Francesco Parenti, Il delitto di calunnia e la possibilità di inizio di un procedimento penale

Il reato di calunnia, previsto e punito dagli artt. 368 e 370 c.p., si verifica ogni qual volta “chiunque, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’Autorità giudiziaria o ad un’altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato”. La ratio sottesa alla disposizione citata va ravvisata nella necessità di tutelare l’interesse a non instaurare processi penali contro un innocente, evitando così il pericolo di ledere l’onore, ed eventualmente la libertà personale del cittadino incolpevole, nonché nella necessità di evitare il pericolo che l’amministrazione della giustizia sia tratta in inganno e fuorviata [1] . Pertanto, soggetti passivi del reato in oggetto sono sia la singola persona falsamente incolpata, sia, soprattutto, lo Stato, al quale spetta di garantire la repressione penale dei colpevoli [2] : infatti, il legislatore, a dimostrazione che l’interesse considerato prevalente è quello relativo alla tutela dell’attività giudiziaria, ha collocato il delitto di calunnia nel Titolo III del secondo Libro del Codice penale, intitolato “Dei delitti contro l’amministrazione della giustizia”. Certo, è vero che il Codice penale presenta taluni aspetti anacronistici [3] e che non necessariamente l’interpretazione sistematica consente di individuare immediatamente, tra i vari interessi che la norma penale tutela, quello prevalente, ma questo non è il caso del reato di calunnia: la dottrina e la giurisprudenza sostengono la prevalenza dell’interesse al corretto funzionamento della giustizia rispetto a quello di evitare il pericolo di un’incolpazione per un fatto costituente reato a carico di un innocente [4] . Vi è tuttavia una dottrina minoritaria che ritiene la calunnia un reato monoffensivo, individuando quale unico interesse tutelato ora quello al corretto funzionamento dell’amministrazione della giustizia [5] , ora quello della persona falsamente incolpata [6] .

Per quanto attiene più propriamente all’elemento oggettivo del delitto in questione, occorre rilevare che il reato presupposto non incontra alcun limite circa la sua natura purché sia previsto dalla legge come tale ed abbia tutti i requisiti necessari per integrare un illecito penale. Non è pertanto sufficiente che il fatto corrisponda ad una fattispecie oggettiva, occorrendo altresì l’assenza di cause di giustificazione ed il concorso, a seconda delle ipotesi, del dolo e della colpa. Quindi, non sussiste il reato di calunnia quando si comunichi all’autorità giudiziaria che taluno ha ucciso per legittima difesa o in stato di necessità o per caso fortuito [7] : in tal caso si informerebbe l’autorità di un non-reato, dal momento che la prospettata presenza di una scriminante (elemento negativo della fattispecie) esclude in radice la rilevanza penale dell’addebito [8] . Viceversa, sussiste il reato in parola quando taluno accusa un altro di un reato tacendone però una causa di giustificazione [9] .

Quanto alle cause soggettive di esclusione della pena inerenti alla persona dell’incolpato, la dottrina e la giurisprudenza sono concordi nell’escludere il reato di calunnia qualora l’incolpato sia un soggetto immune per ragioni politiche (Sommo Pontefice, Presidente della Repubblica) [10] o se lo stesso sia non punibile per effetto di una qualità personale (ad esempio, il congiunto autore di un reato contro il patrimonio nelle ipotesi contemplate dall’art. 649 c.p.) o se sia non imputabile per età [11] o infermità di mente [12] . La dottrina prevalente [13] si è presto discostata dall’autorevole tesi che sosteneva che attribuire falsamente un reato ad una persona non imputabile o non punibile per qualità personali era dal punto di vista sociale assai deplorevole e che pertanto non vi era ragione plausibile per non ravvisarsi l’ipotesi di calunnia [14] . Infine, altri autori [15] , prendendo come riferimento la possibilità di inizio di un procedimento penale, affermano che il reato di calunnia non è escluso tutte le volte in cui tale procedimento sia possibile perché la causa di non punibilità (ad esempio, l’infermità di mente) esige un accertamento processuale.

Sebbene inoltre l’art. 368 c.p., contrariamente all’art. 367 c.p. relativo alla simulazione di reato, non richieda espressamente che a seguito della falsa incolpazione sorga la possibilità di un procedimento penale, la dottrina più accreditata e la giurisprudenza ritengono che la calunnia, essendo un reato di pericolo, si realizzi allorché esista la possibilità che venga iniziato il procedimento per accertare la sussistenza del reato incolpato [16] . Tuttavia, nonostante si affermi che la calunnia sia reato di pericolo nel senso che non occorre l’effettiva instaurazione di un procedimento penale a carico dell’incolpato per aversi l’offesa al bene protetto, essendo invece sufficiente che la condotta dell’agente appaia ex ante astrattamente idonea a provocare l’intervento dell’autorità giudiziaria sul fatto denunciato, è frequente nella prassi giurisprudenziale degli ultimi anni che del delitto di calunnia si controverta in giudizio solo dopo che sia effettivamente aperto un procedimento penale per il reato presupposto [17] .

Recentemente la Suprema Corte (sentenza Marchetti) [18] ha consentito di superare almeno in parte un indirizzo giurisprudenziale non più condivisibile. Premesso che la calunnia è un reato di pericolo, la Cassazione ha affermato che per la sussistenza del reato in esame è sufficiente sul piano oggettivo un’astratta possibilità di dare corso ad un procedimento penale a carico del soggetto incolpato, possibilità che verrebbe invece esclusa nell’ipotesi in cui la falsa accusa abbia per oggetto fatti manifestamente ed a prima vista inverosimili, cosicché l’accertamento della sua infondatezza non abbia bisogno di alcuna indagine. Quanto a quest’ultima ipotesi, la Cassazione ha recepito quell’orientamento dominante nella giurisprudenza di merito [19] che distingue nettamente il caso di un’accusa astrattamente idonea a determinare l’avvio di un’attività giudiziaria a carico del soggetto accusato, dal caso di attribuzione di un reato secondo modalità ictu oculi assurde, soltanto per le quali si può parlare di reato impossibile ex art. 49 c.p.(si pensi, ad esempio, all’ipotesi di un soggetto che accusi una persona di aver rubato la Torre di Pisa). Inoltre, come si legge nella medesima pronuncia, la calunniosità di un’affermazione deve essere valutata con un giudizio ex ante cioè con riguardo al momento in cui essa viene formulata, e non già con un giudizio ex post, non potendo la natura calunniosa di una dichiarazione dipendere dalle conseguenze più o meno dannose dalla stessa derivanti. Al riguardo la dottrina [20] ha affermato che alla luce del combinato disposto degli artt. 1 e 49 comma 2 c.p. non si può aprioristicamente escludere che accanto alle ipotesi di affermazioni ictu oculi assurde se ne collochino altre in cui all’interprete sia dato di riscontrare o l’assoluta difformità del fatto storico rispetto al tipo normativo descritto nell’art. 368 c.p., ovvero la totale carenza di contenuto offensivo nel comportamento del calunniatore. Va inoltre precisato che l’omessa indicazione degli elementi ulteriori idonei a suffragare la falsa accusa mossa agli incolpati nominativamente indicati non rende la falsa incolpazione né assurda né inverosimile e non esclude, quindi, l’oggettiva idoneità della denuncia a determinare indagini da parte dell’autorità giudiziaria. Il giudice, infatti, deve accertare l’idoneità della falsa denuncia a determinare eventuali indagini da parte dell’autorità giudiziaria secondo criteri oggettivi, non tenendo conto delle circostanze preesistenti o posteriormente emerse che possono contraddire il contenuto della denuncia stessa [21] .

La sentenza della Suprema Corte poc’anzi menzionata chiarisce che l’astratta possibilità dell’inizio di un procedimento penale a carico della persona falsamente incolpata ricorre anche qualora il reato oggetto di falsa incolpazione sia improcedibile, ma l’accertamento dell’improcedibilità richieda comunque un’attività di indagine più o meno compessa. Le conclusioni a cui perviene la Cassazione devono essere inquadrate nel contesto del precedente orientamento giurisprudenziale, secondo il quale non sussisteva il delitto di calunnia qualora il reato presupposto era perseguibile a querela e questa non era stata presentata: infatti, il pregiudizio per gli interessi tutelati dalla norma penale non si sarebbe mai verificato in difetto della condizione di procedibilità, poiché da una parte l’incolpato non si sarebbe trovato esposto ad alcun rischio, stante il difetto della querela, e dall’altra l’organo inquirente non avrebbe potuto svolgere indagini o comunque mettere in moto la macchina della giustizia indirizzandola in una direzione infruttuosa e falsata [22] . Inoltre, sempre secondo il tradizionale orientamento della giurisprudenza, il reato di calunnia sarebbe invece esistito quando una querela proposta venisse in seguito rimessa; affermava infatti la Cassazione che per integrare il reato di calunnia occorreva “la possibilità che l’autorità giudiziaria dia inizio al procedimento per accertare il reato incolpato con danno per il normale funzionamento della giustizia. Ne consegue che il delitto deve escludersi soltanto quando il reato incolpato sia perseguibile a querela e questa non sia stata presentata” [23] .

Con la sentenza Marchetti la Suprema Corte ha esposto una serie di argomentazioni che hanno minato l’impianto logico sotteso alla ricostruzione effettuata dall’orientamento tradizionale. Infatti, -si chiede la Corte- come è possibile escludere la messa in pericolo dell’interesse al corretto funzionamento dell’amministrazione della giustizia nei casi in cui una querela venga valutata tardiva all’esito di un lungo dibattimento o addirittura in più gradi di giudizio? Inoltre, una denuncia potrebbe porre all’organo inquirente seri dubbi in punto di qualificazione giuridica [24] con la conseguenza che il pubblico ministero dovrebbe comunque svolgere puntuali accertamenti per chiarire preliminarmente quale reato si debba contestare, per poi in ipotesi scoprire il difetto di una condizione di procedibilità.

Parte della dottrina ha tuttavia sottolineato come anche questa interpretazione, pur discostandosi dall’orientamento tradizionale, possa condurre a risultati inaccettabili sia dal punto di vista della giustizia sostanziale che da quello dei principi costituzionali di tassatività della fattispecie incriminatrice e dell’obbligatorietà dell’azione penale [25] . La Cassazione, infatti, ha affermato che l’interesse al corretto funzionamento della giustizia potrebbe venir compromesso anche quando si sia comunque avuto un dibattimento faticoso all’esito del quale sia risultata la tardività della presentazione della querela o, comunque, si siano avute delle indagini puntuali che abbiano condotto ad individuare che il reato da contestare è procedibile a querela e che questa non è stata presentata. Tuttavia, ogni attività istruttoria, sia in giudizio che durante la fase delle indagini preliminari, è solo eventuale: non è infatti sostanzialmente possibile dare un contenuto prefissato alle scelte del rappresentante della pubblica accusa nella gestione di un procedimento penale o nell’impostazione di un dibattimento. Che un processo sia lungo o complicato non dipende necessariamente dal dato normativo ma dalle iniziative delle parti. Nessuna fattispecie concreta di reato è tale da determinare gli organi inquirenti in una direzione piuttosto che in un’altra e pertanto, è ben possibile ad esempio che un’identica situazione fattuale determini un pubblico ministero a procedere sin dall’inizio per il reato di minaccia semplice, con conseguente richiesta di archiviazione al giudice delle indagini preliminari per difetto di querela, mentre determini invece un altro pubblico ministero a procedere ad indagini per capire invece se il fatto sia sussumibile nella fattispecie della violenza privata. Pertanto, secondo l’interpretazione fornita dalla Cassazione, solamente in quest’ultima ipotesi si sarebbe in presenza di un potenziale reato di calunnia, perché nella prima ipotesi le indagini necessarie per accertare l’improcedibilità o meno del reato oggetto di falsa incolpazione non sono state complesse. La ricostruzione effettuata dal giudice delle leggi stride quindi con i citati principi costituzionali di tassatività e di obbligatorietà dell’azione penale, a maggior ragione per il fatto che la disparità di situazione dell’esempio dipende non da un fatto riconducibile all’autore della delazione ma dall’intuito o dalla superficialità del singolo pubblico ministero. L’equivoco sta proprio nell’aver ribadito che sussiste il reato di calunnia quando la falsa incolpazione riguardi un delitto non procedibile ex officio, solo a condizione che venga presentata rituale querela in ordine a quel reato.

Tuttavia, il vigente quadro normativo offre la soluzione al problema. Posto infatti che la calunnia è un reato di pericolo e che quindi per la sua consumazione è sufficiente il potenziale pregiudizio al corretto funzionamento della macchina della giustizia, occorre stabilire se il rappresentante della pubblica accusa, informato di un reato procedibile a querela, possa o meno compiere accertamenti prima di ricevere l’istanza punitiva. Ai sensi dell’art. 346 c.p.p., rubricato “atti compiuti in mancanza di una condizione di procedibilità”, l’organo inquirente può compiere gli atti di indagine preliminare necessari ad assicurare le fonti di prova e, nell’ipotesi che vi sia pericolo nel ritardo, può provvedere all’assunzione delle prove previste dalla disciplina dell’incidente probatorio. Si pensi al caso di un incidente stradale con feriti: spesso si provvede al sequestro dei veicoli coinvolti, nell’attesa che le persone offese decidano se esercitare il diritto di querela, non potendo ad esempio manifestare subito la propria volontà a causa delle gravi lesioni riportate. E’ vero che l’art. 112 disp. att. c.p.p. stabilisce che la polizia giudiziaria trasmette al pubblico ministero la documentazione relativa alle attività compiute in mancanza di una condizione di procedibilità solamente se lo stesso ne fa richiesta; tuttavia, la norma prescrive comunque un obbligo di informazione ed inoltre, nell’ipotesi che vi sia stato un sequestro, il relativo verbale andrà trasmesso alla pubblica accusa ai fini della convalida.

Inoltre l’art. 368 c.p. non contempla alcuna limitazione della rilevanza penale di accuse dolosamente infondate in base alla loro procedibilità d’ufficio o a querela, cosa che invece fa l’art. 374 c.p. che esclude espressamente la punibilità “se si tratta di reato per cui non si può procedere che in seguito a querela, richiesta o istanza, e questa non è stata presentata”. L’art. 368 c.p., invece, prevede la querela solo come un mezzo formale tramite il quale rappresentare all’autorità il reato che si assume commesso dal soggetto innocente. Pertanto, se un soggetto accusa un altro incolpandolo falsamente di un delitto procedibile a querela, quel reato per l’autorità esiste a prescindere dal sopravvenire o meno della querela; introdurre invece l’ulteriore elemento della presentazione dell’istanza punitiva significa di fatto richiedere una sorta di condizione obiettiva di punibilità, a volte del tutto avulsa dalla sfera di controllo dell’autore della delazione, in particolare quando questi non si identifichi nella persona offesa dal reato falsamente denunciato [26] .

Insomma, è impensabile affermare che non meriti sanzione colui che accusi falsamente un’altra persona di aver commesso un reato, solo perché chi ha il diritto di sporgere querela non la presenterà; ed inoltre, quando il calunniatore coincida con il potenziale querelante, non può essere penalmente irrilevante che questi denunci all’autorità un fatto costituente reato, mai accaduto, programmando dolosamente di non sporgere querela.

Quanto all’incolpazione di un reato estinto, occorre distinguere tra l’ipotesi in cui la causa estintiva (prescrizione, amnistia) si verifichi in un momento anteriore a quello della falsa incolpazione e quella in cui invece si verifichi successivamente. In quest’ultima ipotesi la dottrina e la giurisprudenza sono concordi nel ritenere comunque sussistente il reato di calunnia [27] . Con riferimento invece al reato estinto prima della comunicazione all’autorità, la giurisprudenza ha ritenuto configurabile il delitto in esame [28] , mentre in dottrina la questione è tutt’ora controversa: da un lato si è detto che non ogni falsa incolpazione può essere considerata quale evento della calunnia, ma solo quella che sia idonea a determinare la possibilità di procedere contro l’incolpato e che quindi è esclusa la calunnia nel caso in cui il reato, al momento della denuncia, sia estinto, in quanto in tal caso la detta possibilità è esclusa dall’obbligo imposto al giudice di immediata declaratoria di “non doversi procedere” [29] ; dall’altro, si è affermato che merita accoglimento la tesi della sussistenza comunque del reato perché “a prescindere dal rilievo che un procedimento può sempre essere iniziato, anche se poi si pervenga a declaratoria di estinzione del reato in base all’art. 425 c.p.p., nessuno ignora quale alone di sospetto susciti, ad esempio, una declaratoria di proscioglimento per amnistia, quando sia iniziato il procedimento penale” [30] .

Con riferimento al fenomeno della novazione legislativa, ossia la successiva emanazione di una norma che eventualmente depenalizzi o qualifichi diversamente il fatto oggetto di incolpazione (ius superveniens), la giurisprudenza [31] è concorde nel ritenere sussistente il delitto di calunnia, come nel caso della falsa denuncia di appartenenza ad un Comitato di liberazione nazionale fatta alla polizia durante l’occupazione tedesca. La questione è invece assai controversa in dottrina: mentre taluni [32] si attestano sulla posizione assunta dalla giurisprudenza, altri [33] sostengono che il delitto in parola potrebbe essere escluso se si sposasse la tesi secondo la quale la disposizione integratrice dell’elemento normativo “reato”, contenuto nell’art. 368 c.p., fa corpo con la stessa disposizione incriminatrice; così ritenendo, infatti, la stessa disposizione richiamata si atteggia a norma che contribuisce all’incriminazione del fatto e pertanto, in base al fondamentale principio di diritto riprodotto dal comma 2 dell’art. 2 c.p. secondo cui nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge posteriore, non costituisce reato, non sussiterebbe il delitto di calunnia.

Per quanto attiene l’attribuzione di circostanze aggravanti false o inesistenti, la dottrina e la giurisprudenza sono concordi nel ritenere che non ricorrano gli estremi per il reato di calunnia e questo per il fatto che in tal caso non viene imputato a taluno un fatto che questi non abbia commesso. Sussiste invece il reato in esame quando la circostanza falsamente attribuita determini il mutamento del titolo delittuoso, cioè sia elemento costitutivo di un diverso più grave reato [34] .

Infine, merita accennare al caso di falsa attribuzione di un reato addebitato a persona già giudicata per l’illecito descritto nella denuncia calunniosa. Ai sensi dell’art. 649 c.p.p., il giudice non può procedere contro lo stesso imputato per il medesimo reato che sia stato oggetto di un precedente giudizio conclusosi con sentenza irrevocabile. Tuttavia, secondo una consolidata interpretazione giurisprudenziale, il giudice può comunque prendere in considerazione lo stesso fatto storico valutandolo liberamente ai fini dell’indagine relativa ad altro reato [35] .

Innanzitutto, occorre prendere in considerazione l’ipotesi in cui una persona sia già stata processata per un fatto della cui commissione taluno, successivamente al passaggio in giudicato della sentenza, l’abbia incolpata tramite una denuncia calunniosa, dall’ipotesi in cui contro quella stessa persona l’autorità giudiziaria sia indotta a procedere proprio a causa e per effetto delle false accuse. In tale ultimo caso, pur essendo l’innocenza dell’incolpato un presupposto del reato di calunnia, la sentenza pronunciata nei confronti dello stesso non fa stato nel giudizio promosso contro il calunniatore, stante la completa autonomia dei due procedimenti. Ne consegue che nel giudizio ex art. 368 c.p. il giudice potrà rivalutare i fatti analizzati nel processo contro la vittima delle accuse, anche se ai soli effetti dell’accertamento della falsità del calunniatore, parzialmente derogando all’art. 649 c.p.p. Tale principio è stato recepito dal legislatore nell’ultimo comma dell’art. 368 c.p., laddove si prevede un inasprimento di pena per l’ipotesi di condanna del calunniato alla reclusione o all’arresto, pronunciata con sentenza irrevocabile proprio a causa e per effetto delle false accuse. Laddove, invece, la denuncia calunniosa intervenga in un momento successivo alla pronuncia di sentenza divenuta irrevocabile ed emessa nei confronti della stessa persona e per il medesimo fatto, è certo che, venendo meno la necessità di accertare se la falsa incolpazione abbia determinato da sola o in concorso con altri elementi il convincimento del giudice che per errore ha condannato la vittima delle false accuse, viene altresì a mancare quel particolare vincolo finalistico che nella precedente ipotesi legava la verifica della fondatezza della condanna del calunniato a quella concernente la sussistenza della calunnia: pertanto il principio sancito dall’art. 649 c.p.p. riprende l’originario vigore, non tollerando alcuna deroga [36] .

Volendo trarre rapide conclusioni relative alla tematica affrontata, occorre rilevare come l’evoluzione della dottrina e della giurisprudenza si sia mossa nella direzione di un allargarmento dell’ambito applicativo del reato di calunnia, spostando progressivamente l’attenzione dall’interesse al corretto funzionamento della giustizia all’interesse di evitare un pregiudizio per l’incolpato. In tal modo sono state introdotte prospettive di applicazione dell’art. 368 c.p. in casi di denunce sì infondate ma finora sottratte al rigore della legge penale. La strada da percorrere però è ancora lunga e soggetta tuttora al rischio di interpretazioni aberranti. 

Francesco Parenti - settembre 2002

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[1] Cfr. F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale-Parte Speciale, Milano, 1982, Vol. II, p.449.

[2] Cfr. M. G. ROSA in Codice Penale-Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, 2000, Vol. VII, sub art. 368, p. 66.

[3] Si veda F. MANTOVANI, Diritto penale, Padova,1992, p. 32.

[4] Si veda F. ANTOLISEI, op. cit., p. 449, nonché M. G. ROSA, op. cit., p. 66. Per la giurisprudenza, si veda Cass., 19 aprile 1968, in Mass. pen., 1969, n. 918, nonché Cass., 10 luglio 1967, ivi, 1968, n. 1015.

[5] Cfr. P. CURATOLA, voce Calunnia (dir. pen.), in Enc. dir., Milano, 1988, Vol. V, p. 818, nonché A. PEZZI, voce Calunnia e autocalunnia, in Enc. giur. Treccani, 1988, Vol. V, p. 1 ss.

[6] Cfr. A. PAGLIARO, Il delitto di calunnia, G. Priulla, 1961, p. 121.

[7] Cfr. contra Cass., 27 luglio 1974, in Mass. dec. pen., 1974, m. 127.675, nonché Cass., 30 ottobre 1973, in Mass. pen., 1975, n. 549.

[8] Cfr. Cass., 27 marzo 1985, in Cass. pen., 1986, n. 811, ove si afferma che non costituisce calunnia il comportamento di chi, a prescindere dal proposito effettivamente perseguito con l’accusare falsamente un innocente, attribuisca a quest’ultimo una condotta non corrispondente a fattispecie tipiche di reato.

[9] Cfr. F. ANTOLISEI, op. cit., p. 450.

[10] Nei casi della c.d. immunità relativa la calunnia non è configurabile soltanto ove la falsa attribuzione concerna uno di quei fatti cui l’immunità stessa si riferisce.

[11] Cfr. Cass., 31 maggio 1960, in Giust. pen., 1961, II, 39, secondo la quale non commette il delitto di calunnia, proprio per il difetto della punibilità dell’incolpato, chi addebita la commissione di un reato ad una persona minore degli anni 14, nonostante la conoscenza della sua innocenza.

[12] Cfr. tuttavia A. PAGLIARO, op. cit., p. 31, che ha sostenuto la rilevanza penale della falsa incolpazione nel caso in cui il soggetto sia socialmente pericoloso.

[13] Si veda in proposito MOLARI, Reato contro il patrimonio non punibile e delitto di calunnia, in Riv. it., 1957, p. 214, nonché GULLO, Il delitto di calunnia, Milano, 1945, p. 47.

[14] La tesi è in F. ANTOLISEI, op. cit., p. 450.

[15] Si veda per tutti F. CALBI, Falsa incolpazione della persona deceduta e ipotizzabilità del delitto di calunnia, in Giust. pen., 1975, II, 508.

[16] Cfr. F. ANTOLISEI, op. cit., p. 449; in giurisprudenza si veda Cass., 9 giugno 1981, in Giust. pen., 1982, II, 300, nonché Cass., 10 dicembre 1991, in Cass. pen., 1994, 297, e Cass., 31 gennaio 1996, in Cass. pen., 1997, 1334.

[17] Cfr. L. TRAMONTANO, Brevi note in tema di calunnia e suoi aspetti processuali, in Foro it., 1996, II, 196.

[18] Si veda Cass., 10 gennaio 1997, in Cass. pen., 1999, 142, con nota di P. MICHELI, Delitto di calunnia e procedibilità a querela del reato oggetto di falsa incolpazione.

[19] Cfr. Trib. Milano, 2 novembre 1989, Hacisuleyranoglu, in Riv. pen., 1990, 575, con nota di A. RAPPELLI, Il delitto di calunnia formale tra tipicità e semplice conformità del fatto storico alla fattispecie astratta.

[20] Cfr. A. RAPPELLI, op. cit., p. 576.

[21] Cfr. M. G. ROSA, op. cit., p. 70.

[22] Si veda P. MICHELI, op. cit., p. 143.

[23] Cfr. Cass., 10 dicembre 1991, cit., 297.

[24] Si pensi ad esempio al denunciante che descriva una vicenda al confine tra una minaccia semplice ed un tentativo di violenza privata.

[25] Cfr. P. MICHELI, op. cit., p. 145.

[26] Cfr. P. MICHELI, op. cit., p. 147.

[27] Cfr. F. ANTOLISEI, op. cit., p. 450.

[28] Si veda Cass., 15 aprile 1977, in Riv. pen., 1978, 45, nonché Cass., 24 ottobre 1979, in Giust. pen., 1980, II, 479.

[29] Cfr. C. CANTARANO, I delitti contro l’attività giudiziaria nella giurisprudenza, Padova, p. 150.

[30] Si veda F. ANTOLISEI, op. cit., p. 451, nonché A. PAGLIARO, op. cit., p. 68.

[31] Cfr. Cass., 24 aprile 1985, in Riv. pen., 1986, 719, nonché Cass., 7 aprile 1951, in Giust. pen., 1951, II, 1073.

[32] Cfr. F. ANTOLISEI, op. cit., p. 451.

[33] Cfr. A. RAPPELLI, op. cit., p. 579.

[34] Cfr. Cass., 2 luglio 1985, in Giur. it., 1986, II, 443; Cass., 15 dicembre 1981, Riv. pen., 1982, 804; Cass., 21 marzo 1973, in Mass. pen., 1974, n. 320.

[35] Cfr. Cass., 26 gennaio 1981, in Giust. pen., 1982, II, 326.

[36] Cfr. A. RAPPELLI, op. cit., p. 580.

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