Giudice
dell'Udienza Preliminare presso il Tribunale di Oristano,
Sentenza 25 maggio - 6 giugno 2000
(con note di Daniele Minotti)
N° 137/2000
Reg.Sent.
Data del deposito
_______________
N. 86/99 R.G.notizie di reato Data di irrevocabilità
N. 1787/00 R.G. G.I.P. _______________________
N. Reg. Esec.
N. Campione P.
Redatta scheda il
_______________________
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE
DI ORISTANO
Ufficio del Giudice per le indagini preliminari
SENTENZA
Il Giudice dell'udienza preliminare
presso il Tribunale di ORISTANO
Dott. Elisabetta TUVERI
all'udienza del 25.05.2000
nel procedimento
ha pronunciato in camera di consiglio e pubblicato mediante lettura del dispositivo
la seguente
SENTENZA
nei confronti di:
1)
.., ivi res,te in via
2)
.., ivi res.te in
..
LIBERI PRESENTI
IMPUTATI
Del reato p. e p. dagli artt.
110, 595, II° e III° comma, c.p., art. 13, L. 47/48 e 30, L. 223/90,
per avere, in concorso tra loro, anche mediante l'attribuzione di fatto determinato,
offeso la reputazione di
.. , affermando in un sito Internet,
gestito dalla ditta "TRIPOD" con sede al n. 160 Water Street, Williamstown
- MA 01267 U.S.A, e precisamente nella premessa al dossier concernente la società
"
..., che il
fosse un "sedicente"
avvocato e avesse iniziato un giudizio civile per richiedere un "ridicolo
risarcimento danni degno del peggiore avvocato di provincia, nella speranza
di tapparci la bocca" e cioè impedire che le malefatte della Società
"
." venissero portate a conoscenza della
gente.
In Oristano e Pavia, querela depositata il 15 giugno 1998
CONCLUSIONI P.M
Il P.M. insiste nella richiesta
di rinvio a giudizio.
L'avv.
del foro di Oristano si costituisce parte
civile per conto di
..e
e
si associa alle richieste del P.M.
Il difensore degli imputati chiede il proscioglimento di
per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste e di
.
per non aver commesso il fatto.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con denuncia querela presentata
alla Procura della Repubblica di Oristano il 15.6.1999,
..
ha esposto di essere stato fatto oggetto di dichiarazioni diffamatorie ad opera
degli odierni imputati, diffuse tramite la rete Internet in un documento dal
titolo "Dossier
..- Una speculazione immobiliare in Sardegna".
Il
.ha riferito di essere il legale che assiste in un procedimento
civile pendente innanzi al Tribunale di Oristano la società "
..",
impegnata nella realizzazione di un insediamento turistico da effettuarsi all'interno
di una pineta artificiale che insiste sui territori di Narbolia e San Vero Milis.
Nella querela in esame, il
..ha esposto che la società
da lui rappresentata era stata fatta oggetto da tempo di una campagna diffamatoria
da parte dell'odierno imputato
, il quale, proprio per
tale ragione, era stato anche di recente condannato dal Tribunale di Oristano
per il reato di diffamazione (come dimostrato dalla sentenza Trib. Or. n. 44/98
allegata alla querela).
Più precisamente, l'avvocato ha riferito che lo stesso
.
e l'altra imputata
avevano pubblicato mediante Internet
un articolo a loro firma di oltre sessanta pagine dal titolo "Dossier
-
Una speculazione immobiliare in Sardegna", leggibile sino a data successiva
al 18.3.1998 nel sito Internet http://www.tripod.com, e prima ancora collocato
presso il sito http://www.geocities.com/rainforest, dal quale ultimo era stato
rimosso a seguito di una lettera di diffida inviata dallo stesso querelante.
Il
.ha affermato che già nella copia del "Dossier"
pubblicata presso il provider denominato Geocities erano state inserite alcune
affermazioni lesive della sua immagine professionale, dettagliatamente citate
dal querelante, che di seguito si riportano -tra virgolette e negli esatti termini
riferiti dal
..- insieme ad alcune considerazioni contenute
nella stessa querela:
1) <<all'interno dell'articolo avente per titolo "L'immobiliare vuole
la chiusura di questo sito per nascondere la verità della sua speculazione"
si legge testualmente "Inviando circa un mese fa una lettera di lagnanza
a Geocities, che ospita gratuitamente le circa 50 pagine e 20 foto di denuncia
dei Verdi di Oristano, un sedicente avvocato,
., a nome dell'immobiliare
..ha
chiesto di bloccare (per altro senza riuscirci) la diffusione mondiale di tutte
le notizie sulla speculazione immobiliare sarda>>;
2) <<ed ancora: "La società
.. non
ha mai presentato alcuna denuncia penale contro di noi, ma si è limitata
, a scopo intimidatorio, a citarci civilmente per un ridicolo risarcimento danni
(degno del peggiore avvocato di provincia) nella speranza di tapparci la bocca">>;
3) <<giova precisare, che a differenza di quanto rilevabile nelle affermazioni
sopracitate, nel corpo centrale dell'articolo il riferimento al sottoscritto
è chiaramente rilevabile, posto che viene fatto il nome ("Il dibattito
e le intimidazioni") dell'Avv.
.
come autore della citazione da cui è derivata la causa pendente avanti
il Tribunale di Oristano contro i sigg.
.
e
..>>.
Il querelante
, facendo presente che l'intero "Dossier
" era fruibile gratuitamente da tutti gli
utenti di Internet, ha quindi chiesto che la Procura valutasse l'opportunità
di procedere penalmente nei confronti degli autori dichiarati del Dossier
.
e
per il reato di diffamazione aggravata
di cui all'art. 595, commi 2° e 3°, c.p..
In relazione a tale querela del
.., e a quella di pari
data e simile contenuto presentata dal legale rappresentante della società
, la Procura della Repubblica
presso questo Tribunale, all'esito delle indagini, ha presentato in data 26.4.1999
la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell'
.. e
della
..
Il rinvio a giudizio è stato richiesto con riferimento a due distinti
capi di imputazione aventi rispettivamente ad oggetto il reato commesso nei
confronti della società
. e quello compiuto
in danno del
.
Entrambi i capi di accusa recano il richiamo agli articoli 110, 595, II e III
comma, c.p. e 13, L. 47/48, e, per il solo capo B) relativo alla diffamazione
del solo avvocato
oggetto del presente procedimento, anche all'art.
30 della L. 223/90.
All'udienza preliminare hanno presenziato entrambi gli imputati e vi è
stata la costituzione di parte civile per conto del
..e della stessa
società
...
Il Giudice, sentite le dichiarazioni spontanee degli imputati che hanno anche
prodotto alcuni documenti, al termine della discussione ha disposto la separazione
dei procedimenti relativi ai due distinti capi di imputazione, rimettendo gli
atti al Pubblico Ministero ai sensi dell'art. 33 sexies c.p.p. per il reato
di cui al capo A) di diffamazione nei confronti della società
..,
riqualificato giuridicamente come reato punito dall'art. 595, 2° e 3°
comma, c.p. e pronunciando sentenza di non luogo a procedere per il reato di
cui al capo B) che si esamina in questa sede.
*
Deve preliminarmente procedersi alla riqualificazione giuridica della fattispecie
oggetto dell'imputazione, espungendo i riferimenti normativi all'art. 13 della
legge 47/48 sulla diffamazione a mezzo stampa e all'art. 30 della legge 223/90
dettata in materia di diffamazione a mezzo di trasmissioni radiofoniche o televisive.
Infatti, deve ritenersi che entrambe le norme considerate non possano essere
applicate alla diffamazione commessa attraverso Internet, mezzo di diffusione
delle informazioni del tutto peculiare, al quale, vertendo in materia penale,
non può essere estesa in via analogica la disciplina dettata per la stampa
o la radio o la televisione.
A maggior ragione, una attenta lettura delle norme in esame e delle leggi in
cui sono contenute non può che condurre ad escludere del tutto l'applicabilità
delle norme citate alla fattispecie oggetto del presente procedimento anche
in via di interpretazione estensiva, che, stante l'obiettiva diversità
delle fattispecie legalmente tipizzate rispetto a quella in esame, si tradurrebbe,
ad avviso di questo Giudice, in un larvato giudizio analogico.
Un chiaro ostacolo all'interpretazione estensiva è costituito proprio
dalla definizione di stampato data dallo stesso art. 1 della legge 47/48 sulla
stampa (espressamente dichiarato come insuscettibile di interpretazione analogica
anche da Cass 7.3.1989, n. 259) che fa riferimento a "tutte le riproduzioni
tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisicochimici".
E' evidente che tale dettagliata definizione è del tutto incompatibile
con la modalità di diffusione delle pubblicazioni a mezzo Internet, che
avvengono, com'è noto, attraverso la collocazione di dati e informazioni
trasmessi per via telematica tramite l'utilizzo della rete telefonica, al server
di un cosiddetto provider o webmaster, accessibile a migliaia di utenti contemporaneamente,
presso il quale le informazioni restano a disposizione nei diversi siti in modo
tale che ciascun interessato può leggerle e conservarle mediante il proprio
computer.
E' poi altrettanto evidente che a tale mezzo di diffusione delle notizie non
si può riferire nemmeno l'art. 30, comma 4, della legge 223/90, che estende
il regime sanzionatorio previsto dall'art. 13 L. 47/48 ai soggetti indicati
nel comma 1 dello stesso articolo 30 L 223/90 (concessionari pubblici e privati
e loro delegati) per i reati di diffamazione commessi attraverso non meglio
definite "trasmissioni" consistenti nell'attribuzione di un fatto
determinato.
Invero, a prescindere dal fatto che nel caso di specie non è contestata
la responsabilità del concessionario o del webmaster ma degli autori
dell'opera dal contenuto diffamatorio, dalla lettura dello stesso articolo 30
e della intera legge in cui questo è collocato è agevole osservare
che, comunque, le "trasmissioni" menzionate nel citato articolo sono
solo quelle televisive e radiofoniche.
Tali mezzi di diffusione di suoni e immagini, in assenza di una esplicita presa
di posizione del legislatore, non possono essere equiparate, per le ragioni
esposte, alla diffusione di dati attraverso Internet, che avviene con modalità
diverse dalla trasmissione via etere oggetto della regolamentazione operata
dalla legge 223/90, emanata in un periodo storico in cui la stessa creazione
della rete di comunicazione Internet non era nemmeno ipotizzabile dal legislatore.
D'altra parte, in presenza di una previsione normativa quale quella di cui all'art.
595, comma 3°, c.p. concernente l'offesa arrecata " con qualsiasi altro
mezzo di pubblicità" che si attaglia alla perfezione ai contenuti
diffamatori diffusi attraverso Internet, non si vede nemmeno quale sia la necessità
di effettuare una forzatura interpretativa per ricondurre il caso in esame nell'alveo
della disciplina sanzionatoria delle leggi 47/48 o 223/90.
In proposito, vale la pena di ricordare anche la posizione a suo tempo espressa
dalla Corte Costituzionale con le sentenze 42/77 e 168/82, che, sottolineando
il divieto di estendere analogicamente la disciplina prevista dalla legge speciale
sulla stampa ad altre diverse fattispecie di reato, ha ritenuto che non fosse
censurabile la scelta del legislatore di punire più gravemente i reati
di diffamazione commessi con il mezzo della stampa rispetto a quelli commessi
con la radiotelevisione, puniti in base alla previsione del comma 3° dell'art.
595 c.p. in quanto commessi con "altri mezzi di pubblicità".
Alla luce di tali osservazioni, deve quindi procedersi alla riqualificazione
giuridica della condotta criminosa in esame, da ricondurre pienamente nell'alveo
della fattispecie prevista e punita dagli articoli 110 e 595, commi II e III,
del codice penale,
*
In conseguenza della riqualificazione giuridica del fatto attribuito agli imputati,
deve rilevarsi che la fattispecie in esame rientra tra quelle per le quali l'art.
550 c.p.p. prevede la citazione diretta a giudizio.
Non appare peraltro necessario procedere a norma dell'art. 33 sexies c.p.p.,
in quanto sussistono gli estremi per la pronuncia di una sentenza di non luogo
a procedere perché il fatto non sussiste, la cui pronuncia è imposta
dall'art. 129 c.p.p. in ogni stato e grado del procedimento.
*
Deve invero rilevarsi che nel corpo del "Dossier
"
pubblicato su Internet, il cui testo integrale è stato stampato anche
dalla Polizia Giudiziaria ed è inserito in più copie agli atti
del fascicolo, non si possono rilevare contenuti diffamatori nei confronti dell'odierno
querelante
..
Infatti, in nessuna delle parti del "Dossier" citate in querela, né
tantomeno in altre parti dell'intero articolo, può ritenersi che la persona
offesa dalle dichiarazioni diffamatorie sia proprio l'avvocato
.
Quanto alle presunte affermazioni offensive della reputazione del
riportate
più sopra al punto 1) dell'esposizione del contenuto della querela e
citate nell'imputazione, è agevole osservare che, a prescindere da ogni
valutazione sul contenuto realmente diffamatorio della frasi riportate, le stesse
non possono comunque dirsi riferite al
Se si legge infatti il contenuto dell'articolo citato (cfr. p.108 degli atti
del fascicolo) si rileva immediatamente che il "sedicente avvocato"
di cui parla il Dossier nel capitolo intitolato "L'immobiliare vuole la
chiusura di questo sito (
)" non è l'avvocato
ma un altro legale, e precisamente l'avvocato
.., che, come
si rileva dalla carta intestata agli atti, è il collega di studio del
querelante.
Infatti è l'avvocato
.., che peraltro non ha proposto
querela, che viene espressamente nominato nell'articolo in questione all'interno
della frase incriminata (<<(
)un sedicente avvocato,
.,
a nome dell'immobiliare (
)>>), inspiegabilmente stravolta nel testo
dell'esposto del
.. dove, al posto del corretto nominativo "
..",
si riporta l'incomprensibile vocabolo "
..", probabilmente
frutto di un errore materiale di battitura.
Non può condividersi la prospettazione del querelante nemmeno per ciò
che riguarda le frasi riportate al superiore punto 3) dell'esposizione del contenuto
della querela, nella quale si afferma che, in ogni caso, le frasi offensive
rivolte al legale della
nel testo del "Dossier"
sono chiaramente riferibili al
.., nominato quale autore della citazione
a giudizio da cui deriva la causa civile pendente al Tribunale di Oristano.
Infatti, nel corpo dell'intero "Dossier
." l'avvocato
. è citato una sola volta e non è agevolmente collegabile
al menzionato "sedicente avvocato" di cui si è detto più
sopra.
Il nome del
. viene infatti riportato in tutt'altro capitolo del
"Dossier" rispetto a quello contenente la frasi percepite come diffamatorie
contenute alle pagine 108 e 109 del documento.
Precisamente il nome del
. viene menzionato solo alla p. 80 degli
atti, nell'ambito del capitolo "Il dibattito e le intimidazioni",
che, tra l'altro, non sembra avere alcun link (collegamento immediato con altro
documento Internet) con il capitolo recante le frasi offensive, ed è
collocato in un contesto assolutamente non diffamatorio, in cui il legale è
citato solo come autore della citazione a giudizio di cui si dà notizia
nell'articolo, unitamente ad un altro esponente del Foro locale, avvocato
..,
che non ha presentato alcuna querela.
Quanto poi alle frasi asseritamente diffamatorie di cui al punto 2) sopra riportato
(cfr. p. 109 degli atti in cui si legge che <<(
) la società
.. non ha mai presentato alcuna denuncia penale contro
di noi, ma si è limitata, a scopo intimidatorio, a citarci civilmente
per un ridicolo risarcimento danni (degno del peggiore avvocato di provincia),
nella speranza di tapparci la bocca>>), si deve ancora una volta osservare
che la persona offesa della potenziale diffamazione non è il querelante
avvocato ma la stessa società
., soggetto
grammaticale della frase in esame, e attrice nella causa di risarcimento a cui
si riferisce l'articolo.
E' quindi evidente che il reato di diffamazione ascritto ai due imputati
..e
. non sussiste nei termini e modi indicati nell'imputazione, non
essendo rilevabili contenuti diffamatori in danno della querelante persona offesa
.
Di conseguenza, deve pronunciarsi sentenza di non luogo a procedere nei loro
confronti con coerente formula di rito.
In virtù di tale conclusione, si rende superfluo l'esame delle ulteriori
difese poste in essere dagli imputati, che hanno eccepito la tardività
della querela presentata e hanno negato la paternità dell'opera da parte
della
. per quanto riguarda i capitoli recanti i contenuti
ritenuti diffamatori.
P.Q.M.
ritenuto di dover procedere alla riqualificazione giuridica del fatto di cui all'imputazione, che, essendo esclusa l'applicabilità in via analogica degli articoli 1 e 13 L. 47/48, deve inquadrarsi come reato p. e p. dall'art. 595, 2° e 3° comma, c.p., visto l'art. 129 c.p.p. che impone l'obbligo di immediata declaratoria delle cause di non punibilità, dichiara non luogo a procedere nei confronti di e in ordine al reato ascritto perché il fatto non sussiste.
Oristano, 25 maggio 2000.
IL GIUDICE
Dott. Elisabetta TUVERI
Depositato in Cancelleria il 6.6.2000
*********
Diffamazione,
Internet e stampa: quando la legge non lascia comunque impuniti.
La
decisione annotata ha avuto una grande rilevanza sui media ed è stata
intesa come una vittoria per i sostenitori della piena libertà telematica.
In sostanza, si è detto, non è perseguibile (in sede penale)
la diffamazione diffusa mediante Internet.
Lo
"strillo", però, è del tutto infondato e ciò
è agevolmente verificabile leggendo la sentenza.
Ma
veniamo proprio alla disamina della decisione sarda, chiara e corretta nell'affrontare
la materia così irta di problemi giuridici e, in un certo senso, anche
"filosofici".
E'
sicuramente di grande interesse il dictum secondo il quale un "normale"
sito Internet[1]
non può essere considerato "stampa" o "stampato"
ai sensi della legge 47/48, in particolare riguardo alla definizione fissata
dall'art. 1. Ciò vale, quanto meno, per le applicazioni in campo penale.
La
più immediata conseguenza in sede processuale è stata la giusta
espunzione dai capi d'imputazione, dei riferimenti agli artt. 13 l. 47/48
e 30 l. 223/90[2].
L'impostazione
discende senza dubbio dalla ormai classica tesi di Vincenzo Zeno-Zencovich
il quale ha più volte sostenuto l'impossibilità di estendere
il regime della stampa alle pubblicazioni telematiche[3].
Oltre
al chiaro ed esclusivo riferimento alla "stampa" o allo "stampato",
categorie ove sarebbe assai arduo far rientrare le "pagine" Internet[4],
l'Autore ha acutamente fatto notare che se il legislatore del 1990 ha ritenuto
di dover appositamente estendere, all'etere, la legge sulla stampa non si
vede come ora, in via integrativa, si possa procedere ad un'applicazione riguardo
alla Rete. L'argomento teleologico è certamente convincente.
In
maniera del tutto simile, il Giudicante ha osservato che, per la giustizia
penale, l'ostacolo insormontabile è rappresentato dal noto divieto
di analogia (in malam partem) e che, oltre a ciò, non è
parimenti possibile procedere ad un'interpretazione anche soltanto estensiva
della legge sulla stampa (cfr. la giurisprudenza costituzionale e di legittimità
menzionata nella sentenza).
Ciò
vale sia per la stampa vera e propria, quanto per l'applicabilità (esclusa)
dell'art. 30 della legge 223/90, atteso che le "trasmissioni" ivi
considerate appaiono essere soltanto quelle radiofoniche e televisive.
Nessuna
aggravante speciale, dunque, né, in generale, regole penali riguardanti
la stampa. Si ricordino, tra gli altri aspetti, la speciale responsabilità
(peraltro oggettiva) delle persone elencate agli artt. 57 e 57 bis c.p.; la
solidarietà passiva, per il risarcimento del danno, del proprietario
e dell'editore (art. 11 l. 47/48); le forme di riparazione pecuniaria oltre
i limiti, ordinari, dell'art. 185 c.p. (art. 12 l. 47/48); l'ipotesi di stampa
clandestina (art. 16 l. 47/48 con le regole di cui all'art. 58 c.p.); le norme
processuali dettate dall'art. 58 bis c.p.; ecc.
D'altro
canto - e si tratta di un passaggio anche questo molto interessante sebbene
soltanto accennato - la sentenza contiene l'implicita esclusione di ogni responsabilità
in capo agli hosting provider (nel caso di specie Tripod e Geocities) che
ha trovato d'faccordo sia il P.M. che il G.U.P.[5]
Il
brano della sentenza è molto significativo: "[...] a prescindere
dal fatto che nel caso di specie non è contestata la responsabilità
del concessionario o del webmaster ma degli autori dell'opera dal contenuto
diffamatorio [...]". Considerazione ovvia e dovuta, proprio a cagione
dell'inapplicabilità degli artt. 57 e 57 bis c.p. il che, peraltro,
finisce per svelare il "mezzo passo" fatto dall'accusa nel calarsi
nell'àmbito della stampa.
Molto
verosimilmente, però, la soluzione adottata discende dall'illuminata
considerazione secondo la quale, relativamente alla stragrande maggioranza
dei siti Internet, sarebbe irragionevole pretendere quei controlli che, invece,
si richiedono per la carta[6]:
ad impossibilia nemo tenetur?
Ma
la vittoria dei "filotelematici" è, nostro malgrado, limitata
a questi aspetti, comunque non irrilevanti.
La
stessa sentenza afferma a chiare lettere che Internet rientra negli "altri
mezzi di pubblicità" cui si riferisce il terzo comma dell'art.
595 c.p. e che, pertanto, tale aggravante è applicabile all'universo
telematico.
Il
G.U.P., rettamente, non ha deciso sulle premesse "se la diffamazione
è reato soltanto qualora sia commesso a mezzo stampa e se Internet
non è stampa (in senso penalisico)" perché la premessa
maggiore sarebbe stata senza dubbio falsa ed avrebbe condotto all'altrettanto
falsa conclusione secondo la quale "ergo, la diffamazione a mezzo
Internet non è reato".
Le
premesse adeguate, infatti, sono state "se l'aggravante ex art.
13 l. 47/48 (estesa anche dall'art. 30 l. 223/90) è applicabile alla
sola stampa e se Internet non è stampa (in senso penalistico)".
La conclusione, dunque, non poteva che essere (soltanto) "ergo,
l'aggravante di specie non è applicabile alla diffamazione via Internet".
Da
ciò consegue che l'esclusione dello speciale regime della diffamazione
a mezzo stampa non comporta, automaticamente, il venir meno di altre responsabilità
(penali, nel nostro caso) in capo all'autore di un brano diffamatorio.
La
conferma viene dallo stesso Giudice il quale, pur procedendo alla prevedibile
riqualificazione giuridica del fatto, ha, però, ritenuto di dover andare
oltre, decidendo nel merito (vagliando in concreto il tenore dello scritto
e ritenendolo non penalmente rilevante) con un "non luogo a procedere
perché il fatto non sussiste"; percorso sicuramente corretto perché
se da un lato il predetto divieto di analogia è un cardine del nostro
ordinamento penale, l'impunità di fatti lesivi dell'altrui reputazione,
pur diffusi mediante un mezzo non inquadrabile nelle attuali categorie, potrebbe
lasciare nell'imbarazzo anche il più tollerante e garantista tra i
giuristi.
Quale
sarà, però, il regime proprio delle testate esclusivamente telematiche
registrate ai sensi dell'art. 5 della legge sulla stampa?[7].
Molti
ricorderanno il "caso Interlex", sicuramente rivoluzionario per
la legge della Rete considerato che la rivista fu la prima ad ottenere un
provvedimento ammissivo ex art. 5 l. 47/48[8].
Potrà, allora, la semplice iscrizione nel registro tenuto presso il
tribunale competente fondare il ricorso, in questi casi, alla legge sulla
stampa anche davanti al giudice penale?
Sotto
questo profilo, non deve confondere la discussione sugli aspetti civilistici
o del diritto amministrativo riguardanti la stampa. Il diritto italiano prevede
senza dubbio un doppio binario (appunto, civile e amministrativo da un lato,
penale dall'altro) che, tra gli altri aspetti, si realizza nella previsione
del divieto di analogia in malam partem riguardo alla legge penale.
La registrazione di testate esclusivamente telematiche è fatto amministrativo,
peraltro adottato in via analogica o estensiva (ove, specie nel caso concreto,
non coincidenti; cfr. infra) e non può influire, in assenza
di una specifica disciplina, sul regime penale delle stesse.
E'
pur vero che alla registrazione conseguono vantaggi rilevanti (economici e
fiscali), ma una specifica responsabilità penale non può fungere
come "compensazione" per tale favorevole situazione. Il divieto
di analogia resta, a prescindere da volontà personali e, soprattutto,
in assenza di espresse previsioni di legge.
Peraltro,
occorre ricordare che nella materia penale è consentito interpretare
in via anche soltanto estensiva (cosa che, molto disinvoltamente, fanno gli
Autori di civile e di amministrativo soprattutto se ciò può
giovare alle proprie teorie). Ma, come lascia intendere il G.U.P. di Oristano,
l'interprete penale deve essere sempre molto vigile affinché sotto
le spoglie, evidentemente "mentite", di questo strumento interpretativo,
non si nasconda, in realtà, un inaccettabile procedimento analogico.
[1] Come si vedrà nelle conclusioni, infatti, il regime penale delle testate telematiche registrate potrebbe essere diverso.
[2] L'art. 30 della legge 223/90 (la nota "legge Mammì" sull'emittenza radiotelevisiva) estende alle trasmissioni radiofoniche e televisive la disciplina dettata dall'art. 13 l. 47/48.
[3] Vincenzo Zeno-Zencovich, La pretesa estensione alla telematica del regime della stampa, presente sul Web nella rivista Beta, http://www.beta.it/edit/zencovich.html; su carta in AA.VV. a cura di Francesco Brugaletta e Francesco Maria Landolfi, Il Diritto nel Cyberspazio. Tendenze, testi e protagonisti nel Web giuridico italiano, Napoli, Ed. Simone, 1999, pagg. 61-74 già pubblicato su "Il diritto dell'informazione e dell'informatica", 1/98, Milano, Giuffrè.
[4] Contra, Manlio Cammarata, Regole vecchie per un mondo nuovo, in Interlex, http://www.interlex.it/tlc/vecchie.htm (proprio in aperta critica all'impostazione di Zeno-Zencovich); Marcello Bergonzi Perrone, La registrazione dei periodici on line. Una questione di interpretazione estensiva per un atto dovuto, in Interlex all'indirizzo http://www.interlex.it/tlc/perrone.htm.
[5] Tra i momenti bui della giustizia in materia di telematica, occorre di ricordare l'incredibile caso di Compuserve tedesca i cui legali rappresentanti, nel 1998, furono arrestati in relazione alla pubblicazione, sui propri server, ma ad opera di altri, di materiale pornografico ritraente minori.
[6] Ciò, almeno, vale per i siti Internet che "ontologicamente" e "finalisticamente" non posso essere assimilati alla stampa, vale a dire per quello che, pur presente sul Web, non potrà mai essere considerato "stampa telematica". Se, poi, esistono "direttori" che esercitano il controllo su periodici esclusivamente telematici, lo si deve a coerenza e professionalità, piuttosto che ad obblighi che discendono dalla legge penale. Per il nodo della responsabilità dei provider, anche con riferimenti alla disciplina tedesca, Sergio Seminara, La responabilità penale degli operatori su Internet, in Jus e Internet, http://www.jei.it/approfondimenti_giuridici/seminara.htm in linea anche circa l'inapplicabilità dei regime penale della stampa.
[7] Analisi da condurre a prescindere dalle discussioni circa obbligo, facoltà o impossibilità di registrazione che esulano dagli argomenti trattati in questo scritto. Sul tema, con conclusioni opposte: Vincenzo Zeno-Zencovich, op. cit.; Marcello Bergonzi Perrone, op. cit. Si veda, però, il ddl governativo il cui esito positivo comporterebbe sicuramente lfobbligo di registrazione per i periodici telematici. Il testo è consultabile su Azienda.lex, URL http://www.repubblica.it/azienda.lex/diritto/diritto000314_a_ddl/diritto000314_a_ddl.html.
[8] Lfordinanza del 6 novembre 1997 del Tribunale di Roma è pubblicata proprio su Interlex alla pagina http://www.interlex.it/testi/or061197.htm.