetto il medesimo materiale di prova, in relazione ad una lamentata violazione degli artt. 15, 7 comma 2o e 3 comma So della Convenzione di Strasburgo in materia di modalità di proposta della richiesta di assistenza da parte della A.G. italiana, modalità di trasmissione degli atti da parte delle Autorità Rogate, caratteristiche della documentazione trasmessa.

L'eccezione di parte è stata avanzata sulla base del nuovo testo dell'art. 729 commi 1 e 1 ter quale introdotto con 1. 367/2001.

E' qui appena il caso di sottolineare che la norma invocata, sta per la sua portata necessariamente limitata all'ordinamento interno dello Stato, sia per suo carattere prettamente sanzionatorio, appare di per se evidentemente inidonea ad innovare nel merito il sistema di regole cui è chiamata ad accedere.
Disposizioni di riferimento rimangono dunque, in via esclusiva, quelle di Convenzioni e di norme di diritto internazionale, per la parte da reputarsi vincolante per il nostro paese, e oggetto di valutazione in questa sede è l'eventuale inadempimento (nel caso di specie essenzialmente da parte di Autorità straniere) di obblighi ed impegni di carattere, internazionale formalmente sottoscritti o comunque stabilmente accettati dalle parti.

In tal senso occorre subito osservare che le eccezioni proposte oggi dalla Difesa, nel loro impianto teorico, riposano certamente sul medesimo tessuto normativo precedente l'approvazione della l. 367 cit. e in tale veste già affrontate in numerose pronunce, recenti, del Tribunale di Milano, che ha reiteratamente escluso di poter ravvisare nelle vicende di volta in volta portate all'attenzione <sostanzialmente analoghe a quelle qui in esame) gli estremi di una violazione delle norme di accordi internazionali(in particolare si rinvia qui, da ultimo, all'ord. Trib. Milano sez. 2^ 4.7.2001 proc. 1447/2000) peraltro appare evidente che la rinnovata attenzione sui temi in oggetto, collegata all'entrata in vigore della nuova disposizione normativa, impone oggi certamente un riesame analitico dei diversi temi. proposti dalle parti nella piena consapevolezza della particolare delicatezza delle questioni così in trattazione, espressamente concernenti l'effettiva qualità di rapporti intercorsi con Paesi legati al Nostro da vincoli di assistenza internazionale e comportamenti conseguenti tenuti da Autorità di Governo Centrale dei rispettivi stati.
Pare fuori dubbio invero che le vigenti norme in materia di cooperazione giudiziaria internazionale (almeno per la parte qui di interesse) risultano espressamente orientate proprio alla regolamentazione di impegni e rapporti reciproci tra gli Stati e alla garanzia delle rispettive prerogative (piuttosto che alla tutela di posizioni individuali)
Da rimarcare al riguardo, per quanto qui di più diretto interesse, come appunto muovendo da una tale valutazione preliminare e con riferimento in fatto ad attività di assistenza giudiziaria prestata dalla Svizzera, la giurisprudenza della S.C. abbia fin qui puntualmente escluso che dalle formali disposizioni di procedura rogatoriale possano sorgere all'interno dello stato ("in mancanza di specifiche previsioni del suo ordinamento") diritti soggettivi in capo ai singoli così di recente C. Cass. sez 6^ 29.8.96 ACAMPORA e C. Cass. sez. fer. 13.8.96 PACIFICO
In tal senso pare il caso di sottolineare ancora una volta, per esigenze di corretta impostazione del thema decidendum, che anche la nuova disciplina introdotta con la modifica dell'art. 729 cpp si limita in realtà a riconoscere in capo all'imputato un peculiare potere di azione (Ifl limiti strettissimi di decadenza) per il rispetto di vincoli di. carattere internazionale, ma risulta evidentemente inidonea, nella sua valenza prettamente sanzionatoria ad innovare i caratteri di un tale sistema ed in particolare il quadro delle attribuzioni spettanti nella materia ai diversi organi istituzionali nei settori di *rispettiva competenza (e comunque non certamente in via retroattiva)

Venendo quindi a trattare distintamente le specifiche questioni sollevate dalla Difesa, si osserva
a) sulle modalità di inoltro delle Commissioni Roqatorie da parte dell'uff. PM di Milano e di consegna *dei relativi documenti -da parte dalle Autorità Richieste -
Lamenta innanzitutto la Difesa l'inoltro diretto da parte dell'uff. PM delle richieste di assistenza giudiziaria, *senza effettiva motivazione delle ragioni di urgenza di volta in volta invocate;
lamenta altresì e soprattutto la formale trasmissione e/o materiale consegna della documentazione acquisita alla A.G richiedente (ovvero alla PC delegata).

A fronte dell'ampiezza (e genericità) delle eccezioni difensive in materia occorre anzitutto rilevare che la questione sollevata appare in realtà astrattamente prospettabile solo in relazione alle cd rogatorie svizzere: invero
/ per quanto concerne le rogatorie inglesi è semplicemente falso il presupposto di fatto su cui le eccezioni sono fondate in quanto dall'esame del fascicolo dibattimentale risulta inequivocabilmente che la trasmissione di tutti gli atti di causa è avvenuta, in entrambi i sensi, attraverso le formali vie diplomatiche;
/ per quanto concerne la rogatoria norvegese risulta invece errata la norma di riferimento invocata, atteso che a seguito della stipula dell'Accordo di Cooperazione 19.12.96 la Norvegia è associata al cd. patto di Schenghen e dunque soggetta alla disciplina di comunicazione diretta tra le AA.CC. dei paesi firmatari ai sensi dell'art. 53 della Convenzione.

Per quanto riguarda invece i rapporti intercorsi con le Autorità Elvetiche, bisogna innanzitutto osservare che le richieste di assistenza avanzate dalla A.G. rogante risultano tutte espressamente fondate sulla previsione di urgenza di cui al comma 2° dell'art. 15 della Convenzione, peraltro sempre confortate da rituale avviso al Ministro di Grazia e Giustizia.

In un contesto di corretta e tempestiva comunicazione a tutti i soggetti istituzionalmente interessati alla vicenda, la prima questione sollevata dalla Difesa appare francamente di scarsissimo rilievo sotto il profilo formale (atteso che la Convenzione sottoscritta non richiede in realtà alcun onere espresso di motivazione) e comunque senz'altro superato in fatto nel caso di specie dalla considerazione che le richieste all'esame concernevano atti (acquisizione di documentazione e sequestro di beni custoditi presso soggetti asseritamente in rapporto con gli indagati) per definizione a sorpresa e di carattere urgente -
In questo caso, fermo restando che proprio la qualità della attività di collaborazione richiesta non pare consentire seri dubbi sulla sussistenza in fatto, nei casi in esame, di una situazione qualificabile in termini di urgenza, rimane ancora solo da sottolineare che nessuna contestazione risulta mossa sul punto né dalle Autorità Centrali Italiane (in tesi arbitrariamente scavalcate) né da quelle Svizzere (in tesi arbitrariamente onerate), laddove proprio le Autorità in oggetto rappresentano, nella cornice del Trattato, i soggetti direttamente tutelati.

In tal senso assolutamente pretestuosa appare l'eccezione all'esame già nella sua contraddittoria pretesa di applicare (in omaggio ad una esigenza di rispetto delle forme) una sanzione di inutilizzabilità per la violazione di una norma (obbligo di motivazione) che in realtà non è dato rinvenire nei testi normativi di riferimento

Ma il limite più grave di una tale prospettazione è di carattere generale e va ben oltre la specifica questione appena esaminata:
se norma generale di interpretazione dei trattati internazionali è quella prevista dall'art. 31 della Convenzione Vienna 21.3.86 (che espressamente rinvia ad un criterio di interpretazione letterale da condurre nel "contesto" del trattato e alla luce dei suoi fini e scopi), occorre convenire che su una simile linea si arriva in realtà a disconoscere nei fatti il generale principio di favor rogatoriae solennemente sancito all'art. 1 della Convenzione (come tale vincolante quale principio guida per il legislatore nazionale innanzitutto, ma anche e soprattutto per l'interprete, che deve ritenersi vincolato a privilegiare di volta in volta la soluzione interpretativa che agevoli la cooperazione internazionale e la prestazione di assistenza nel caso concreto)
Proprio uniformandosi a tale principio il Tribunale Federale Svizzero
- ha reiteratamente sottolineato che le norme del diritto nazionale devono facilitare l'applicazione del diritto convenzionale sull'assistenza, che è di rango superiore e non renderla più difficile, evidenziando più in particolare che non possono pertanto essere invocati per opporsi alla concessione di assistenza;
- ha puntualmente respinto, con giurisprudenza consolidata, censure formulate nei confronti di rogatorie straniere quando tali censure siano state ritenute fondate su un formalismo eccessivo, oppure quando l'accoglimento di tali censure fosse tale da rendere praticamente impraticabile l'assistenza giudiziaria <rif. giurisprudenziali in ROGATORIE PENALI ITALO-SVIZZERE Giuffrè 1997 e rel. BERNASCONI in Quaderni CSM n. 19/88)-
- in particolare il Tribunale Federale ha qualificato come viziata da eccessivo formalismo la pretesa di parte di rigettare una richiesta di assistenza italiana perché trasmessa in modo non conforme (Tribunale Federale 1^ Corte di Diritto Pubblico 31.10.84 in INDICE PENALE '85),- da sottolineare che nella medesima pronuncia il Tribunale ha espressamente evidenziato che la procedura di richiesta diretta seguita nel caso di specie "corrisponde ad una prassi costante tra Italia e Svizzera"

Su tale solco questo Tribunale ha ritenuto doveroso mantenersi in linea di principio anche nell'esame delle questioni successive.

Venendo alle contestazioni relative alle modalità di restituzione delle rogatorie alle Autorità italiane, occorre innanzi tutto sottolineare, in fatto, che l'avvenuta esecuzione della rogatoria richiesta e la materiale consegna della documentazione relativa (in genere ad organi di PG delegati dalla AG. richiedente, in una occasione direttamente in mani del PM richiedente, ma sempre all'esito delle complesse procedure svizzere di notifica a tutti i soggetti interessati e di conclusione degli eventuali e conseguenti ricorsi amministrativi) risulta sempre oggetto di formale comunicazione tra gli organi centrali competenti dei rispettivi Stati quali individuati dall'art. 15 della Convenzione Europea di Assistenza.

Con l'eccezione in esame la Difesa ritiene che tali modalità siano comunque tali da integrare la violazione dell'obbligo di trasmissione per via diplomatica previsto dall'art. 15 della Convenzione, venendo ad integrare una ipotesi di trasmissione diretta tra AA.GG. non consentita dal trattato, come tale sanzionabile ai sensi della nuova disposizione di cui all'art- 729 cpp.: ma si tratta di impostazione che appare del tutto erronea nella lettura delle norme di riferimento, nei canoni interpretativi utilizzati e in definitiva nella stessa valutazione dei fatti di causa.

Sul punto occorre innanzitutto ricordare che la questione riguarda, in questa sede, unicamente i rapporti con la Svizzera, ovvero esattamente il Paese con il quale è stato stipulato il trattato di assistenza 10.9.98, ratificato dall'Italia con la legge 367/2001 cui accede la nuova previsione di inutilizzabilità invocata dalla Difesa, trattato che all'art. 17 espressamente estende ai rapporti italo-svizzeri proprio la particolare disciplina di comunicazione diretta fra AAEGG già contemplata dai patti di Schengen e qui oggetto di contestazione.

Dunque vediamo che, se in via generale le ipotesi di nullità o inutilizzabilità retroattiva previste dall'ordinamento risultano tutte strettamente collegate ad una forte innovazione nel sistema di acquisizione e valutazione delle prove, tale da far ritenere le modalità previgenti come assolutamente incompatibili con il nuovo regime formale introdotto, in questo caso là *richiesta difensiva ci consegna l'evidente paradosso di pretendere l'applicazione retroattiva di una sanzione processuale inesistente all'epoca del compimento delle attività processuali qui in contestazione ad una condotta (l'asserito inoltro diretto di atti tra le rispettive EEGG) oggi pienamente legittima e anzi addirittura dovuta (e ciò proprio a seguito della ratifica del trattato internazionale cui accede la modifica dell'art 729 cpp invocata dalla Difesa)
E' dunque un'immagine di -legislatore schizofrenico quella che viene proposta dalla Difesa, un legislatore che (in tesi di parte) nel momento in cui stringe i rapporti di collaborazione internazionale con la Svizzera, secondo le medesime modalità già vigenti con stati legati da rapporti di più antica collaborazione e nel solco di un percorso di più rapida comunicazione diretta tra le AA.GG- costantemente perseguito, condannerebbe addirittura con la più grave sanzione processuale della inutilizzabilità tutta l'attività collaborativa precedentemente svolta, con l'unica e singolare conseguenza peraltro di imporre una "nuova trasmissione diretta degli atti dalla A.G. Svizzera a quella
Italiana (ovvero una attività da svolgersi secondo le medesime modalità oggi in contestazione).

Già una tale osservazione parrebbe sufficiente a far dubitare della fondatezza dell'ipotesi interpretativa proposta dalla parte, costruita su una pretesa di vantato rigore formale in realtà incapace di fare i conti con il principale canone interpretativo di favore verso lo sviluppo della cooperazione internazionale.
Ma più analiticamente si deve rilevare che i nodi dell'apparente paradosso così proposto 5embrano tuttavia poter essere sciolti in maniera soddisfacente quando pazientemente si osservi che:
· l'art. 26 della convenzione prevede espressamente la possibilità che gli stati contraenti possano concludere tra loro condizioni di assistenza più favorevoli,
· proprio in linea con tale previsione, e in omaggio ad una esigenza di fondo di accelerare e semplificare le modalità di cooperazione giudiziaria internazionale apertamente perseguita (tra altri) dal nostro Paese si è arrivati alla stesura degli accordi di SCHENGEN, ratificati dall'Italia nel novembre '90, con i quali in particolare sì prevedeva espressamente la possibilità di comunicazioni dirette tra le 'AA.GC. dei paesi firmatari,
· nel medesimo arco di tempo, e in realtà già dai primi anni '8O (v. in via esemplificativa INDICE PENALE '84), erano in corso formali trattative per la stesura, di un accordo di cooperazione giudiziaria italo-svizzero avente ad oggetto 'le medesime esigenze di accelerazione e semplificazione delle modalità di reciproco rapporto (in tal senso si richiamano ancora la decisione e le motivazioni del Trib., Federale svizzero 31.lO.84 cit.);'
· in questi anni le modalità di 'consegna diretta' degli atti tra AA.GG. salvo obbligo di 'formali comunicazioni per via diplomatica sono state abitualmente seguite tra le competenti Autorità Elvetiche, Italiane e quelle di ulteriori paesi terzi (se pure, naturalmente, non in via necessaria ed esclusiva ma in genere in relazione alle concrete esigenze del caso), ovviamente in condizioni di reciprocità e con l'aperto consenso delle Autorità di Governo dei rispettivi Stati (v. in questo senso: le note 18.10.01 e 2.1l.0l dell'Ufficio Federale di Giustizia della Confederazione Elvetica prodotte in atti dal PM insieme alla documentazione relativa a numerosi casi analoghi; le dichiarazioni rese dal Ministro di Grazia e Giustizia alla Commissione Giustizia del senato in data 17.3.98 - quali documentate in DOCUMENTI GIUSTIZIA n 4-5 '98).

Alla luce dei precedenti sopra richiamati e della documentazione rogatoriale relativa al caso concreto acquisita in atti risulta che le modalità di comunicazione oggi contestate dalla difesa erano seguite dalle AA.GG. italiane e svizzere col pieno e consapevole consenso informato dei rispettivi Organi centrali di Governo, i quali si muovevano in tal senso nel solco di un indirizzo di fondo di aperto favore per ipotesi di comunicazione diretta fra AA.GG. interessate, quale poi formalmente sancito anche nei rapporti italo-svizzeri con l'accordo 10.9.98 poi puntualmente ratificato dall'Italia, a formale riconoscimento di prassi operative consensualmente sperimentate nel tempo.
Constatazione che si ritiene qui assolutamente dirimente in relazione alla decisione del caso concreto.

Invero pare assolutamente pacifico che le specifiche formalità di comunicazione per via diplomatica previste dalla Convenzione del '59 non riguardano affatto la tutela di posizioni soggettive (le persone fisiche o giuridiche interessate alla richiesta rogatoriale) ma risultano al contrario prettamente funzionali all'esercizio di prerogative di governo degli Stati firmatari, <per l'Italia, le specifiche competenze, di carattere politico-amministrativo, espressamente previste dagli artt. 723 comma 2o e 727 comma 2o cpp; competenze che tra l'altro, in entrambi i casi, attengono in via esclusiva alla ammissione delle rogatorie, dall'estero o all'estero, e in nessun caso ad un potere di delibazione in ordine alle risultanze di richieste di assistenza già avanzate ed eseguite)

E allora è da rimarcare innanzitutto che le formali comunicazioni puntualmente inviate nei casi di specie agli organi centrali di entrambi gli Stati interessati paiono certamente tali da soddisfare anche la lettera degli accordi sottoscritti (e comunque idonee a garantire pienamente l'esercizio delle rispettive prerogative di governo);
così garantito il pieno rispetto delle concrete esigenze di tutela sopra menzionate, non pare dubbio che la progressiva evoluzione dei rapporti tra le rispettive autorità competenti dei due Stati verso forme di consegna diretta risponda in pieno al principio generale di favore verso lo sviluppo delle forme di collaborazione internazionale fissato dall'art. 1 cit della Convenzione e sia anzi da tale norma pienamente legittimato;
in tal senso deve in particolare sottolinearsi cher nei termini e nelle forme così definiti, la contestata consegna diretta degli atti si risolve in realtà in una modalità meramente esecutiva degli obblighi formali di trasmissione previsti dalla Convenzione e non pare seriamente dubitabile che <nel rispetto di principi di reciproco consenso) la cura di tali profili rientri pienamente nelle forme di concreto esercizio dei poteri spettanti agli organi amministrativi degli Stati interessati, poteri che nei rapporti internazionali ben possono legittimamente esplicarsi (negli ambiti di effettiva competenza> attraverso prassi consensuali, prima e/o indipendentemente che attraverso formali modifiche di trattati
In proposito e' appena il caso di rammentare ancora, in via conclusiva, che il tema delle materiali modalità di consegna degli atti rogatoriali è del tutto estraneo *al tenore letterale dei patti sottoscritti (In verità sul punto la parte istante ha pure invocato una presunta violazione dell'art. 7 comma 2o della convenzione, asseritamente rivolto proprio a disciplinare le forme della consegna, ma incorrendo cosi in un palese infortunio: la norma invocata non è collocata nè in parte generale nè nel titolo So relativo alle disposizioni di Procedura e tanto meno nel titolo 2o relativo alle Commissioni Roqatorie ma *nel titolo So relativo alle notifiche degli atti giudiziari e alla citazione dei testimoni e concerne all'evidenza lo specifico tema delle comunicazioni giudiziarie a singole persone fisiche.
Naturale in questo caso che, venendo in questione la specifica posizione di singoli soggetti, la Convenzione si preoccupi di dettare forme inderogabili per la notifica degli atti, analoghe a quelle procedurali di diritto interno: non altrettanto hanno invece inteso fare le parti contraenti per ciò che attiene ai rapporti interstatali)

Per tali motivi appare pertanto del tutto infondata, in diritto, la pretesa degli odierni istanti di denunciare nel presente processo le vicende di consegna *degli atti roqatoriali come altrettante ipotesi di (sistematica) violazione di norme di carattere internazionale.

b) sulle caratteristiche della documentazione trasmessa in esecuzione delle richieste di assistenza avanzate dalla A.G.
italiana.

Lamenta in particolare la Difesa la trasmissione da parte delle Autorità rogate di documenti in copia, privi di certificazione di conformità agli originali, dunque in asserita violazione dell'art. 3 Comma 3o della Convenzione Europea di Assistenza Giudiziaria.

In quest'ottica, si dà quindi per presupposto, come dato non controverso, il carattere non originale della documentazione rogatoriale trasmessa, viene conseguentemente proposto un problema di rispetto delle specifiche formalità di attestazione di conformità agli originali che sarebbero inderogabilmente previste dall'art. 3 comma 3° della Convenzione, nelle forme (ancora una volta) di una aperta denuncia dalla sistematica violazione da parte delle Autorità inglesi, norvegesi e svizzere degli obblighi internazionalmente assunti con l'adesione alla Convenzione del '59 (va in particolare il citato disposto di cui all'art. 3 comma 3o) e di una correlativa e perdurante (illegittima) acquiescenza a tale condotta delle Autorità italiane centrali e periferiche, secondo i rispettivi livelli di competenza, rivendicando infine l'applicazione retroattiva a tale fattispecie della sanzione di inutilizzabilità introdotta con la l. 367/2001, a ristabilire una situazione di compatibilità del regime formale della documentazione di caratere rogatoriale con quello vigente per gli atti acquisiti all'interno del paese.

Seguendo per il momento il filo conduttore cosi proposto dalle Difese, va subito detto che non convince affatto in tale impostazione (sotto un profilo di stretta interpretazione del testo normativo) la particolare enfasi posta 'dalla parte sul carattere inderogabile del ricorso a peculiari modalità di attestazione di conformità che sarebbe previsto dall'art. 3 comma 3° della Convenzione. Invero
· già la collocazione sistematica della norma ci porta di per sé ad escludere che *la disposizione in oggetto sia specificamente diretta ad una espressa regolamentazione del regime formale degli atti da trasmettere infatti le disposizioni di procedura sono tutte raccolte negli artt. 14-20 della Convenzione, titolo 5° PROCEDURA (e in tale ambito, semmai, l'art. 17 esclude espressamente l'assoggettamento dei "documenti trasmessi in esecuzione della Convenzione" a qualsiasi formalità o obbligo di legalizzazione - secondo traduzione letterale dal testo originale francese)
· muovendo di qui, occorre innanzitutto convenire che la formulazione letterale del testo appare espressamente rivolta, nella peculiare modalità di costruzione del periodo, ad un riconoscimento di potere in capo alla Autorità richiesta piuttosto che all'imposizione di uno specifico obbligo di autenticazione
· ponendo mente a questo punto allo specifico inserimento di una tale previsione nel corpo dell'art. 3 (che fissa il fondamentale impegno ad adempiere di ciascuno Stato aderente), pare agevole rilevare come la norma invocata risulti in realtà essenzialmente diretta a limitare la portata dell'obbligo di collaborazione assunto da ciascuno Stato, con riferimento in particolare all'esclusione di un obbligo di trasmettere atti originali
In tale contesto emerge allora con forza *il peculiare collegamento fissato nel testo con l'obbligo espresso di restituzione degli originali eventualmente trasmessi di cui al successivo e collegato art. 6 della Convenzione e pare allora di dover ragionevolmente concludere che nella disposizione in esame (art. 3 comma 3°) il fuoco della tutela non è affatto (come preteso dalla parte istante) su una esigenza di attestazione della autenticità degli atti da trasmettere normalmente in copia, ma piuttosto sulla gelosa rivendicazione delle prerogative sovrane di ciascuno Stato sul materiale oggetto di richiesta.

Preso atto allora che nella Convenzione Europea manca in realtà una esplicita disciplina prescrittiva del regime formale degli atti da trasmettere, pare davvero ardita la pretesa di voler dedurre dalla scarna proposizione all'esame (di carattere sicuramente incidentale nel riferimento al cd. "certificato conforme") l'imposizione di modalità cogenti di autenticazione, come tali senz'altro identiche per la molteplicità degli Stati firmatari.

In tal senso si ritiene qui di poter senz'altro condividere, in linea di principio, l'orientamento già in precedenza manifestato sul punto da Trib Milano sez 2^ 4.7.2001 cit. laddove si escludeva che la norma in oggetto imponesse l'adozione di modalità inderogabili di autenticazione (quali ad CS- vigenti nel diritto interno sulla base di espressa e minuziosa disciplina normativa) per sottolineare in particolare nelle vicende ivi all'esame che
"il materiale rogatoriale inviato non può considerarsi trasmesso in semplice fotocopia laddove si analizzino le modalità di trasmissione dello stesso: l'autorità rogata infatti, dopo l'acquisizione di quanto richiesto dallo stato italiano lo trasmette con proprio atto, assumendo da un lato di avere dato completa esecuzione alla "rogatoria" dall'altro che quanto inviato allo Stato richiesto corrisponde esattamente alle attività adempiute. In sostanza con la trasmissione degli atti l'autorità dello Stato richiesto si assume la responsabilità del materiale acquisito conferendo allo stesso dignità di atto conforme" (osservazioni che si ritengono qui pienamente riproponibili nelle vicende oggi all'esame).
A significativa conferma di una tale valutazione si ritiene qui di poter senz'altro sottolineare come nel lunghissimo arco di tempo ormai decorso dalla stipula della convenzione, a fronte di contrasti tra re parti anche aspri e reiterati in materia ad es. di principio di specialità o anche di regole di procedura da seguire nella esecuzione delle rogatorie, nessun serio contrasto risulti invece mai incorso in materia di forma degli atti trasmessi, a segnalare l'inequivoco e concorde giudizio delle Autorità competenti degli Stati interessati circa la presunta vincolatività di forme specifiche di certificazione di conformità oggi invocato dalla parte istante (di fatto nel presente procedimento è stata depositata su iniziativa delle parti significativa documentazione relativa alla frequente trasmissione nel tempo di documentazione rogatoriale priva di specifiche forme di autenticazione relativa a procedimenti diversi da quello qui in trattazione, da atti relativi alle vicende del cd AMBROSIANO fino a documenti relativi al più recente proc. MOLINO, 1994, in questo caso prodotti dalla Difesa istante).

In questo caso si ritiene evidentemente di fare riferimento, in sostanziale adesione sul punto all'impostazione proposta dall'uff. PM, al generale principio di interpretazione dei trattati internazionali di cui all'art 31 comma 3o del già menzionato Trattato ai Vienna , puntualmente ratificato dall'Italia, circa la peculiare valenza interpretativa da riconoscersi nell'interpretazione ad "ogni prassi successivamente seguita
rispetto all'applicazione del trattato"
- disposizione espressamente formulata quale norma generale di interpretazione, a fianco del principio di buona fede, in un quadro complessivo in cui anche il ricorso al criterio strettamente letterale viene precisato e completato da un particolare riferimento al contesto del trattato e al suo fine e scopo , secondo impostazione tipica di un diritto pattizio che non può evidentemente far leva su una presunzione di completezza dell'ordinamento e deve invece necessariamente affidarsi proprio all'opera delle parti per la sua concreta applicazione alla molteplicità delle situazioni da regolare e alle loro dinamiche evolutive).

Ma più in generale occorre dire che, a parere del Collegio, l'intera tematica della cd. certificazione di conformità presuppone in realtà, in fatto, *una peculiare fattispecie di attività complessa della Autorità rogata, che si esplichi secondo due fasi nettamente distinte: da un lato acquisizione della documentazione richiesta in originale , dall'altro successiva estrazione di copie da trasmettere alla Autorità richiedente.
Fattispecie che non è dato riscontrare nelle vicende in esame.

Al riguardo, e procedendo per gradi, va sottolineato innanzitutto che qui si conviene pienamente con la parte istante sull'assunto di fondo per cui "noi dobbiamo intendere per originale, e quindi come atto in originale da offrire al Tribunale, solo ed esclusivamente quello materialmente appreso, quindi materialmente sequestrato a seguito di perquisizione, consegna o esibizione, ma proprio da tale assunto discende che, ai fini della norma in esame, dovrà naturalmente qualificarsi come originale (e non copia da assoggettare ad una qualche forma di certificazione) il documento che fin dall'origine sia stato eventualmente rinvenuto o comunque acquisito in copia nell'esecuzione dell'attività richiesta: certamente non potrebbe porsi in questo caso, a fronte di trasmissione del medesimo documento materialmente appreso, nessun problema di certificazione di conformità (ad un originale magari non più esistente o anche per avventura mai esistito, come in ipotesi di rinvenimento di un falso, ma comunque mai venuto sotto gli occhi della Autorità procedente).

Questa pare appunto la situazione riscontrabile nel caso di specie, in cui le Autorità procedenti non fanno menzione alcuna di autonome attività di estrazione di copia per la trasmissione successive alla esecuzione della rogatoria e al contrario attestano di avere trasmesso "i documenti richiesti" (il dato è del resto confermato dal materiale rinvenimento, nei fascicoli trasmessi, di copiosa documentazione inequivocabilmente non oggetto di fotocopiatura, come ad es. le stampe di estratti conto bancari).

L'esame della documentazione trasmessa impone peraltro alcune precisazioni.

Nel caso di specie nessun problema di certificazione di conformità può certamente essere posto in relazione a
· documentazione VAN DER POOL oggetto di sequestro 26.9.96 nonché documentazione PACINI BATTAGLIA rinvenuta nella cassaforte a disposizione dello stesso presso la Banque des patrimotnes Frivès di Ginevra (nota di trasmissione 17.12.96): in questo caso risulta inequivocabilmente dagli atti che oggetto di trasmissione internazionale è stato appunto quanto materialmente rinvenuto e appare naturalmente irrilevante ai sensi della convenzione che tale materiale sia risultato in massima parte costituito da semplici copie;
· documentazione SAIPEM AG di cui alla nota di trasmissione Ministero Pubblico di Lugano 3.3.98: in questo caso la richiesta della A.O italiana (specificamente integrativa di una precedente richiesta di assistenza) è addirittura successiva e conseguente ad una offerta di consegna da parte della medesima SAIPEM e concerne espressamente il materiale oggetto di offerta: anche in questo caso risulta dunque del tutto irrilevante ai presenti fini che l'offerta (e dunque l'oggetto diretto della richiesta di assistenza> abbia avuto riguardo a documentazione originale o in copia mentre rileva che anche in questo caso sta stato puntualmente trasmesso alla Autorità richiedente la medesima documentazione materialmente consegnata da SAIPEM (nella relativa Decisione di Chiusura 9.12.97 si legge in particolare che viene accolta la richiesta SAIPEM di procedere a "trasmissione brevi manu trattandosi di originali") -
In tale ambito il tema più delicato, e che richiede ulteriore approfondimento anche a fronte degli specifici rilievi mossi su punto dalle Difese, appare quello relativo alla acquisizione all'estero di documentazione proveniente da istituti bancari-

L'esame degli atti consente di rilevare che una parte di tale documentazione è rappresentata dalla stampa originale di dati evidentemente non esistenti su supporto cartaceo (v. estratti conto); altra parte è invece certamente rappresentata da copie in senso proprio (ad es. deposito di firma) di documenti che allo stato devono qui presumersi esistenti presso i rispettivi istituti di credito.

Specifico tema di riflessione è in questo caso la prassi diffusa delle AA.OG. dei diversi paesi (ivi compreso il nostro) di provvedere sovente nei procedimenti interni alla acquisizione di documentazione bancaria attraverso richiesta agli istituti interessati ed acquisizione successiva agli atti delle copie conseguentemente ricevute in evasione della richiesta (prassi abitualmente seguita laddove l'Autorità procedente, nell'ambito delle proprie, valutazioni, ritenga di non avere motivo di dubitare della corretta collaborazione del soggetto richiesto e persegua ordinarie esigenze di accertamento di rapporti e movimenti bancari piuttosto che di specifico accertamento della autenticità dei relativi documenti - come ad es. in ipotesi di contestazioni di falso).
Il punto può darsi senz'altro per notorio <in ogni caso, per quanto attiene alla acquisizione di documentazione bancaria svizzera che è la più copiosa tra quella in esame, risulta espressamente, seppur succintamente, trattato nella relazione BERNASCONI agli incontri di studio CSM di cui QUADERNI CSM n. 19/88; formalmente illustrato nella sua tipicità nella modulistica della A.G svizzera quale rinvenibile in ROGATORIE PENALI ITALO-svIZZeRE Giuffrè '97; esemplificativamente confermato dalla odierna produzione difensiva PACINI relativa al diverso proc. MOLINO).
Per quanto attiene invece al legittimo fondamento di una tale prassi nell'ordinamento italiano, pare il caso di richiamare (di contro alla prospettazione difensiva di una necessaria acquisizione agli atti processuali di soli originali):
/ l'art. 256 cpp laddove nei confronti di soggetti qualificati è espressamente prevista come solo eventuale l'acquisizione in originale della documentazione dagli stessi custodita e specificamente oggetto di richiesta;
/ l'art. 258 cpp laddove espressamente si prevede che, a seguito di sequestro, la A.O. procedente possa provvedere alla restituzione della documentazione sequestrata previa estrazione di copia (e in questo caso si tratta indiscutibilmente di copia semplice, come emerge dal confronto letterale con l'opposta ipotesi contemplata subito appresso di mantenimento del sequestro e rilascio agli interessati di copia autentica).
Fuori discussione dunque che in entrambi i casi sopra richiamati (certamente analoghi a quelli concretamente all'esame) il Giudice si troverà infine a pronunciare, per espressa volontà normativa, utilizzando mere copie <e in tal senso è del resto appena il caso di rammentare che - per il diritto interno il regime ordinario di circolazione degli atti tra diverse Autorità Giudiziarie interessate ai medesimi documenti e appunto quello della copia semplice, come espressamente previsto dall'art. 46 disp att. cpp e certamente noto a tutti gli operatori giudiziari).
Evidentemente anche in questo caso ci troveremmo dunque di fronte alla trasmissione in Italia dei medesimi atti acquisiti dalla Autorità richiesta nella fase di concreta esecuzione della rogatoria

A fronte di un tale rilievo la Difesa contesta che a tali modalità di esecuzione, proprie dell'ordinamento interno, ciascuno Stato possa fare ricorso quando investito di una richiesta di assistenza giudiziaria e ciò in ragione del menzionato disposto letterale di cui all'art. 3 comma 3o della Convenzione Europea.

In quest'ottica si verrebbe così a configurare una sorta di conflitto tra il principio di esecuzione secondo lex loci di cui al comma 1° dell'art. 3 della Convenzione e un obbligo di necessaria acquisizione degli originali della documentazione richiesta a fini di diretta trasmissione alla Autorità richiedente ovvero di successiva certificazione di conformità delle copie da trasmettere (incombenze invece non previste o quanto meno non previste come necessarie per il diritto interno), obbligo che sarebbe implicitamente presupposto dalla disposizione di - cui al comma 3o della medesima norma.

Ma in realtà da una piana lettura del testo (rispettosa del significato letterale delle espressioni utilizzate e della loro connessione secondo conseguenzialità logica) pare agevolmente rilevabile nella concreta articolazione della norma una precisa scansione, anche temporale, tra due fasi chiaramente distinte (esecuzione/trasmissione) in cui il fondamentale impegno ad adempiere è inequivocabilmente fissato in via generale, e di principio attraverso il comma lo, con la ferma sottolineatura del ricorso alle 1'forme previste dalla legislazione dello Stato è del resto il principio cardine su cui si è retto fin qui il sistema della cooperazione giudiziaria internazionale), muovendo di qui, e restando ancorati al significato letterale delle parole nel testo, bene si vede come il successivo comma 3° sia rivolto unicamente a regolamentare un problema specifico di mera trasmissione (logicamente e cronologicamente successivo ad una fase di acquisizione già completata secondo autonoma disciplina), assumendo peraltro, ancora una volta, come assolutamente prioritaria una 'riserva di sovranità' dello Stato richiesto (cui viene appunto riconosciuta in questo caso una facoltà aggiuntiva rispetto al potere già riconosciuto di adempiere in conformità al proprio ordinamento interno).

Qui si ritiene allora di poter senz'altro ribadire il convincimento già sopra espresso circa il carattere meramente incidentale della disposizione di cui al comma 3o dell'art 3, la sua destinazione a regolamentare peculiari fattispecie di già avvenuta acquisizione di originali e di emergenza di esigenze di conservazione interna concorrenti con gli impegni assunti a livello internazionale;
dover dunque conseguentemente rigettare, come senz'altro priva di fondamento in diritto, la pretesa della parte istante di attribuire a tale disposizione valenza addirittura sovraordinata ovvero specializzante rispetto al principio generale di cui al comma l°;
riconoscere pertanto che le rogatorie in esame risultano eseguite in piena conformità al diritto interno degli Stati richiesti e nel rispetto dei diritti/doveri fissati dalla convenzione Europea di assistenza giudiziaria.

- Al riguardo qui rimane solo da sottolineare come anche nel nuovo assetto di rapporti conseguente alla ratifica del trattato di assistenza Italo-svizzero (ovvero quello delineato dalla Convenzione di assistenza tra gli Stati membri della U.E. per la parte relativa al nuovo ricorso privilegiato alle procedure di esecuzione indicate dallo Stato richiedente) , cui dovrebbe eventualmente farsi riferimento in caso di esigenza di rinnovo delle richieste dl assistenza oggi all'esame o comunque di richieste nuove mai l'Autorità italiana richiedente potrebbe <secondo principio cardine di buona fede nella esecuzione dei trattati e di leale collaborazione' internazionale) pretendere legittimamente dalle competenti Autorità dello Stato richiesto l'esecuzione delle proprie rogatorie secondo modalità diverse e più gravose di quelle che essa stessa direttamente potrebbe adottare, per analoghe attività, all'interno del paese (con riferimento qui, ancora una volta, alle particolari procedure interne di cui agli artt. 246 e 258 cpp)

Più in generale, si ritiene qui di dovere ancora rilevare come la molteplicità delle diverse questioni fin qui poste diano ampiamente conto della complessità dei temi e problemi che lo scarno testo della Convenzione è chiamato a governare in questo senso davvero riduttiva e anzi palesemente fuorviante appare la pretesa della parte istante di liquidare come fenomeno di illegalità diffusa l'esperienza di concreta costruzione di prassi consolidate, consuetudinariamente condivise, di collaborazione internazionale tra Autorità di paesi diversi pretesa che a fronte di una invocazione di rigore formale rivela in realtà una seria difficoltà a fare i conti con le caratteristiche proprie dell'Ordinamento internazionale di riferimento e dei suoi specifici canoni interpretativi

In conclusione, alla luce di tutte le *sopraesposte considerazioni, ritiene infine il Collegio di non poter ravvisare nel caso di specie alcuna violazione di norme di convenzioni internazionali o di diritto internazionale generale.

PQM

Rigetta le eccezioni in esame.

Milano, 12/11/2001

[torna alla primapagina]