Tribunale di Torino, in composizione monocratica,
Sentenza 20 aprile - 5 maggio 2000, n. 1407
(con nota di Daniele Minotti)

(Sentenza pubblicata per gentile concessione di www.andreamonti.net - avv. Andrea Monti)

Numero 28539/96 RG notizie di reato
numero 3594/99 RG tribunale
n. 1407 Reg Sent
data del deposito 5 maggio 2000

Tribunale ordinario di Torino

Sentenza
(Art. 544 e segg., 549 cpp)
Repubblica italiana
in nome del popolo italiano

il giudice in funzione monocratica dott. Giorgio Zanetti sezione dibattimento alla udienza è il 20 aprile 2000 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente

sentenza

nei confronti di
Tizio nato a______ il_______ res ______ via __________ dom ex Art. 161 cpp in ______ via ________
libero presente

imputato

del reato di cui agli artt. 81 cpv cp, 171 bis legge 633/41, perché l'esecuzione di un medesimo disegno criminoso, traendo in inganno i dipendenti della ditta zzz cui era amministratore unico, mettendo a disposizione i programmi per elaboratore in seguito indicati (per il valore complessivo di circa lire 34 milioni) permetteva l'abusiva duplicazione degli stessi a fini di lucro.
PhotoShop 3.0 (prod Adobe Sys), Photo Styler (prod Adobe Sys), AutoCAD (prod Autodesk), Turbo C + + 4. 5, XTree Goldfor Windows 4. 0 (prod Central Point), Corel Draw 5. 0 (prod Corel), WinFax pro 3.0 (prod Delrina Tech), Multiedit 6. 0 (Eurpean Cyb), XTree Gold 4. 0 (prod Executive Sys), Disk Copy 2.11 (prod. J. Feise), Italiana Assistant (prod. Global Link) Organizer 1.0 (prod. Lotus) Organizer 1.1 (prod. Lotus) Quick EDM 3.13 Silver (prod. Maro snc) MathCad 5.0 (prod Mathsoft), ABC Flowcharter (prod. Micrografx) Excel 5.0 (prod. Microsoft) Project 3.0a (prod Microsoft) Microsoft Winword 6.0c (prod. Microsoft) Publisher 1.0 (prod. Microsoft) Visual C++ 4.0 (prod. Microsoft) Office 4.3 Pro (prod. Microsoft) publisher 2.0 (prod. Microsoft), F-Prot Professional 2.21 (prod. Symbolic) Win rw 714 (prod Trend Micro Device)

in__________ tra aprile 1995 e ottobre 1996
Contestazione così modificata ex Art. 516 cpp all'udienza del 26 gennaio 2000.
Con l'intervento del pubblico ministero dott. Calice
e degli avvocati Claudio Morra e Roberto Calleri entrambi difensori di fiducia
le parti hanno concluso come segue
pubblico ministero: assoluzione
difesa: assoluzione perché il fatto non sussiste o perché non costituisce reato

Motivi della decisione

Tizio era tratto a giudizio per il reato ex articolo 81 capoverso cp 171 bis legge 633/41 con decreto 26 gennaio 1999 del Giudice per le Indagini Preliminari presso la Pretura Circondariale di Torino a seguito di tempestiva opposizione, proposta il 22 gennaio 1999 avverso il decreto penale 10 novembre 1998 notificato il successivo 7 gennaio 1999, con cui era stata irrogata al prevenuto, per l'illecito in esame, la pena di lire 6.900.000 di multa, parzialmente applicata in sostituzione di pena detentiva con la non menzione. Cosa indicava successivamente, nei modi di rito, il nominativo di alcuni testi e di due consulenti da esaminare su circostanze specificamente enunciate, chiedendo autorizzarsene la citazione, assentita dall'ufficio. Al dibattimento presenziava l'imputato ed era revocato l'opposto decreto penale. In sede di esposizione introduttiva, previa integrazione del fascicolo dibattimentale mediante inserzione del verbale di atti irripetibili, il pubblico ministero si richiamava alla contestazione e chiedeva l'esame dei soggetti indicati in lista nonché del prevenuto, offrendo le produzioni dettagliate a verbale. La difesa, dal canto suo, chiedeva anche essa l'esame del proprio assistito, riservandosi il controesame dei soggetti ex adverso indicati e offrendo la documentazione specificata a verbale. Ammesse le prove si procedeva, anzitutto, all'audizione dei due consulenti del pubblico ministero ingegneri P. R. e V. F., dopo il cui esame era acquisita la relazione scritta dai medesimi stilata. Erano poi sentiti i testi d'accusa Primo, Secondo, Terzo, Quarto, Quinto, Sesto e Settimo, tutti dipendenti della ditta zzz. A Primo, Secondo e Sesto era contestato il difforme tenore di dichiarazioni rese durante le indagini preliminari di cui verbali erano acquisiti agli atti. Da ultimo era ascoltato l'ulteriore teste di accusa T. G. appartenente alla sezione polizia giudiziaria procura della Repubblica e operante accertamenti sui fatti di causa. A questo punto il pubblico ministero provvedeva ex art. 516 cpp a modificare la contestazione originaria conformemente al tenore riportato in epigrafe, la Difesa chiedeva termine, spirato il quale, non risultando avanzate istanze istruttorie di sorta, venivano indicati alle parti gli elementi che sarebbero stati utilizzati per la decisione e le si invitava alla discussione.
In esito al pubblico, orale dibattimento uditi il pubblico ministero e i difensori che hanno concluso come in epigrafe descritto si osserva quanto segue.
L'ipotesi d'accusa non è stata adeguatamente suffragata dall'istruttoria dipinta. La contestazione originaria rilevata nei confronti del prevenuto si fondava su una ricostruzione dei fatti in termini di immediata riconducibilità allo stesso dell'attività di duplicazione a fini di lucro dei programmi dettagliati nel decreto dispositivo del giudizio, siccome attuata dal Tizio, se non materialmente, in forza di sue direttive agli esecutori materiali. Per inciso, rappresenta dato pacifico in causa, la veste di amministratore unico della zzz attribuita all'odierno imputato nel decreto dispositivo del giudizio, veste sicuramente compatibile con l'emanazione di ordini direttive nei confronti dei dipendenti. Orbene, l'istruttoria svolta ha confermato che effettivamente, in ambito aziendale, erano utilizzati programmi abusivamente duplicati. Al riguardo basti, precipuamente, il tenore del verbale di sequestro inserito ab origine nel fascicolo dibattimentale nonché le dichiarazioni dei testi e quelle dei consulenti della pubblica accusa, reiterative in questa sede di quanto enunciato nella relazione scritta appositamente stilata e acquisita agli atti. Risulta in particolare dal verbale di sequestro che presso i locali dell'impresa si rinvenivano, fra l'altro, 140 floppy disk di varie capacità, un CD-ROM, due altre liste numerose directory installate 13 personal computer. Su tali supporti informatici venivano rinvenuti dai consulenti i programmi dettagliati nella loro relazione scritta (con le precisazioni di cui alla relazione aggiuntiva) per i quali impresa non fu in grado di esibire regolare licenze o fattura d'acquisto. Taluni almeno di detti programmi risultarono, sulla scorta dei dati estrapolabili, di frequente utilizzo e congrui rispetto all'attività aziendale. Appare ovvio, alla luce della riscontrata carenza di documentazione legittimante, che la disponibilità dei programmi di cui si è detto derivava necessariamente da una duplicazione non autorizzata dal titolare del relativo diritto. Sul piano oggettivo, dunque, uno dei profili fattuali della contestazione risulta provato. Viceversa non è stata provata in causa, nemmeno a seguito dell'audizione dei numerosi dipendenti o ex dipendenti della zzz indicati come testi, una diretta attivazione dell'imputato volta a duplicare personalmente o a disporre la duplicazione da parte dei sottoposti ovvero di terzi collaboratori dei famosi programmi. Non solo nessuno dei soggetti esaminati ha potuto riferire di avere notato il prevenuto occuparsi direttamente di simili incombenti ovvero impartire istruzioni di sorta al riguardo, ma più testi hanno dichiarato che in generale Tizio non si occupava affatto del settore informatico latamente inteso, salvo non ricorressero peculiari esigenze di approvvigionamento di supporti apprezzabilmente costose nel qual caso lo si interpellava onde ottenere l'assenso alla spesa (cfr deposizione Quarto).
Osserva, d'altro canto, l'ufficio che lo spessore non esiguo della compagine aziendale quale documentato dalle produzioni delle parti e l'incarico di vertice dell'imputato rendevano per sè poco probabile una sua personale ingerenza nella materiale attività di duplicazione abusiva, mentre quanto all'emanazione di direttive verbali in proposito (dovendosi ragionevolmente escludersi l'ipotesi di direttive scritte) essa non sarebbe potuta sfuggire ai dipendenti esaminati come testi e sforniti soprattutto quelli non più alle dipendenze della zzz di qualsiasi plausibile movente per una falsa deposizione. Al dibattimento è emersa, come si è visto, una situazione di scarsa strutturazione del servizio relativo all'approvvigionamento del materiale informatico sia l'uso dello stesso, tale per cui il personale a volta interessato si rivolgeva come referenti ai colleghi o al diretto superiore o all'ufficio acquisti; solo in casi eccezionali era coinvolto Tizio mentre, circa l'uso di supporti informatici già esistenti in ditta, i dipendenti avevano normalmente in dotazione dei PC ed era invalsa la prassi di prelevare direttamente floppy disk sparpagliati nei locali dell'impresa o quant'altro necessitasse momentaneamente per il lavoro dei singoli, provvedendosi talvolta personalmente all'installazione di particolari programmi sui cennati PC (cfr. dep. Primo, Secondo, Terzo Quarto, Quinto).
Nessun controllo era operato in merito quale installazione, da parte dei sottoposti, i programmi in loro possesso su di supporti informatici sindacati mentre nei locali operavano dei consulenti esterni i quali, a loro volta, ricavano plausibile mentre si con il materiale di cui necessitavano e ivi lo utilizzavano seguendo, peraltro, anche di supporti loro riservati dall'impresa (cfr. sul punto le circostanze di fatto evidenziare nella relazione aggiuntiva dei consulenti del pubblico ministero, in cui si fa menzione di una simile prassi, parzialmente accertata).
Sulla scorta dei costituti sunteggiati appare per nulla inverosimile che il compendio incriminato fosse frutto dell'operato di soggetti diversi dall'imputato e in assenza di specifiche direttive al riguardo Tizio. Ciò tanto più in quanto non è stato acquisito un elemento tale da comprovare la finalità di una successiva commercializzazione da parte della zzz, dei programmi duplicati giacenti in azienda. Proprio in base a tali considerazioni della pubblica accusa ha provveduto a modificare, in corso di dibattimento, la contestazione originaria abbandonando l'impostazione iniziale che vedeva nella novella, come si è detto, l'autore materiale delle abusive duplicazione (o comunque il soggetto propulsore in forma diretta delle medesime mediante direttive e ordini ai dipendenti) e abbracciando viceversa la ricostruzione dell'operato di costui in termini di maliziosa induzione in errore dei dipendenti stessi tramite la messa a disposizione incontrollata di programmi vari finalizzata proprio a promuovere una inconsapevole duplicazione abusiva di programmi stessi da parte degli ignari sottoposti (beninteso nell'interesse aziendale). In tal modo va riguardata la menzione dell'articolo 48 cp nella contestazione modificata il cui tenore, d'altro canto, milita inequivocabilmente nel senso dianzi prospettato. Per quel che concerne la mancata prova di una divisata da negoziazione "esterna" e i programmi abusivamente duplicati, il pubblico ministero ha invece affermato come, a suo avviso, il fine di lucro postulato dalla norma incriminatrice debba pur sempre ravvisarsi laddove tale duplicazione, benché non preordinata a fini di commercializzazione a soggetti terzi, trovi motivo nel risparmio di costi che ne consegue per il suo autore, ovviamente esonerato dall'acquisire in forme legittime la disponibilità di sì fatti programmi. Al riguardo la pubblica accusa ha evidenziato che nella specie programmi oggetto della riscontrata duplicazione erano in larga misura utilizzabili e\o utilizzati per l'attività aziendale, tanto che i propri consulenti avevano quantificato un approssimativo risparmio di costi per quest'ultima, pari a circa dire 30 milioni. Proprio in conseguenza di ciò sarebbe ravvisabile lo scopo di lucro e al contempo apparirebbe suffragato il coinvolgimento di Tizio quale unico soggetto che per la veste istituzionale aveva interesse alla duplicazione illecita.
Orbene, ritiene il giudicante che mentre possa recepirsi l'impostazione dell'accusa quanto al significato della locuzione "scopo di lucro" non sia invece emersa come anticipato, prova sufficiente della sussistenza in capo a Tizio del peculiare elemento psichico necessario per l'integrazione della fattispecie siccome descritta nel capo di imputazione con cui occorre confrontarsi.
Quanto alla prima problematica non è in grado di trarre un criterio ermeneutico di natura generale in virtù del quale, nel nostro ordinamento lo scopo di lucro sia identificabile sicuramente con la sola locupletazione immediata e non anche con il profitto ritraibile da un risparmio di costi siccome ordinariamente finalizzato, nell'ottica imprenditoriale, a diverse forme di investimento. Laddove i fatti in discussione si verifichino in ambito imprenditoriale e comportino un apprezzabile risparmio per l'imprenditore sembra disagevole affermare che non sia soddisfatto il fisiologico scopo di lucro che informa l'attività di quest'ultimo proprio in ragione dell'elemento unificante che caratterizza la globale attività del soggetto che opera economicamente nelle forme predette. Nè l'accezione lessicale del vocabolo "lucro" fornisce la risposta caldeggiata dalla difesa.
Disattesa pertanto la più radicale tesi difensiva va evidenziato, circa l'elemento psichico del reato in discussione, che pur abbandonata l'impostazione originaria di un coinvolgimento, per così dire, immediato Tizio (coinvolgimento sicuramente indimostrato, come riconosciuto dallo stesso organo dell'accusa) occorrerebbe pur sempre la prova di un dolo diretto e intenzionale del prevenuto orientato a apprestare una situazione di fatto incentivante all'abusiva duplicazione da parte dei sottoposti in buona fede. Il delitto in esame è in vero un reato doloso, per di più a dolo specifico, per cui anche il soggetto che inducendo in errore l'agente materiale abbia cagionato l'integrazione del profilo obiettivo dell'illecito occorrerebbe individuare lo stesso elemento psichico (cfr. Cassazione Penale Sezione Sesta 26 giugno 1996 n. 6389, 10 gennaio 1996 n. 607). E ciò si aggiunge, appare tanto più significativo nel presente caso, dove l'induzione in errore sarebbe il frutto come si è visto di una maliziosa condotta di preordinazione da parte Tizio e non di quella mera, accettazione del rischio che caratterizza il dolo eventuale. È ben vero che la prova dell'elemento psichico del reato riguardante l'atteggiarsi del foro interno dell'agente è una prova precipuamente logica; ma nella specie non sussistono elementi univoci da cui ritrarre l'appagante convinzione che Tizio sapesse della situazione (la quale, secondo l'impostazione accusatoria, sarebbe addirittura stata frutto di una capziosa predisposizione da parte sua o comunque di una sua callida tolleranza) e intendesse sfruttarla a proprio favore. Si è già detto che la veste dell'imputato, le dimensioni dell'impresa e la sua strutturazione erano tali da non poterne far discendere l'inevitabile consapevolezza in capo al prevenuto della situazione esistente (disponibilità dettagliata di programmi per uno duplicazione abusiva). Tale consapevolezza, come si è visto, neanche potrebbe farsi derivare in via logica da specifici interventi riguardo di cui non vi è prova. In sostanza dovrebbe ricondursi alla sola inerzia dell'imputato nel disciplinare la gestione del servizio di approvvigionamento e uso di supporti informatici e al vantaggio (peraltro economicamente contenuto) derivante all'impresa dall'utilizzo ad opera dei dipendenti di programmi abusivamente duplicati, la prova circa l'originario perseguimento da parte di tizio degli scopi anzidetti. Siffatta ricostruzione appare però sfornita di adeguato supporto sol che si consideri, ad esempio, come l'elemento indiziario rappresentato dall'utilità per l'impresa discendente da risparmio di costi non sia punto univoco. Anche altri soggetti, segnatamente i dipendenti e i collaboratori esterni ben potevano ritrarre una personale utilità dall'eventuale attività di duplicazione abusiva, non foss'altro che per la razionalizzazione dei rispettivi lavori. Nè sembra che deriva di rilievo a circostanza, già evidenziata, che non tutti programmi abusivamente duplicati erano utilizzabili e/o utilizzati per l'attività della zzz, potendo farsi discendere proprio da ciò considerazioni sul piano logico circa l'estraneità della compagine - e del suo amministratore - alle iniziative concernenti la duplicazione abusiva ovvero a una consapevole tolleranza riguardo alla formazione di un "archivio" di programmi duplicati.
Si badi, da ultimo, che la natura comune e non propria del reato di cui si discute impedisce di addebitare all'imputato una responsabilità penale derivante da una posizione di garanzia in merito all'osservanza ad opera dei sottoposti della normativa in materia e comunque laddove pur egli fosse stato onerato da una simile responsabilità, l'omesso controllo non equivarrebbe per sé solo ad una manifestazione di quel dolo intenzionale postulato dalla norma incriminatrice.
In sostanza difettando prova adeguata dell'elemento psichico dell'illecito in oggetto, Tizio va assolto ex articolo 530 comma secondo cpp perché il fatto non costituisce reato

PQM

visto l'articolo 530 cpp assolve l'imputato dall'addebito ascrittogli perchè il fatto non costituisce reato.

Torino 20 aprile 2000

Il Giudice
dott. Giorgio Gianetti

depositata in cancelleria il 5 maggio 2000

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Duplicazione di software: quando la differenza tra scopo di lucro e risparmio di spesa non è (ancora) chiara

La sentenza che si annota è intervenuta nuovamente sulla questione se il risparmio di spesa (conseguente la duplicazione non autorizzata di software) possa rientrare nel lucro previsto dall'art. 171 bis l.d.a.

Appare subito evidente che, malgrado i titoli di certa stampa - fortunatamente con piacevoli e autorevoli eccezioni[1] -, la risposta, almeno per il Giudice torinese, è stata affermativa, mentre l'assoluzione è stata determinata da altre questioni riguardanti sempre l'elemento soggettivo, ma non il punto di cui si discute.

La conclusione merita lo stesso una nota critica sia per il contrasto con la dottrina prevalente (e anche qualche rara sentenza), sia per la scarsità delle argomentazioni poste a sostegno del dispositivo[2].

Com'è noto - per trovare subito il conforto della giurisprudenza - la soluzione contraria era stata sostenuta del Pretore di Cagliari nella ormai celeberrima sentenza 26 novembre - 3 dicembre 1996[3] con la quale si mandava assolta (pur con la medesima formula adottata a Torino) la titolare di una società accusata di aver "moltiplicato" (id est abusivamente duplicato) alcuni programmi oltre alle licenze regolarmente acquistate.

Il Giudicante sardo osservava che l'art. 64 ter l.d.a rende lecita la copia di riserva, che l'art. 68 l.d.a. fa salvo l'uso personale delle opere [in grassetto periodo corretto l'11 agosto 2000 n.d.a.] e che, ad ogni modo, tutto l'impianto sanzionatorio previsto dal diritto d'autore è teso ad impedire che a lucrare siano soggetti diversi dal titolare dei diritti (es. la software house).

Ragion per cui non si poteva ravvisare alcun illecito penale (residuando, eventualmente, profili civilistici) in capo a chi non si rendesse responsabile di una qualche attività volta alla commercializzazione del programma.

Più approfonditamente, lo stesso Giudicante chiariva che il risparmio di spesa non poteva rientrare nel concetto di lucro in quanto quest'ultimo è rappresentato da "un guadagno patrimoniale ossia un accrescimento patrimoniale consistente nell'acquisizione di uno o più beni". Lucro, in definitiva, è "solo ed esclusivamente l'accrescimento positivo del patrimonio".

Andare oltre avrebbe condotto a riconoscere una sostanziale identità tra lucro e profitto, àmbiti che sono ben distinti in dottrina e giurisprudenza[4], laddove, comunque, il suddetto risparmio di spesa può costituire soltanto profitto.

La decisione torinese non ha soltanto ignorato la sentenza cagliaritana[5], ma la dottrina decisamente maggioritaria[6]. Soprattutto, non ha minimamente considerato convincenti argomenti di carattere sistematico e teleologico.

Come già da altri osservato[7], una serena lettura della direttiva comunitaria 91/250 (quella che ha dato origine alla legislazione italiana in tema di software) avrebbe condotto a ritenere che le "misure speciali" (si badi bene, non necessariamente penali) imposte dall'allora CEE erano destinate a sanzionare sfruttamenti (abusivi) di tipo commerciale, cioè il mercato del software pirata[8]. Ciò è confermato da quella anticipazione della soglia di punibilità - a rischio, peraltro, di illegittimità costituzionale - rappresentata dalla condotta di detenzione, cui, appunto, deve necessariamente affiancarsi lo "scopo commerciale".

In secondo luogo, il legislatore, sempre in materia di diritto d'autore, ha espressamente previsto il diverso fine di profitto sia nell'originario (e tuttora vigente) art. 171 l.d.a., sia nella disciplina delle banche dati, con l'introduzione del comma 1 bis aggiunto allo stesso art. 171 bis l.d.a.[9] ponendo un distinguo ben difficilmente eludibile.

Infine, il ddl C4953 (e quelli derivati) vorrebbe modificata la lettera dell'art. 171 bis l.d.a. con l'introduzione del fine di "profitto" in luogo di quello di "lucro", fatto che induce a ritenere che lo stesso legislatore sia consapevole dei precisi limiti invalicabili della legislazione vigente[10].

Tutto ciò è quanto di più autorevole si può giuridicamente opporre al poco attento Giudice torinese, preoccupato soprattutto di verificare secondarie questioni di deleghe penali rimescolate dall'accusa che, ad ogni modo, non hanno portato al di là di una "magra" assoluzione ai sensi del secondo comma dell'art. 530 c.p.p.

Una sentenza ben poco chiarificatrice rispetto al tema centrale: un'occasione persa per far luce su un tema che fa ancora molto discutere sul piano giuridico e sociale.

avv. Daniele Minotti (daniele@minotti.net) - luglio 2000

(riproduzione riservata)


[1] Andrea Monti, "Torino: ancora un'assoluzione per duplicazione abusiva di software" in PC Professionale, n. 111, giugno 2000, pagg. 247-8.

[2] Molto efficacemente, "A tutto questo va aggiunto che la parte della sentenza che si occupa di questa problematica contiene delle affermazioni laconiche, poco argomentate (appena 13 righe) e tutt'altro che assertive". Andrea Monti, op. cit., pag. 248.

[3] Su Penale.it all'indirizzo http://www.penale.it/giuris/meri_001.htm.

[4] Il "profitto" consiste anche in una qualsiasi utilità anche non patrimoniale, dunque anche nella mera soddisfazione morale. Per la definizione di lucro, si veda la giurisprudenza in tema di gioco d'azzardo.

[5] Va, infatti, rammentato che la sentenza del Pretore di Cagliari – stranamente inedita su carta - appare l'unica sufficientemente motivata sul tema del fine di lucro applicato al software.

[6] Da ultimo, Giorgio Pica, Diritto penale delle tecnologie informatiche, Torino, 1999, UTET, pagg. 206-211. Meno recentemente, Alberto Alessandri, Sanzioni penali, in AA.VV., La legge sul software. Commentario sistematico a cura di Luigi Carlo Ubertazzi, Milano, 1994, Giuffrè, pagg. 239-241. Contra, pur con poco pertinenti richiami alla giurisprudenza in tema di confisca, Andrea Calice, "La pirateria informatica in àmbito aziendale: il problema dell'utilizzo in rete di software privo di licenza" in Cassazione penale, 1998, 1562, pagg. 2769-71.

[7] Andrea Monti, op. cit., pag. 248.

[8] La direttiva è consultabile all'indirizzo http://europa.eu.int/eur-lex/it/lif/dat/1991/it_391L0250.html.

[9] La riforma è stata attuata con il d.lgs. 6 maggio 1999, n. 169 pubblicato, tra gli altri, sul sito del Ministero del lavoro, URL http://www.minlavoro.it/norme/DLG_060599_169.htm.

[10] Il ddl C4953, poi divisosi nei ddl C4953 bis e C4953 ter, è stato recentemente approvato dalla Camera e ritornerà al Senato per il varo definitivo. Per una nota critica, Daniele Minotti, Cambiano le norme sul diritto d'autore? Il ddl C4953 in Penale.it, URL http://www.penale.it/commenti/c4953.htm.

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