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Corte Costituzionale,
Sentenza 7 - 15 maggio 2001, n. 131

SENTENZA N. 131
ANNO 2001

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare RUPERTO Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO Giudice

- Massimo VARI "

- Riccardo CHIEPPA "

- Gustavo ZAGREBELSKY "

- Valerio ONIDA "

- Carlo MEZZANOTTE "

- Fernanda CONTRI "

- Guido NEPPI MODONA "

- Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Annibale MARINI "

- Franco BILE "

- Giovanni Maria FLICK "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, primo comma, lettera b), del d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237 (Leva e reclutamento obbligatorio nell’Esercito, nella Marina e nell’Aeronautica), e 8, ultimo comma, della legge 13 giugno 1912, n. 555 (Sulla cittadinanza italiana), promosso con ordinanza emessa il 7 aprile 2000 dalla Corte militare di appello nel procedimento penale a carico di A.P., iscritta al n. 361 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell’anno 2000.

Udito nella camera di consiglio del 7 febbraio 2001 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.

Ritenuto in fatto

La Corte militare di appello solleva, con ordinanza del 7 aprile 2000, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, primo comma, lettera b), del d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237 (Leva e reclutamento obbligatorio nell’Esercito, nella Marina e nell’Aeronautica), e dell’art. 8, ultimo comma, della legge 13 giugno 1912, n. 555 (Sulla cittadinanza italiana), per violazione degli artt. 3 e 10 della Costituzione, nella parte in cui non prevedono che siano esentati dagli obblighi di leva coloro che abbiano perduto la cittadinanza italiana a seguito dell’acquisto di quella di un altro Stato a norma dell’art. 8, primo comma, numero 1), della medesima legge n. 555 del 1912, indipendentemente dalla circostanza che in tale Stato siano tenuti o meno alla prestazione del servizio militare.

La questione è sollevata dal giudice militare nell’ambito di un procedimento di revisione, ai sensi degli artt. 630 e 633 cod. proc. pen., di due sentenze di condanna emesse dal Tribunale militare di Padova (rispettivamente, in data 31 maggio 1994 e 8 luglio 1998) nei confronti di un ex cittadino italiano - che dal 13 ottobre 1988 aveva acquistato la cittadinanza canadese, con perdita di quella italiana - per il reato di mancanza alla chiamata conseguente all’assenza dal servizio militare, relativamente ai periodi - rispettivamente - dal 22 gennaio 1985 al 31 maggio 1994, per la prima sentenza, e poi fino all’8 luglio 1998, per la seconda.

La Corte rimettente rileva che l’art. 22 della legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza), stabilisce, per coloro che, alla data di entrata in vigore della medesima legge n. 91, abbiano già perduto la cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 8 della precedente legge n. 555 del 1912, che cessi ogni obbligo militare; ma, osserva il giudice a quo, l’acquisto della cittadinanza straniera e la perdita di quella italiana avrebbero efficacia ai fini della loro incidenza sulle fattispecie penali di mancanza alla chiamata, che presuppongono l’obbligo della prestazione militare in conseguenza dello status di cittadino, solo a decorrere dal 15 ottobre [recte: agosto] 1992, data di entrata in vigore della nuova legge: pertanto non potrebbe dirsi esaurita, nel caso di specie, la rilevanza penale dell’assenza protratta dal momento iniziale di essa (22 gennaio 1985) al 15 agosto 1992, con conseguente inammissibilità della richiesta di revisione. Né, secondo il rimettente, possono ritenersi risolutive le pronunce (sentenze n. 974 del 1988 e n. 278 del 1992) con le quali la Corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità delle disposizioni censurate, nella parte in cui non prevedono l’esenzione dal servizio militare per coloro che hanno perduto la cittadinanza italiana a seguito dell’acquisto di quella di altro Stato "nel quale abbiano già prestato servizio militare" (sentenza n. 974) o "nel quale siano tenuti a prestare servizio militare" (sentenza n. 278), non emergendo dagli atti né che l’imputato abbia prestato servizio militare in Canada, né che sia tenuto a svolgerlo, non essendo previsto in quello Stato il servizio militare obbligatorio.

La questione, secondo il rimettente, è pertanto rilevante, in quanto la cessazione degli obblighi militari sin dal momento dell’acquisto della cittadinanza straniera (e della perdita di quella italiana) renderebbe applicabile nel caso concreto l’amnistia concessa con il d.P.R. 12 ottobre 1990, n. 75, e l’istanza di revisione, potendo condurre a una pronuncia di proscioglimento, dovrebbe essere considerata ammissibile.

In ordine alla non manifesta infondatezza della questione sollevata, questa emergerebbe chiaramente dalla motivazione della sentenza n. 278 del 1992, secondo la quale la normativa censurata non solo sarebbe anacronistica, ma si porrebbe in contrasto con la norma generale di diritto internazionale che obbliga gli Stati a non assoggettare a obblighi militari persone che siano – oramai - cittadini stranieri.

Inoltre, la prestazione del servizio militare nello Stato di origine si porrebbe in contrasto con l’obbligo di fedeltà che ogni cittadino ha nei confronti dello Stato di (attuale) appartenenza, senza che sia possibile una differenziazione in base al fatto che nello Stato del quale si acquista la cittadinanza sia previsto o meno il servizio militare obbligatorio, giacché tale differenziazione sarebbe ininfluente ai fini della possibile giustificazione della disciplina censurata. Del resto, la recente sentenza n. 172 del 1999 (che ha dichiarato infondata la questione di costituzionalità relativa alle norme che impongono anche agli apolidi, residenti in Italia, l’obbligo di prestare il servizio militare), secondo il rimettente, confermerebbe tali argomentazioni, in quanto incentrata sul legame concreto e attuale dell’apolide con la comunità nazionale: un legame che non sussiste invece per il soggetto che, già cittadino italiano, abbia successivamente acquistato la cittadinanza di altro Stato, e che deve pertanto essere considerato, a tutti gli effetti, come cittadino straniero.

Considerato in diritto

1. - La Corte militare di appello dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1, primo comma, lettera b), del d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237 (Leva e reclutamento obbligatorio nell’Esercito, nella Marina e nell’Aeronautica), e dell’art. 8, ultimo comma, della legge 13 giugno 1912, n. 555 (Sulla cittadinanza italiana). La prima delle disposizioni impugnate stabilisce che sono soggetti alla leva coloro che, sebbene abbiano perduto la cittadinanza italiana, sono rimasti obbligati al servizio militare a tenore delle leggi vigenti in materia di cittadinanza; dalla seconda delle disposizioni impugnate (ora abrogata) risulta[va] che il cittadino italiano che spontaneamente acquistasse una cittadinanza straniera e avesse stabilito o stabilisse all’estero la propria residenza perdeva la cittadinanza italiana [art. 8, primo comma, numero 1), della legge n. 555 del 1912] ma che (art. 8 medesimo, ultimo comma) la perdita della cittadinanza in questo caso non esimeva dagli obblighi del servizio militare.

L’avvenuta modificazione intervenuta nella normativa richiamata richiede che sia precisata preliminarmente la portata della questione di cui questa Corte si trova a essere investita. L’abrogazione della legge sulla cittadinanza del 1912 disposta dall’art. 26, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza), e quindi anche l’abrogazione del citato art. 8, senza che la nuova legge stabilisca a sua volta caso alcuno di obblighi militari permanenti a carico di coloro che perdano la cittadinanza italiana, comporta che il rinvio operato dall’art. 1, primo comma, lettera b), del d.P.R. n. 237 del 1964 ai casi previsti dalle "leggi vigenti in materia di cittadinanza" in cui la perdita della cittadinanza lasci sussistere l’obbligo militare sia attualmente privo di oggetto: alla stregua della legislazione vigente, perdita della cittadinanza significa perciò eliminazione dell’obbligo militare. Quanto alle situazioni determinatesi anteriormente, l’art. 22 della legge sulla cittadinanza del 1992 - norma intertemporale dettata per accordare il precedente regime al nuovo – ha previsto che, per coloro i quali, alla data di entrata in vigore della legge stessa, avessero già perduto la cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 8 della legge sulla cittadinanza del 1912, cessi ogni obbligo militare. Data la sua inequivoca formulazione, la disposizione citata vale esclusivamente pro futuro, ma non elimina retroattivamente la soggezione all’obbligo militare, per il periodo anteriore all’entrata in vigore della nuova legge (15 agosto 1992), di quanti avessero perduto la cittadinanza anteriormente a quella data, sotto la vigenza delle disposizioni relativamente alle quali è stata sollevata la presente questione di costituzionalità. La vicenda che ha dato luogo al giudizio presso la Corte militare d’appello (parzialmente) cade per l’appunto – secondo quanto ricordato nella esposizione dei fatti – sotto la previsione della perdurante esistenza dell’obbligo militare. La questione che questa Corte si trova quindi a esaminare riguarda esclusivamente la limitata ipotesi della persistenza degli obblighi militari nel periodo anteriore all’entrata in vigore della legge n. 91 del 1992, obblighi gravanti su chi avesse perso la cittadinanza italiana; mentre in tutti gli altri casi – i casi cioè della perdita della cittadinanza italiana successivamente all’entrata in vigore di tale legge, ovvero della perdita anteriore, con riguardo al periodo successivo a tale data – il legislatore stesso ha già previsto il venire meno dell’obbligo militare.

Data questa situazione normativa, il giudice rimettente ritiene che la previsione dell’esistenza, per il periodo anteriore all’entrata in vigore della legge n. 91 del 1992, degli obblighi di leva a carico di coloro i quali abbiano perduto la cittadinanza italiana a seguito dell’acquisto di quella di altro Stato nel quale non siano tenuti a prestare il servizio militare, violi l’art. 3 e l’art. 10, primo comma, della Costituzione: l’art. 3, in quanto essa determinerebbe una disparità di trattamento tra coloro che hanno perduto la cittadinanza italiana in favore di quella di uno Stato nel quale sono tenuti a prestare il servizio militare – soggetti esentati dal prestare il servizio militare in Italia (sentenza n. 278 del 1992) – e coloro i quali, come nel caso oggetto del giudizio della Corte militare, hanno perduto la cittadinanza italiana per acquistare quella di uno Stato nel quale non è previsto il servizio militare obbligatorio - soggetti non esentati -; l’art. 10, primo comma, in quanto la disciplina censurata si porrebbe in contrasto con la norma del diritto internazionale generalmente riconosciuta, richiamata dalla disposizione costituzionale invocata, che vieta agli Stati di assoggettare agli obblighi militari i cittadini di altri Stati.

2. - La questione è fondata in riferimento all’art. 10 della Costituzione.

3. - Questa Corte, dopo aver riconosciuto (con la sentenza n. 974 del 1988) l’illegittimità costituzionale della sottoposizione agli obblighi di leva di chi abbia perduto la cittadinanza italiana a seguito dell’acquisto di quella di altro Stato nel quale abbia già prestato il servizio militare, con la sentenza n. 278 del 1992 ha esteso tale illegittimità al caso in cui il soggetto, che aveva perduto la cittadinanza italiana, fosse divenuto cittadino di uno Stato nel quale fosse tenuto a prestare il servizio militare. In tali casi, si trattava di ipotesi, reali o potenziali, di doppia imposizione dei doveri militari nei confronti di chi avesse perso la cittadinanza italiana, avendone acquisita una di altro Stato. Nel caso ora all’esame, invece, la questione sollevata riguarda l’ipotesi di un’unica imposizione degli obblighi militari da parte dell’ordinamento italiano, in quanto il soggetto già cittadino italiano sia divenuto cittadino di uno Stato in cui non esiste il servizio militare obbligatorio.

Nei precedenti ricordati, la decisione di incostituzionalità è stata affermata in base al doppio argomento, variamente intrecciato, dell’irragionevolezza della legge e dell’esistenza di norme di diritto internazionale che, oltre a perseguire l’obbiettivo della riduzione dei casi di doppia cittadinanza, escludono la doppia imposizione dell’obbligo militare. Ma, nella sentenza n. 278 del 1992 citata, questa Corte ha riconosciuto l’esistenza di una norma del diritto internazionale generalmente riconosciuta che, indipendentemente dall’esistenza di una doppia imposizione, vincola gli Stati a non assoggettare a obblighi militari i cittadini di altri Stati (sul diverso caso degli apolidi, invece, v. la sentenza n. 172 del 1999) e ha concluso che, in conseguenza del principio di conformazione dell’ordinamento giuridico italiano alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, principio sancito dall’art. 10, primo comma, della Costituzione, una normativa che imponesse loro il servizio militare sarebbe incostituzionale.

Sebbene questa affermazione di principio abbia portata generale, in quella circostanza la declaratoria d’incostituzionalità delle disposizioni allora, come ora, sottoposte al controllo di costituzionalità fu circoscritta al solo caso dell’imposizione dell’obbligo militare a coloro che avessero perduto la cittadinanza italiana a seguito dell’acquisto di quella di altro Stato nel quale fossero tenuti a prestare il servizio militare. Ciò in ragione della formulazione della questione alla stregua della rilevanza ch’essa assumeva nel giudizio dal quale veniva proposta. Ma la medesima affermazione di principio, della quale deve confermarsi la validità, nella presente circostanza conduce all’accoglimento della questione con riferimento a tutti i soggetti, già cittadini italiani, che abbiano perduta l’originaria cittadinanza per averne acquisita una di altro Stato a norma dell’art. 8, primo comma, numero 1), della legge n. 555 del 1912, indipendentemente dal fatto che essi, secondo la legislazione di quest’ultimo Stato, siano o non siano tenuti alla prestazione del servizio militare.

4. - Nell’accoglimento della questione di costituzionalità sulla base dell’evocato art. 10, primo comma, della Costituzione, si intende assorbita la censura prospettata in riferimento all’art. 3 della Costituzione.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, primo comma, lettera b), del d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237 (Leva e reclutamento obbligatorio nell’Esercito, nella Marina e nell’Aeronautica), e 8, ultimo comma, della legge 13 giugno 1912, n. 555 (Sulla cittadinanza italiana), nella parte in cui non prevedono che siano esentati dagli obblighi di leva coloro che abbiano perduto la cittadinanza italiana a seguito dell’acquisto di quella di altro Stato, a norma dell’art. 8, primo comma, numero 1), della legge n. 555 del 1912.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in Cancelleria il 15 maggio 2001.

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