Corte
di Cassazione, Sezione III Penale,
Sentenza 28 giugno - 19 settembre 2001, 2408 - (33896)
R.G. 50300/2000
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.:
Dott. Alfonso
MALINCONICO - Presidente
Dott. Giuseppe SAVIGNANO - Consigliere
Dott. Guido DE MAIO - "
Dott. Alfredo TERESI - "
Dott. Aldo FIALE - " Relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da F. R.
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso,
Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere dr. Aldo FIALE
avverso la sentenza
23.10.2000 della Corte di Appello di Reggio Calabria
Udito il Pubblico Ministero in persona del dr. Antonio Gennaio ABBATE
che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito
il difensore, avv. Raffaele FIORESTA, il quale ha concluso chiedendo l'accoglimento
del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con
sentenza 23.10.2000 la Corte di Appello di Reggio Calabria, in parziale riforma
della sentenza 9.2.1999 del Pretore di Locri, ribadiva l'affermazione della
penale responsabilità di F. R. in ordine al reato di cui:
-- all'art. 171 bis legge n. 633/1941 [per avere, quale titolare di impresa
individuale esercente il commercio di prodotti elettronici, detenuto a scopo
commerciale, sapendo che si trattava dì copie non autorizzate, programmi
per elaboratori (esclusi alcuni programmi MS DOS, risultati regolari, in relazione
ai quali veniva pronunziata assoluzione per insussistenza del fatto) illecitamente
riprodotti e quindi privi di licenza d'uso - acc. in L., il 6.4.1995] e, con
le riconosciute circostanze attenuanti generiche, determinava la pena principale
in mesi due di reclusione e lire 400.000 di multa, confermando le pene accessorie
e la confisca.
Avverso
tale sentenza ha proposto ricorso il F., il quale ha eccepito:
a) L'erronea interpretazione ed applicazione dell'art. 171 bis della legge
n. 63311941, che sanziona penalmente (tra 1' altro) "la detenzione a
scopo commerciale, per fini di lucro, di copie abusivamente duplicate di progammi
per elaboratori, da parte di chiunque sappia o abbia motivo di sapere che
si tratta di copie non autorizzate". Secondo la prospettazione del ricorrente,
la dizione legislativa "detenzione a scopo commerciale" equivarrebbe
a "detenzione finalizzata al commercio, cioè alla vendita"
e ciò si dedurrebbe anche dalla necessità dello scopo di lucro,
"impossibile nel semplice utilizzo privato o nell'ambito dell'impresa,
che al massimo può comportare un fine di trarne profitto". La
norma incriminatrice, in sostanza, non sanzionerebbe la "utilizzazione
nell'impresa commerciale" dei progammi abusivamente duplicati (condotta
da lui tenuta in concreto), ma la detenzione dei progammi medesimi per la
vendita, la messa in vendita di essi ed ogni altra forma di messa in commercio.
Solo recentemente l'art. 13 della legge n. 248/2000, sostituendo il precedente
testo dell'art. 171 bis della legge n. 633/1941, avrebbe esteso l'ambito di
applicazione della tutela penale, sostituendo al "fine di lucro":il
"fine di trarne profitto" e sanzionando la "detenzione a scopo
imprenditoriale", che prima invece sarebbe stata irrilevante ai fini
penali.
b) La inadeguata valutazione, da parte dei giudici del merito, della propria
impossibilità di essere consapevole di utilizzare copie non autorizzate
di programmi per elaboratore, in quanto molti di quei programmi erano di libero
commercio.
c) Violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione quanto
all'affermato principio (di inammissibile inversione dell'onere della prova)
secondo il quale sarebbe spettato ad esso imputato dimostrare l'avvenuta installazione
dei programmi abusivi in epoca anteriore al 1992 (all'entrata in vigore, cioè,
della norma incriminatrice applicata).
d) Contraddittorietà della motivazione, essendo stato egli assolto
per gli unici programmi successivi al 1992, tutti muniti di regolare licenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere rigettato, poiché infondato.
1.
Appare opportuno premettere, in punto di fatto, per consentire una corretta
comprensione della vicenda, che nell'azienda dell'imputato - titolare di un
esercizio commerciale di prodotti elettronici - la Guardia di Finanza rinvenne
copie non autorizzate di programmi per elaboratore, non detenute per la vendita
ma utilizzate per gestire 9 sistema informatico dell'organizzazione interna.
I giudici del merito hanno ricondotto la fattispecie alla previsione del 1°
comma dell'art. 171 bis della legge 22.4.1941, n. 633 [aggiunto dall'art.
10 dei D.Lgs. 29.12.1992, n. 518), che - fino alle
modifiche apportate dalla legge 18.8.2000, n. 248 - puniva "chiunque
abusivamente duplica, a fini di lucro, programmi per elaboratore o, ai medesimi
fini e sapendo o avendo motivo di sapere che si tratta di copie non autorizzate,
importa, distribuisce, vende, detiene a scopo commerciale o concede in locazione
i medesimi programmi".
Secondo gli stessi giudici, invero, il concetto di "detenzione a scopo
commerciale" deve ritenersi riferito ad un uso commerciale generico,
ricomprendente anche la condotta di chi adoperi comunque i programmi in oggetto
nella propria organizzazione aziendale, facendone elementi essenziali dell'azienda
medesima.
Detta interpretazione della norma incriminatrice viene contestata dal ricorrente
con le argomentazioni dianzi compendiate.
2.
L'esame della questione in oggetto deve prendere l'avvio dalla direttiva comunitaria
911250/CEE del 14 maggio 1991 (relativa alla tutela giuridica dei programmi
per elaboratore) che, nella versione in lingua inglese, con riferimento alla
detenzione abusiva dei programmi di software, demanda alle legislazioni degli
Stati membri l'adozione di "appropriate misure" (al di là
di quelle civilistiche sulla tutela del diritto di autore) anche in relazione
ai casi di "possession for commercial purposes''.
Il sostantivo "purpose" viene generalmente tradotto nella nostra
lingua come "scopo, fine, intenzione, risultato, efetto, funzione"
e la traduzione italiana della direttiva comunitaria riporta il lemma in oggetto
con l'espressione "detenzione per scopo commerciale" (art. 7, lett.
b, in Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee del 17 maggio 1991).
Nella legge 19.12.1992, n. 489 (delega al Governo per l'attuazione della direttiva
comunitaria 91/250), all'art. 7, viene utilizzata l'espressione "detenzione
per la commercializzazione".
L'art. 10 del D.Lgs. 29.12.1992, n. 518 (norma attuativa della delega anzidetta,
che ha introdotto l'art. 171 bis della legge n. 633/1941, inserendo i programmi
per elaboratore nella categoria delle opere protette ai sensi della Convenzione
di Berna, ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 20.6.1978, n.
399) ha correlato la sanzione penale - oltre che alla "abusiva duplicazione
a fini di lucro" - alle condotte ulteriori di chiunque "importa,
distribuisce, vende, detiene a scopo commerciale, o concede in locazione i
medesimi programmi", ove il riferimento alla "detenzione a scopo
commerciale" mutua la formulazione utilizzata nella traduzione ufficiale
della direttiva comunitaria.
A fronte
di tale non concorde terminologia, é stata ipotizzata, in dottrina,
la possibilità di ravvisare una insanabile divergenza tra la legge
di delega ed il decreto delegato, il che potrebbe comportare la configurabilità
di una questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 del D.Lgs.
n. 518/1992, per eccesso di delega.
A giudizio di questo Collegio, però, una prospettazione siffatta non
può essere condivisa allorché si consideri che il recepimento
della direttiva comunitaria impone di interpretare le norme nazionali alla
luce dei principi espressi dalla direttiva medesima, quali princìpi
di diritto sopranazionale.
Deve ritenersi, pertanto, che la divergenza terminologica evidenziata non
comporta una divergenza sostanziale e che le due nozioni (di "detenere
a scopo commerciale" e "detenere per la commercializzazione")
sono sostanzialmente omologhe e ricomprendono entrambe anche le fattispecie
di detenzione per un "uso interno" nell'ambito di una attività
imprenditoriale caratterizzata da uno scopo commerciale, purché tale
attività imprenditoriale sia favorita dall'utilizzo del programma con
la consapevole finalità (dolo specifico) di servirsi di copie non autorizzate
per percepire un vantaggio di tipo patrimoniale consistente nell'immediato
risparmio sul relativo costo di acquisto.
Per
"scopo commerciale", va intesa - dunque - ogni attività riconducibile
alla nozione di "impresa commerciale", quale elaborata dalla dottrina
alla stregua della definizione posta dall'art. 2195 del codice civile.
Deve altresì evidenziarsi, in proposito, che l'art. 171 bis della legge
n. 633/1941, volendo fare esplicito riferimento - tra la pluralità
delle condotte incriminate -- all'attività di "stessa in commercio"
di programmi per elaboratori non autorizzati, ha utilizzato l'espressione
più tecnica "vende", sicché l'incriminazione della
"detenzione a scopo commerciale" dei programmi medesimi si pone
ad evidenza. quale divieto di una condotta ulteriore rispetto alla vendita.
Sarebbe improprio considerare tale condotta non quale illecito ulteriore ma
quale mera specificazione della punibilità di fattispecie di tentativo
di vendita, poiché, vertendosi in ipotesi di delitto, il tentativo
è comunque ipotizzabile (ove ne ricorrano i presupposti) e non sarebbe
razionale individuate la volontà legislativa di procedere ad una specificazione
siffatta esclusivamente per i comportamenti di vendita e non anche per quelli
(egualmente illeciti) di importazione, distribuzione e concessione in locazione
dei programmi.
Né
alla ricostruzione anzidetta si oppongono ragioni ostative riconducibili alla
necessaria sussistenza dello "scopo di lucro".
E' vero, infatti, che tale nozione è, senza dubbio, più specifica
e ristretta di quella di "scopo di profitto"; essa, però,
può comunque riguardare qualsiasi vantaggio di tipo patrimoniale, escluse
le ipotesi in cui il vantaggio si concreta in semplice tornaconto generico,
utile per l'agente, ma non avente profili pecuniari o patrimoniali (il termine
"profitto", invero, viene lessicalmente definito come "giovamento,
vantaggio, beneficio, sia pratico, sia intellettuale o morale").
3.
L'art. 171 bis è stato modificato dall'art. 13 della legge 18.8.2000,
n. 248 e la condotta ascritta al F. è tuttora prevista (e punita con
pena più grave, sicché l'applicazione della norma precedente
si impone ai sensi dell'art. 2, 3° comma, col. pen.) dal 1° comma
della nuova formulazione normativa, che punisce "chiunque abusivamente
duplica, per trarne profitto, programmi per elaboratore o, ai medesimi fini,
importa, distribuisce, vender detiene a scopo commerciale o imprenditoriale
o concede in locazione programmi contenuti in supporti non contrassegnati
dalla Società italiana degli autori ed editori (SIAE)".
Tale nuova formulazione della norma non si limita ad innalzate i limiti edittali
della pena, ma:
-- conferisce una più significativa valenza alla presenza sui supporti
del contrassegno SIAE, laddove nella precedente formulazione lo svolgimento
delle attività illecite riferito ai supporti previamente contrassegnati
dalla SIAE costituiva solo circostanza aggravante (era previsto, infatti,
un aumento di pena se il programma oggetto dell'abusiva duplicazione, importazione,
distribuzione, vendita, detenzione a scopo commerciale o locazione fosse stato
precedentemente distribuito, venduto o concesso in locazione su supporti contrassegnati
dalla SIAE);
-- elimina l'inciso secondo il quale l'agente doveva sapere o avere motivo
di sapere che si trattasse dì copie non autorizzate, che implicava
una più articolata ricognizione dell'elemento psicologico del reato;
-- fa espresso riferimento allo "scopo di profitto" (non più
allo "scopo di lucro"), eliminando ogni questione interpretativa
correlata ad ipotesi di vantaggio non immediatamente patrimoniale;
-- sostituisce alla nozione di "detenzione per scapo commerciale"
quella di "detenzione per scopo commerciale o imprenditoriale".
In
relazione a quest'ultima innovazione, deve ritenersi, in particolare - alla
stregua delle argomentazioni svolte dianzi - che non vi si sia stato un ampliamento
della tutela penale, ma soltanto una specificazione di corretto recepimento
della direttiva comunitaria, rivolta ad evitare le questioni di ermeneutica
già evidenziate. Il legislatore nazionale, in sostanza, non ha inteso
sanzionare ulteriori condotte, ma ha soltanto chiarito la delimitazione dell'ambito
della tutela già apprestata dal D.Lgs. n. 518 del 1992.
4.
L'eccezione secondo la quale "molti dei programmi" (carenti di autorizzazione)
sarebbero stati "in libero commercio" costituisce censura in punto
di fatto, non proponibile in sede di legittimità ed esaurientemente
esaminata dai giudici del merito alla stregua della relazione di consulenza
tecnica redatta dal dr. G.
La sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, invece, non costituiva
oggetto di specifica doglianza nei motivi di appello.
Legittimamente, infine, la Corte territoriale ha affermato che si pone a carico
dell'imputato, l'onere di allegazione di fatti e circostanze escludenti la
punibilità di una condotta realizzante, all'epoca dell'accertamento,
in tutti i suoi elementi positivi, la fattispecie criminosa contestata (vedi
Cass., Sez. IV, 23.11.1987, n. 11810): onere di allegazione cui, nella specie,
l'imputato non risulta avere ottemperato, omettendo di indicare elementi specifici
idonei alla dimostrazione dell'assunto secondo il quale l'installazione dei
programmi abusivi sarebbe avvenuta in epoca anteriore all'entrata in vigore
della norma incriminatrice applicata.
5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
la
Cotte Suprema di Cassazione,
visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p.,
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
ROMA, 28.6.2001
Depositata in cancelleria
19 settembre 2001